Antiwar Songs Blog

il Blog delle Canzoni contro la guerra

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Wallflower

By Antiwar Songs Staff on 13 Febbraio 2014

Peter-Gabriel-New-Blood

Oggi è il compleanno di Peter Gabriel. Vabbé, direte, mica lo conoscete, non siete invitati alla festa.

D’accordo, è solo un pretesto per tirare fuori una vecchia canzone del 1982. Si intitola Wallflower (Tappezzeria) e c’è chi dice sia stata scritta per Nelson Mandela, secondo altri invece è basata sul trattamento riservato ai prigionieri politici in Argentina. Il brano è stato eseguito al concerto per Amnesty International del 1990 (subito dopo la caduta del regime di Pinochet) a Santiago del Cile nello stesso stadio in cui i militari massacravano gli oppositori politici. Peter è solito riproporre questo brano nei suoi concerti in Cile accompagnato dagli Inti Illimani.

Comunque la canzone è universale ed è di una bellezza unica. Riascoltatela, anche nella bella versione orchestrale che Gabriel ha riproposto nel suo ultimo album.

1 m x 1m da parete a parete
scuri alle finestre, niente luce
pavimento umido, letto umido
tentano di farti impazzire, di farti andare fuori di testa

E ti danno in pasto porcherie e bugie
per abbassare le tue difese – nessun compromesso,
niente che tu possa fare, e il giorno può essere lungo
la tua mente fa gli straordinari, il tuo corpo non è troppo robusto
resisti, resisti, resisti, resisti
ti mettono in una specie di scatola in modo che non ti sentano
ma fai che la tua mente non si spezzi e che non ti dissuadano

Resisti
hai giocato d’azzardo con la tua vita
e affronti la notte da solo
mentre i costruttori di gabbie
dormono con pallottole, spranghe e pietre
non vedono il tuo cammino verso la libertà
che costruisci col sangue e con le ossa

Posted in Anniversari, Canzoni | Tagged Argentina, Cile, Inti Illimani, Nelson Mandela, Peter Gabriel

Canzoni popolari: il senso e la memoria

By Antiwar Songs Staff on 8 Febbraio 2014

Caterina Bueno & coro degli Etruschidi Marco Rovelli

In questi giorni in cui sono in scena con uno spettacolo sulla tradizione popolare toscana, mi accorgo ancora una volta, e sempre di più, di quanto i canti popolari siano in grado di trasmettere un senso profondissimo, che da una parte è legato in maniera sostanziale al contesto particolare che lo ha generato, e dall’altra lo trascende trasmettendo valori universali.

Penso ai canti d’amore che abbondano nella cultura popolare toscana, nella sua cultura contadina: nell’Ottocento chi raccoglieva rispetti e stornelli d’amore ricollegava questo fatto addirittura all’eros platonico, laddove si tratterebbe invece di ricollegare il cantar l’amore alla necessità di un rinnovellarsi continuo del legame sociale. Penso al cantar del maggio, dove si propizia buon raccolto. E penso ai canti sociali, che raccontano storie universali. Come quella di Rodolfo Foscati: un fiorentino, a quanto pare, condannato per un delitto passionale, e finito in carcere. La struggente canzone a lui dedicata racconta della sua entrata in carcere, della deprivazione di identità che il carcere comporta, della sua riduzione a numero: e la cosa, in questi giorni della Memoria, ha risuonato terribilmente con le testimonianze dei deportati dei lager, che all’ingresso dovevano dismettere il proprio nome e diventare un numero, quel numero tatuato sul braccio. «Questo numero che oggi indossate / vi cancella da i’nome e casato, / Centosette sarete chiamato / e Rodolfo Foscati mai più».

Sul sito «Canzoni contro la guerra» una vera miniera di canzoni (non solo contro la guerra), ci sono alcuni percorsi interessantissimi, come quello «Dalle galere del mondo», che contiene 288 canzoni che permettono di entrare nell’universo carcerario nello spazio e nel tempo, a riprova di quanto il canto sia meravigliosamente particolare e universale nello stesso movimento.

L’Unità, 1 febbraio 2014

Nella foto: Caterina Bueno con il Coro degli Etruschi, Grosseto 1975.

Posted in Articoli, Canzoni, Percorsi | Tagged Caterina Bueno, Marco Rovelli, Parlano di noi, Rodolfo Foscati

Pequeñas historias innobles

By Antiwar Songs Staff on 1 Febbraio 2014

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Se, com’è probabile dato che il PPE ha la maggioranza al parlamento spagnolo, il nuovo disegno di legge sull’aborto verrà approvato, sarà un enorme passo indietro per la Spagna che vedrà retrocedere i diritti delle donne non solo rispetto alla legge del 2010 ma anche rispetto a quella del 1985. Nel nostro sito abbiamo voluto dare un piccolo contributo alla lotta contro il governo clericale e fascistoide di Mariano Rajoy traducendo in castigliano una vecchia canzone di Francesco Guccini che rischia di essere tragicamente attuale nella Spagna del XXI secolo. Traduciamo ora in italiano un breve articolo di Manuel Vicent apparso recentemente su El País.

La credenza religiosa dà per certo che Dio inserisce un’anima nell’utero della donna nel momento esatto del concepimento. Tra i milioni di spermatozoi che lottano per conquistare un ovulo, uno solo raggiunge la meta. Il resto finisce nel cesso, senza che nessun teologo si scandalizzi per un simile spreco. Si suppone che il creatore dell’universo dipenda da ognuna di queste feroci scalate che si corrono in infinite vagine su tutto il pianeta e, chissà, anche in milioni di altri pianeti abitati di altre infinite galassie. Non appena si realizza la fusione del gamete maschile con il gamete femminile, il creatore incorona questa nuova cellula, detta zigote, con un’anima, però, a quanto sembra, smette immediatamente di interessarsi al destino che la aspetta il giorno dopo. Questo zigote con il tempo potrà svilupparsi in forma di assassino, di santo, di banchiere o di mendicante. I credenti più fanatici, che si oppongono all’aborto, non pensano alla biologia ma alla teologia, anche se per mascherare il loro fanatismo religioso sostituiscono la parola “anima” con la parola “vita”. Lo zigote ha diritto alla vita, perché Dio gli ha inoculato un’anima. Solo che non si capisce cosa succede a questa anima quando si produce un aborto spontaneo. Chissà, forse torna in un animario comune e il creatore la applica a un’altra coppia che ha appena finito di celebrare un coito trionfale, così che l’anima che al primo tentativo sarebbe diventata notaio, al secondo si deve accontentare di un semplice carrozziere.

In realtà tutta questa fuffa teologica non è che un pretesto ipocrita per ridurre le donne al ruolo di mere incubatrici e negar loro il diritto di disporre del loro corpo durante i primi mesi di gravidanza. Come ai tempi del franchismo più sinistro, alcune signore ingioiellate, quelle che gridano dietro agli striscioni contro l’aborto, accompagneranno le figlie adolescenti in un paese civile per risolvere il problema, però altre infelici si vedranno obbligate come allora a salire per una scala sporca fino a un bugigattolo clandestino dove le aspetta una vecchia con un ago da sacco e un catino ammaccato,  grazie a dei politici della destra più reazionaria, istigati da preti senza misericordia che ci stanno ricacciando a pedate verso la Spagna più nera.

Posted in Articoli | Tagged Aborto, Francesco Guccini, Spagna

Grazie, Pete

By Antiwar Songs Staff on 28 Gennaio 2014

Pete Seeger

Ad un certo punto, Pete Seeger ha deciso che sarebbe stato una memoria vivente e cantante di tutta la storia americana. Sarebbe stato l’archivio vivente della musica e della coscienza americana, una dimostrazione del potere della canzone e della cultura di guidare la storia verso fini più umani e giusti.

Ha deciso che avrebbe avuto il coraggio e l’audacia di essere la voce della gente.

E lo ha fatto, fino a ieri, quando ci ha lasciati, dopo 94 lunghi anni.

La raccolta delle “Canzoni contro la guerra”, quella originale del gennaio e febbraio 2003, era iniziata da cinque minuti e lui già c’era. Dopo la prima canzone, il Disertore, subito lui. “Where have all the flowers gone” è la canzone numero 2 di tutto il sito. Non si poteva neppure pensare di cominciare a fare una cosa del genere senza Pete Seeger; e così è stato, tutti i giorni.

Grazie Pete.

Posted in Artisti, In ricordo | Tagged Pete Seeger

La memoria ogni giorno dell’anno

By Antiwar Songs Staff on 27 Gennaio 2014

Ingresso al ghetto di Vilnius

Questo sito, la memoria la fa ogni giorno dell’anno e non ha bisogno di “giornate” istituzionali. Soprattutto non la fa a senso unico, come chi trasforma (tipo “Repubblica”) il 27 gennaio nella “Giornata per la propaganda israeliana”. Siamo e restiamo ben lontani da tutto questo. Il 27 gennaio, se “giornata” dev’essere, lo è per gli Ebrei come per i Rom, i Testimoni di Geova, gli omosessuali e per chi non credeva in nessun dio, per i semplici antinazisti (anarchici, comunisti, democratici) che sono periti a decine di migliaia non solo nei lager. Troppo “deificata”, ‘sta memoria; anche per gli assassini, “Dio era con loro”.

Per questo 27 gennaio, è necessario dare spazio a persone come Rocco Rosignoli (l’autore di Oesterheld), che il 30 gennaio farà uscire in Rete un intero album, “La bella che guarda il mare”, registrato dal vivo per l’ANPI. Oggi, Rocco propone un preascolto della sua interpretazione di Zog nit keynmol, che è un inno partigiano e di Resistenza, e non di propaganda sionista. Invitando magari a riascoltare e rileggere anche lo Tsigaynerlid, la “Canzone degli zingari” scritta in yiddish da Dovid Beyglman: una testimonianza, semisconosciuta, di solidarietà tra le vittime del nazismo. Il quale non è solo “follia”, ma una cosa politicamente ben precisa, e ancora ben presente.

Hirsh Glik nacque a Vilnius, in Lituania, nel 1920 da una famiglia della piccola borghesia ebraica (suo padre era un modesto commerciante di abbigliamento usato). “Hirshke”, come veniva chiamato in famiglia con il tipico suffisso diminutivo yiddish, cominciò a scrivere poesie all’età di tredici anni e fondò assieme a degli amici e compagni di scuola un gruppo di giovanissimi poeti. Dovette interrompere gli studi prima del tempo a causa della povertà della sua famiglia, divenendo apprendista commesso in una cartoleria e, poi, commesso in un negozio di vasellame. Quando i nazisti occuparono Vilnius, nel 1941, Glik fu catturato assieme a tutta la sua famiglia, incarcerato e poi inviato in un lager in una palude dove i prigionieri dovevano trasportare torba, un lavoro di solito riservato ai cavalli. Quando il campo fu chiuso, fu rimandato al ghetto di Vilnius, dove cominciò a svolgere attività clandestina nel FPO (Feraynte Partizaner Organization), l’organizzazione partigiana ebraica, rimanendo per altro in contatto con gli ambienti letterari e artistici sotterranei. Nel settembre 1943 i nazisti spedirono Hirsh Glik nel primo dei lager estoni, dove la maggior parte dei prigionieri soccombevano alle condizioni di vita disumane. Glik non smise mai di scrivere poesie e canzoni. Nel 1944 riuscì a fuggire dal lager mentre le truppe sovietiche si stavano avvicinando, ma scomparve, probabilmente fucilato dai soldati nazisti che vagavano nella zona. Aveva solo 24 anni.

Spesso del tutto privi di qualsiasi materiale per scrivere, i prigionieri componevano a memoria e si trasmettevano oralmente le proprie opere, letteralmente di bocca in bocca. Altre poesie e canzoni venivano nascoste dagli amici, e nel ghetto di Vilnius se ne ritrovarono diverse alla fine della guerra. La maggior parte delle opere di Hirsh Glik, tutte in lingua yiddish, sono andate quindi perdute.

Zog nit keynmol fu scritta da Hirsh Glik all’età di soli 16 anni, quando ancora si trovava nel ghetto di Vilnius e divenne in breve tempo celeberrima, nonché l’inno del movimento di resistenza partigiana ebraica agli assassini nazisti.

Non dire mai che hai percorso l’ultimo cammino
anche se le nuvole nascondono l’orizzonte
verrà ancora la nostra ora tanto attesa
risuonerà ancora il nostro passo “noi siamo qui”

Dalle terre delle verdi palme alla terra delle bianche nevi
noi veniamo con il dolore delle nostre sofferenze
e dove è caduta una stilla del nostro sangue
lì fiorirà il nostro coraggio, il nostro eroismo

Questo canto è scritto con il sangue, non con l’inchiostro
non è un canto di un uccello in libertà
questo l’ha scritto un popolo fra muri che crollavano
l’ha cantato con i mitra in mano

Il sole del mattino illuminerà d’oro il nostro oggi
e il nostro ieri si dissolverà con il nemico
ma anche se il sole e l’alba tardassero
come una parola d’ordine, questo canto andrà di generazione in generazione.

Non dire mai che hai percorso l’ultimo cammino
anche se le nuvole nascondono l’orizzonte
verrà ancora la nostra ora tanto attesa
risuonerà ancora il nostro passo “noi siamo qui”

Posted in Anniversari, Canzoni | Tagged Rocco Rosignoli, Shoah

L’oro d’Africa

By Antiwar Songs Staff on 24 Gennaio 2014

SACRARIO MINISTRO SALO': SAGOME 'IMPICCATE' PER PROTESTA

The Gold in Africa di Neville Marcano, detto “The Tiger” (1936) è un brano Calypso proveniente da Trinidad e Tobago che denuncia l’aggressione fascista italiana all’Etiopia (1935/36). Lo presentiamo per la prima volta in Italia, dopo quasi ottant’anni passati invano, dato che si continuano a inaugurare monumenti al macellaio Graziani.

Di prim’acchito pensavo di aver trovato, con questo brano, un’autentica particolarità: una canzone a ballo contro Mussolini e la guerra d’Abissinia (vale a dire l’aggressione fascista e colonialista all’Etiopia) proveniente, in epoca contemporanea agli avvenimenti, da Trinidad e Tobago! Poi ci ho ripensato, e mi sono detto che la cosa era più che normale: in tutti i Caraibi, la figura dell’imperatore Hailé Selassié era pressoché sacra. Imperatore axumita d’Etiopia fin dal 1930, Ras Tafari era sempre stata una figura importantissima per la società caraibica; per molti caraibici rappresentava un sogno di libertà nera, dato che l’Etiopia era l’unico paese indipendente (assieme alla Liberia) non soggiogato al colonialismo europeo in Africa. Non a caso, per i Rastafariani giamaicani egli è tuttora il dio vivente, il leader profetizzato nell’Apocalisse come guida della razza nera verso la liberazione. L’invasione fascista italiana, preceduta dal falso “casus belli” dei pozzi di Ual-Ual che portò alla denuncia del trattato di Uccialli (Wuchalé) del 1928 e all’inizio delle ostilità il 3 ottobre 1935, fu fintamente “deplorata” in tutto il mondo: all’Italia furono applicate sanzioni economiche che, lungi dal rappresentare un deterrente, furono abilmente sfruttate dalla propaganda mussoliniana (le “Inique sanzioni”). In realtà, alle potenze europee (e alla “Società delle Nazioni”, inutile carrozzone senza alcun potere reale), l’invasione italiana stava benissimo; all’Etiopia non fu fornito nessun aiuto concreto dalle potenze, e fu lasciata in balia degli italiani che vi applicarono tecniche di sterminio di massa (anche con uso massiccio di armi chimiche come iprite e fosgene). Paradossalmente ma non troppo, gli unici aiuti concreti all’Etiopia furono forniti dalla Germania hitleriana, che vendette armi agli etiopi fin dall’inizio nell’ottica di favorire un sempre maggiore impegno bellico italiano che riducesse l’attenzione sull’Austria e sul futuro Anschluß. Teoria assolutamente corretta, dato che nel 1938 Mussolini non muoverà un dito di fronte all’annessione tedesca dell’Austria.

Molto, molto diversa la reazione nelle opinioni pubbliche, sia europee che di altri continenti. La reazione caraibica, sebbene del tutto sconosciuta dalle nostre parti, fu molto forte per i motivi sopraccitati. Una delle principali forme per esprimere la rabbia dinanzi all’aggressione italiana dell’Etiopia fu la musica più tipica, vale a dire il Calypso. In Italia si tende a identificare il Calypso come una pittoresca forma di musica danzante con precisi legami storici col Reggae, scordando magari i suoi forti legami con la Rivelazione biblica e la liberazione dei popoli (il suo stesso nome deriva da “Apocalypse”). Molti brani Calypso parlano quindi della guerra d’Abissinia, oltre che di svariati problemi sociali (il razzismo e la disuguaglianza in primis).

Neville Marcano (1916-1993),

Neville Marcano (1916-1993), “The Growling Tiger of Calypso”

Neville Marcano, detto “The Tiger” o “The Growling Tiger of Calypso”, era nato a Diego Martin, nell’isola di Trinidad, nel 1916; è stato uno dei principali calypsisti di ogni tempo. Iniziò a comporre e a esibirsi nel 1934, all’età di 18 anni, e non smise che con la sua morte, avvenuta nel 1993. “The Gold in Africa”, registrata a New York il 2 aprile 1936 (circa un mese prima dell’entrata di Badoglio a Addis Abeba e della “proclamazione dell’Impero” da parte di Mussolini), è il suo brano più celebre sulla guerra d’Abissinia. Un brano che deve essere conosciuto finalmente anche in Italia, dove tuttora si sente un po’ troppo spesso risuonare “Faccetta Nera”. Il brano, nella piena tradizione del Calypso, esprime non soltanto l’indignazione caraibica di fronte alla guerra colonialista e imperialista del fascismo italiano, ma anche precisi riferimenti biblici: Mussolini è identificato con la “Bestia” dell’Apocalisse, coi “re del mondo che si uniscono per muover guerra al Re assiso in trono” (Apocalisse 19:19).

L’oro, l’oro, l’oro
L’oro, l’oro d’Africa
Mussolini vuole dall’Imperatore.

L’Abissinia si è rivolta alla Lega per la pace,
Mussolini ha agito come una bestia,
Un bruto, un ladro, un bandito di strada,
Un dittatore svergognato come un cane.

Il testo del brano è altresì pervaso da un amaro sarcasmo che individua esattamente il vero motivo della guerra colonialista: il denaro e l’avidità. “L’oro dell’Africa”, che deve essere depredato; è la storia che lo dice. I due principali predatori dell’Etiopia, il maresciallo Badoglio e il macellaio Graziani, si arricchirono a dismisura. La chiusa finale del brano è mirabile: se Mussolini vuole oro, oro e oro, perché non va a prenderselo in Canada, in Austria-Ungheria (che non esisteva più all’epoca, ma tant’è) o in “America” (vale a dire negli USA)? Oppure magari in “Demarara”, vale a dire sulla costa della Guyana famosa per la produzione di canna da zucchero? In ultima analisi, un brano che testimonia quale fosse realmente la presa di coscienza anticolonialiste delle popolazioni caraibiche di fronte ad avvenimenti apparentemente lontanissimi, ma che toccavano profondamente le loro coscienze di colonizzati.

Effetti della civiltà italiana: giovane etiope ucciso dall'iprite (o gas mostarda).

Effetti della civiltà italiana: giovane etiope ucciso dall’iprite (o gas mostarda).

Posted in Canzoni | Tagged Etiopia, Guerra d'Abissinia, Hailé Selassié, Mussolini, Rodolfo Graziani

Plastic People of the Universe

By Antiwar Songs Staff on 17 Gennaio 2014

ppu_1978Nel gennaio del 1968 Alexander Dubček diventò leader della Cecoslovacchia e diede inizio a una serie di riforme che allentarono il controllo statale e garantirono libertà di parola e di espressione. In risposta allla cosiddetta Primavera di Praga, l’Unione Sovietica inviò i carrarmati e mise fine alla breve esperienza del “socialismo dal volto umano”. Un mese dopo, alcuni musicisti e poeti formarono il gruppo Plastic People of the Universe.

Già dal 1965 la musica proveniente dall’Occidente – Beatles in testa – aveva iniziato a essere diffusa in Cecoslovacchia. Nel marzo 1965 il poeta beat Allen Ginsberg fu invitato dagli studenti dell’Università di Praga e tenne delle letture pubbliche delle sue poesie in piccoli teatri di Praga e Bratislava, per la gioia dei giovani cecoslovacchi. Il governo di Antonin Novotny non dimostrò altrettanto entusiasmo per il poeta capellone, lo fece arrestare per uso di droga e ubriachezza, e nel maggio del ’65 lo espulse dal paese. L’influenza di Ginsberg sulla cultura ceca non deve essere sottovalutata. Improvvisamente le strade di Praga si riempirono di hippies che portavano i blue jeans e mettevano in scena “eventi” di vario tipo. Lo stile di vita del socialismo reale cominciò a sembrare sempre più estraneo alla nuova generazione di cecoslovacchi.  Nacque a Praga una ricca scena di locali underground e si formarono centinaia di band rock. I più famosi gruppi dell’epoca erano gli Olympic e i Primitives, il primo gruppo psichedelico di Praga.

“Plastic People” era una  canzone dell’album Absolutely Free. Frank Zappa era uno degli idoli dei Plastic People of the Universe, che spesso si esibivano anche in canzoni dei Velvet Underground. Le loro performance erano un po’ come quelle dei Fugs – eventi in costume che riunivano poesia e politica.

I PPU continuarono a esibirsi per tutto il 1969, ma nel gennaio 1970 la loro licenza di musicisti fu revocata. Questo voleva dire che non potevano suonare professionalmente, non gli era permesso far pagare un biglietto per i concerti, la loro attrezzatura fu requisita, e non riuscivano a trovare spazi per provare. Per questo furono costretti a suonare come gruppo amatoriale ai matrimoni, e a costruirsi in casa gli amplificatori con materiale di scarto.

Continue reading “Plastic People of the Universe”

Posted in Articoli | Tagged Frank Zappa, Lou Reed, Plastic People of the Universe, Primavera di Praga, The Velvet Underground

Ah, mama mia el Diablo

By Antiwar Songs Staff on 16 Gennaio 2014

El Diablo - Michelangelo

Siamo particolarmente lieti di dare il benvenuto nelle CCG/AWS ad un vecchio amico presente in (e protagonista di) decine di canzoni: il Diavolo. Sì, proprio lui, Satana in persona, al quale è stato dedicato un apposito percorso.

Visto che comunque siamo scomunicati, tanto vale esserlo – per cominciare – con Ferré…

Ed esserlo con la sua canzone migliore o, per dirla in altro modo, quella che rappresenta il meglio, quella dove si mette il cuore a nudo, dove si trovano gli impulsi segreti della poesia.
La sua canzone migliore, senz’altro, quella che racchiude tutte le altre. Una canzone di pura rivolta dopo duemila anni di dittatura apostolica romana: Thank you, Satan!

Tutto vi passa dentro, se si vuol prendere il tempo di seguire Léo Ferré in questo complesso percorso delle pieghe della coscienza decisamente atea, laica, libertaria, elevatamente letteraria -lo si direbbe un personaggio faustiano che incontra il diavolo, quello di Margherita che Bulgakov creò sotto il baffone del piccolo padre Josef. Un personaggio libertino, Léo Ferré, libero nei suoi gesti e movimenti.
Letterario, ed elevatamente; colto, e serenamente. Prendiamo questi versi, Rimbaud e Baudelaire in un solo verso: Dai fiori del male di diciassette anni. E -non lo si pensi certo a caso- Léo Ferré li ha messi in musica e cantati tutti e due (e pure tutti e tre, quando Verlaine accompagna Rimbaud).

Libertino poiché urla la libertà nella vita amorosa e sensuale: sin dall’inizio, per la fiamma che accendi… Messa a questo modo, ci si farebbe bruciare per tutta la vita (e alla svelta).

Libertà anche per coloro che sono messi in galera e per la distruzione delle galere – la presa della Bastiglia, anche se non serve a nulla…Però, un giorno, servirà eccome…

Nella caccia alle streghe sono sempre dalla parte delle streghe, dice il nostro Marco Valdo M.I.

Nel percorso non poteva certo mancare Sympathy for the Devil degli Stones, ma la nostra preferita e’ una canzone di Violeta Parra, il suo mondo alla rovescia, canzone autenticamente rutilante, sembra in effetti una sarabanda medievale.

I paggi portan la corona,
i re danno il céncio in terra,
il diavolo sta in paradiso
e in ceppi vanno i soldati.
I peccati vengon premiati,
i giudici son fucilati,
al secco nuotano i pesci
e sarà la fine del mondo
quando nel mare profondo
le foreste fioriranno.

Da ottima anticlericale e mangiapreti, la Violeta non perde naturalmente occasione per infilare immediatamente il diavolo in paradiso, somma sovversione sì, ma dal sapore di tempi remoti. In realtà si tratta di un “medioevo” che sa di Cile anni ’50 e ’60 lontano un miglio: una descrizione feroce di quel che andava fatto con urgenza. Rovesciare tutto un mondo, giustappunto. La propaganda dei giornalacci come il “Mercurio” (“Menzogna è ogni certezza!”), perfettamente applicabile anche oggi; i soldati in ceppi (e quanto sarebbe stato importante metterli in ceppi lo si vide meglio nel 1973); i giudici messi al muro; e così via.

Posted in Percorsi | Tagged Cile, Diavolo, Léo Ferré, Marco Valdo M.I., Rolling Stones, Satana, Violeta Parra

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