Stamattina mi sono alzato,
o bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao,
Stamattina mi sono alzato
E ho trovato l’invasor.O partigiano portami via
o bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao,
O partigiano portami via
Che mi sento di morir.E se io muoio da partigiano
o bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao,
E se io muoio da partigiano
Tu mi devi seppellir.E seppellire lassù in montagna,
o bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao,
E seppellire lassù in montagna
Sotto l’ombra di un bel fior.E le genti che passeranno
o bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao,
E le genti che passeranno
Mi diranno o che bel fior.È questo il fiore del partigiano
o bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao,
È questo il fiore del partigiano
Morto per la libertà.È questo il fiore del partigiano
Morto per la libertà.[Ed era rossa la sua bandiera
come il sangue che versò.]
Questa è la versione del canto partigiano generalmente conosciuta, in una versione “mediamente accettabile”. Ma esistono innumerevoli versioni differenti a volte per una sola parola. La coda finale in corsivo è a volte cantata nelle versioni eseguite da comunisti, ma non è generalmente accettata per lo stesso carattere “neutrale” di Bella Ciao, senz’altro una delle chiavi della sua estrema popolarità. Carlo Pestelli chiama “Bella Ciao” una “canzone gomitolo in cui si intrecciano molti fili di vario colore”.
A costo di essere ripetitivo, e lo sarò, “Bella Ciao” è diventato un canto leggendario, in ogni accezione di questo termine. Fatto salvo il densissimo libriccino di Carlo Pestelli, la cui lettura raccomando a chiunque si interessi alla inestricabile storia del canto, le leggende sono fiorite ovunque, e continuano a fiorire in un periodo storico in cui, da un lato, la sua forza simbolica non viene certo meno e, dall’altro, gli ultimi possibili testimoni storici stanno morendo per legge naturale. Questo sta trasformando “Bella Ciao” in un vero canto popolare le cui origini non potranno mai essere chiarite, a meno di una qualche improbabile “clamorosa scoperta” che dirima la questione.
Tra le varie “testimonianze”, ce n’è qualcuna che è stata smentita dai fatti. Ad esempio, quella che voleva “Bella Ciao” adottata da varie brigate partigiane e addirittura l’inno della Brigata Partigiana Maiella. Ma nel libro autobiografico di Nicola Troilo, figlio di Ettore Troilo, il fondatore della Brigata, non si fa alcun accenno a “Bella Ciao” nonostante il libro contenga parecchie canzoni cantate dai componenti della Brigata. L’inno della Brigata Maiella, quello vero, si chiamava Inno della Lince ed era stato composto da Donato Ricchiuti, partigiano della “Maiella” caduto in combattimento il 1° aprile 1944.
Nessuna traccia di “Bella Ciao” si trova in Canta Partigiano, edito dalla Panfilo nel 1945; lo stesso vale per la rivista Folklore, che nel 1946 dedicò ben due numeri ai canti partigiani, curati da Giulio Mele. Il celebre Canzoniere Italiano curato da Pier Paolo Pasolini ha una sezione intera dedicata ai canti partigiani, ma di “Bella Ciao” non si ha notizia. E così via, per quanto riguarda il primo dopoguerra in cui, per forza di cose, i canti partigiani godevano di vasta conoscenza. Come già specificato a più riprese in questa pagina, le testimonianze sull’esecuzione di “Bella Ciao” da parte di un gruppo di studenti italiani nel 1948 a Praga, sono vaghe e, quel che più conta, contraddittorie. In effetti, il primo “Festival Mondiale della Gioventù” si svolse a Praga nell’estate del 1948; sarebbe stato in questa occasione che il canto fu eseguito pubblicamente, “riscuotendo enorme successo”. Ma non se ne ha nessuna registrazione, e nessuno dei famosi “studenti italiani” è stato mai reperito. Tale “Festival della Gioventù” è poi, come dire, un po’ “itinerante”. Secondo alcuni testimoni, si sarebbe trattato di un “Festival di canzoni popolari”. Secondo altri, sarebbe stato nel 1947, e non a Praga, ma a Berlino Est (il “Festival Mondiale della Gioventù” si svolse effettivamente a Praga per la prima volta, l’anno successivo). Altri testimoni invece spostano il Festival a Berlino Est, ma nel 1949 (la seconda edizione si svolse invece, in quell’anno, a Budapest). Insomma, anche la questione del Festival non è per nulla chiara e, aggiungo, non lo sarà mai.
Qualche fatto certo ed appurato, però, c’è. La prima pubblicazione a stampa di “Bella Ciao”, ad esempio: risale al 1953, sulla rivista “La Lapa” a cura di Alberto Mario Cirese (1921-2011), importante antropologo e etnomusicologo avezzanese, esponente del PSI e, per un brevissimo periodo nel maggio 1958, presidente della Provincia di Rieti. Due anni dopo, nel 1955, “Bella Ciao” viene inserita per la prima volta in una raccolta, Canzoni partigiane e democratiche, a cura della Commissione Giovanile del Partito Socialista Italiano. Il 25 aprile 1957, L’Unità, quotidiano fondato da Antonio Gramsci e organo del Partito Comunista Italiano, pubblica in occasione della Festa della Liberazione una breve raccolta di canti partigiani, e “Bella Ciao” vi è inserita; nello stesso anno, la si ritrova anche nei Canti della Libertà, supplemento al volumetto Patria Indifferente, distribuito ai partecipanti al 1° Raduno Nazionale dei Partigiani a Roma.
Arriviamo al 1960, l’anno di Tambroni, dei moti genovesi del 30 giugno, della Nuova Resistenza, dei morti di Reggio Emilia: la “Collana del Gallo Grande” delle Edizioni dell’Avanti (il quotidiano del PSI), pubblica una vasta antologia di canti partigiani, e vi si trova (a pagina 148) O bella ciao [sic], citando la già citata antologia socialista del 1955 (e si noti che, nella progressiva diffusione del canto, il PSI giochi un ruolo più importante di quello del PCI, che aveva già il suo Fischia il vento, canto molto più fortemente connotato politicamente). Qui il PSI si scatena, e dà realmente inizio alla fase leggendaria: intanto, la melodia viene presentata come “derivata da una celebre aria della Grande Guerra”, talmente celebre da non farvi neppure un accenno. Si afferma inoltre quanto segue: “Durante la Resistenza raggiunse, in poco tempo, grande diffusione”. Come si può vedere, tutta una serie di ciò che adesso si chiamerebbero bufale.
La cosa sembra diventare una specie di questione tra il PCI e il PSI: i Canti Politici, pubblicati nel 1962 dagli Editori Riuniti (la casa editrice del PCI), contengono ben sessantadue cant partigiani, ma di “Bella Ciao” non v’è traccia alcuna. Però, come in tutta la storia palese e nascosta di questo canto, ci sono numerosi “accidenti” che costringono a fare costantemente marcia indietro. Come detto, la prima pubblicazione a stampa di “Bella Ciao” risale al 1953; ma, nel medesimo anno, il giornalista Riccardo Longone pubblica sull’Unità (il 29 aprile 1953, per la precisione) un articolo in cui si afferma che “Bella Ciao” è già conosciuta in Cina e in Corea. Il canto doveva quindi essere già non solo conosciuto, ma addirittura cantato in posti lontanissimi (rimettendo del tutto in gioco, quindi, la questione del Festival). Non se ne cavano le gambe.
Nel 1963, “Bella Ciao” viene incisa, in italiano, dal sig. Ivo Livi, da Monsummano Terme (Pistoia), più noto come Yves Montand (”Una mattina mi son svelliato”…):
L’anno della definitiva “consacrazione” di Bella Ciao è il 1964. Lo spettacolo presentato dal Nuovo Canzoniere Italiano al Festival dei Due Mondi di Spoleto, dedicato al canto sociale italiano, si chiama giustappunto, Bella Ciao. Un programma di canzoni popolari italiane; era stato organizzato da Filippo Crivelli, Franco Fortini e Roberto Leydi, su invito di Nanni Ricordi. Il Nuovo Canzoniere Italiano contava in quell’occasione su Sandra Mantovani, Giovanna Daffini, Giovanna Marini, Maria Teresa Bulciolu, Caterina Bueno, Silvia Malagugini, Cati Mattea, Michele L. Straniero e il Gruppo di Piadena, accompagnati alla chitarra da Gaspare De Lama. Lo spettacolo diviene il caposaldo del folk revival italiano, diffonde definitivamente Bella Ciao, la quale viene preceduta dalla “Versione delle Mondine” eseguita dalla Daffini. Lo spettacolo rimane famoso anche per la prima esecuzione di Gorizia, che provoca uno scandalo: tra le altre cose, un ufficiale dei carabinieri presente in sala denunciò Straniero, Leydi, Gianni Bosio e Crivelli per vilipendio delle forze armate italiane.
Tutto ciò, ovviamente, contribuisce alla notorietà dello spettacolo e rende famosissimo il Nuovo Canzoniere Italiano.
Nel 1965 spunta Vasco Scansani: in una lettera all’Unità rivendica la paternità della “Bella Ciao delle mondine” cantata dalla Daffini nello spettacolo, affermando di averla scritta nel 1951 (in realtà nel 1952). Lo Scansani scrive di avere consegnato personalmente il testo alla Daffini (che abitava nel suo stesso palazzo a Gualtieri); pressata da Gianni Bosio, l’Unità non pubblica la lettera, ma si ha poi un confronto tra la Daffini e Scansani in cui l’ex mondina e cantrice popolare ammette di avere effettivamente ricevuto il testo dal suo autore. La versione “mondina” è quindi posteriore a quella partigiana, e non ne è alcuna “fonte” o antesignano. Ma non è finita qui. Nel 1974, un ex carabiniere toscano, Rinaldo Salvadori (spesso nominato come “Salvatori”), di Camucìa (Arezzo), scrive una lettera alle Edizioni del Gallo in cui sostiene di avere scritto lui la canzone per una mondina, nel 1933, ma di non averla potuta depositare alla SIAE perché impeditone dalla censura fascista. Il Salvatori va oltre: nella rivista locale L’Etruria dell’ottobre 1978, viene pubblicato un articolo intitolato: Un camuciese autore di bella ciao, in cui vengono riportati i testi di due canzoni: una “canzone – marcia” intitolata Partigiano, datata “Cortona 3 luglio 1944”,e una “Bella Ciao – 1943”, ”Canzone mondina di Restelli/Salvadori tradotta in canzone Badogliana Partigiana nel 1943 unitamente a partigiani francesi”. Secondo il Salvatori, la versione originale della canzone si intitolava “La risaia”.
In mezzo a questo mare magnum, resta il fatto che le testimonianze sono, regolarmente, contraddittorie. Non vi è alcuna fonte documentale anteriore al 1953, e che il canto sia stato intonato autenticamente durante la Resistenza, almeno in parte, resta da dimostrare. Nessun partigiano si è mai ricordato di averlo cantato, detto in soldoni. Ma, sicuramente, “Bella Ciao” non è venuta fuori dal mondo della luna. Può sicuramente darsi che siamo di fronte a uno dei più tipici casi di “invenzione della tradizione”: gli indizi per una cosa del genere ci sono tutti. A condizione di non utilizzare questa cosa per screditarlo Che si trattasse di una sorta di falso, ne era convinto anche Giorgio Bocca; ma andò a finire che, al suo funerale, fu suonata e intonata proprio “Bella Ciao”. Non sarà stato un canto di Resistenza nei tempi storici in cui essa era in atto, ma è comunque diventato un canto di Resistenza per tutti i tempi a venire.
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