Antiwar Songs Blog

il Blog delle Canzoni contro la guerra

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Evaporato in una nuvola rossa…

By Antiwar Songs Staff on 11 Gennaio 2014

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pensavo è bello che dove finiscono le mie dita
debba in qualche modo incominciare una chitarra…

Fabrizio De André, 18 febbraio 1940 – 11 gennaio 1999

Posted in Anniversari, Artisti | Tagged Fabrizio De André

Respiro d’autore per i dialetti soffocati

By Antiwar Songs Staff on 7 Gennaio 2014

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Meno di due mesi fa il sito delle Canzoni contro la guerra lanciava I dialetti soffocati nel regno del rumore, un appello per tradurre Sesto San Giovanni dei Gang nei dialetti italiani. Francamente ci aspettavamo magari che qualche lettore o amico (come è avvenuto a suo tempo per il “Pescatore” di De André) traducesse la canzone nel suo dialetto.

Il nuovo anno ha invece portato una graditissima sorpresa. Grazie all’intermediazione del nostro DonQuijote82, i Luf ci hanno risposto inviandoci una loro versione in dialetto camuno, che magari un giorno incideranno. E potrebbe non essere finita qui, altri artisti che hanno condiviso il palco con i Gang si sono detti interessati all’iniziativa. Ma non anticipiamo troppo, per ora…

Posted in Canzoni | Tagged Dialetti, I Luf, The Gang

Tregua

By Antiwar Songs Staff on 25 Dicembre 2013

Tregua di Natale

Natale 1914. La guerra dura già da cinque lunghi mesi. Nelle trincee del fronte occidentale accadono episodi che hanno dell’incredibile.

Da entrambe le parti arrivarono degli uomini di corsa, e subito fraternizzarono « nel modo più autentico possibile. Fu scambiata ogni sorta di souvenir, così come gli indirizzi di casa ». Un ufficiale tedesco con la Croce di Ferro, distintosi « per la notevole abilità nel cecchinaggio di trincea », convinse i suoi commilitoni ad intonare delle marce. Io intonai ‘Bonnie Boys of Scotland’, e così andammo avanti finendo con Auld Lang Syne, che fu cantata assieme da tutti quanti –Inglesi, Scozzesi, Irlandesi, Prussiani e Württemberghesi.

L’episodio è così raccontato in Christmas 1914, bella canzone dell’inglese Mike Harding

Vigilia di Natale, 1914. Le stelle brillavano, brillavano luminose
e su tutto il fronte occidentale le armi tacevano, tranquille.
Gli uomini sonnecchiavano nelle trincee, nel freddo e nel buio ;
lontano, dietro le linee, un cane in un villaggio si mise a abbaiare

Chi pensava alla famiglia, chi cantava una canzone ad altri che stavano lì,
calmi, a giocare a carte o a rollare cicche per passare la notte di Natale.
Guardammo le trincee tedesche, qualcuno si mosse nella terra di nessuno
e nel buio arrivò un soldato con in mano una bandiera bianca.

Arrivarono allora, da entrambe le parti, degli uomini di corsa per la terra di nessuno,
passando i reticolati, il fango e le postazioni di artiglieria ; timidamente ci stringemmo le mani,
Fritz portò sigari e acquavite, Tommy carne in scatola e sigarette,
e mentre stavan tranquilli lì a parlare, la luna splendeva sulla terra di nessuno.

Questo episodio mette in luce un sotterraneo sistema di « vivi e lascia vivere » che si era sviluppato nella terribile guerra di trincea, un modo di sopravvivenza che comportava una tacita collaborazione tra le due parti che si riconoscevano parità di forze e di diritti. Si trattava di una serie di accordi non scritti, che andavano dal non tirare addosso alle latrine al non aprire il fuoco durante la colazione. Un altro accordo prevedeva che si facesse il maggior baccano possibile prima di un assalto di poca importanza, in modo che l’altra parte potesse ritirarsi in tempo nei bunker protetti. Tale sistema di limitazione delle ostilità non esisteva però ovunque, e quando venne alla luce fu severamente represso dai comandi militari. Questi accordi informali terminarono presto, via via che gli uomini venivano ammazzati dai cecchini, dalle artiglierie o dal gas. La fraternizzazione che, per breve tempo, fece seguito agli episodi del Natale del 1914, non continuò e non caratterizzò la violentissima e sfibrante guerra di trincea. La violenza stava sempre in agguato, pronta ad esplodere. [J.M. Winter, The Experience of World War I, p.133]

E così, il giorno di Natale, tutti facemmo una partita di calcio nella terra di nessuno,
Tommy portò un po’ di pudding natalizio, Fritz mise su una squadra di tedeschi
e anche se ci batterono a calcio, tutti ci dividemmo la trincea e bevemmo
e poi Fritz mi fece vedere una foto sgualcita di una ragazza mora lassù a Berlino

Per i quattro giorni dopo nessuno sparò né disturbò la notte,
Perché sia il vecchio Fritz, sia Tommy Atkins avevano perso la voglia di combattere.
Così ci mandarono via dalle trincee, e ci rimandarono nelle retrovie
sostituendoci con truppe fresche e ordinando alle armi di fare fuoco

E’ interessante notare che secondo gli studiosi della teoria dei giochi la politica del “vivi e lascia vivere” sviluppatasi durante la guerra di trincea è un tipico esempio di Tit for Tat, una strategia molto efficace per risolvere il dilemma del prigioniero ripetuto, che è stata anche usata per spiegare l’evoluzione dell’altruismo nelle comunità animali.

Le canzoni dedicate alla Tregua di Natale

Posted in Anniversari, Canzoni, Percorsi | Tagged Grande Guerra, Mike Harding, Tregua di Natale

Zitto!

By Antiwar Songs Staff on 23 Dicembre 2013

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Una poesia di Aziz Nesin, poeta turco 1915 – 1995.

Dedicata a chi si cuce la bocca perché non gli lasciano dire la verità.

Dedicata ai rappresentanti del popolo usi a obbedir tacendo –  e votando senza obiezioni qualsivoglia schifezza i loro capi gli facciano votare:  come  il decreto Salvaroma, votando il quale salvano soprattutto se stessi.

Buon Natale agli uni e agli altri. Stille Nacht, heilige Nacht, alles schlaft…

 

Zitto, non parlare,
è una cosa vergognosa.
Taglia la tua voce
sta’ zitto insomma
e se la parola è d’ argento
il silenzio è d’ oro.

Le prime parole
che ho sentito da bambino
che piangessi, ridessi, giocassi
mi dicevano Zitto!

A scuola mi nascosero
la metà del vero, mi dicevano
cosa importa a te, Zitto!

Mi baciava la prima ragazza
di cui mi innamorai e mi dicevano
Attento a non dir niente, Ssss…
Zitto!

Taglia la tua voce
e non parlare, sta’ zitto.
E questo durò fino
ai miei vent’anni.
Il discorso del grande
il silenzio del piccolo.

Vedevo sangue sul marciapiede,
ma a te che importa? mi dicevano
troverai le tue rogne, Zitto!

Più tardi gridavano i capintesta
Non ficcare il tuo naso dappertutto,
fingi di non capire, Zitto!

Mi sposai, ebbi bambini,
mia moglie era onesta
e laboriosa e sapeva stare zitta.
Aveva una madre saggia, che le diceva: Zitta!

In anni disgraziati i genitori,
i vicini mi consigliavano
non impicciarti,
fa’ come se non avessi visto niente.
Zitto! Forse non avevamo
conoscenze invidiabili con quelli,
con i vicini, ma ci accomunava
lo “Statti zitto”.

Zitto l’uno, Zitto l’altro,
Zitto in alto, Zitto in basso,
Zitto tutto il condominio
e tutto l’isolato.
Zitto le strade traverse
e le strade parallele.
Inghiottivamo le nostre lingue.
Abbiamo la bocca ma non abbiamo una favella.
Fondammo il Circolo del “Silenzio”
e ci riunivamo in molti,
una citta intera,
con una forza grande, ma muta.

Molto ottenemmo, salimmo in alto
ci diedero medaglie
tutto e ancor di più.
Facile, tutto con lo Zitto.
Ottima tecnica questo Zitto.

Insegnalo a tua moglie,
a tuo figlio, alla tua suocera
e quando sentirai il bisogno di parlare,
seccati la lingua
e fa’ in modo che stia zitta.

Strappala dalle radici.
Buttala ai cani.
L’unico organo inutile
dal momento che non
ne fai un uso corretto.

Così non avrai incubi
rimorsi e dubbi.
Non ti vergognerai davanti ai figli
ed eviterai il parlare confuso,
di’ senza parlare
avete ragione, io sono come voi.
Ah! quanto vorrei parlare, scemo che sono.

E non parlare,
diventerai un fanfarone
sbaverai invece di parlare.

Tagliati la lingua
tagliala subito.
Non hai limiti.
Infingiti mutolo.
Poiché non parlerai
meglio oserai.
Tagliati la lingua.

Per essere almeno
a posto nei miei progetti e sogni
tra gemiti e parossismi
trattengo la mia lingua,
perché ritengo che verrà
il momento in cui non resisterò
e scoppierò e non avrò paura
e spero che ad ogni istante
riempirò la mia laringe con un suono,
con un sussurro, con un balbettio,
con un urlo che mi dirà:
PARLA !!

trad. it Gian Piero Testa attraverso il greco.

Posted in Poesie | Tagged Aziz Nesin, Gian Piero Testa

Le feste sono arrivate (e siamo ancora in guerra)

By Antiwar Songs Staff on 22 Dicembre 2013

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Brett Dennen è un cantautore folk carnifoniano. Classe 1979, ha pubblicato diversi album in bilico tra folk e pop, per lui si sono sprecati vari paragoni (Bob Dylan, Tracy Chapman, Paul Simon…) che lasciano un po’ il tempo che trovano. Nel 2005 ha pubblicato una canzone, The Holidays are Here (and We’re Still at War)  che ci ha lasciati senza parole e che vogliamo riproporre in questi tempi di pellegrinaggio all’ipercoop e di luminarie natalizie. Perché in guerra ci siamo sempre tutti quanti.

Come pellegrini nel parcheggio,
arterie intasate da grumi di sangue
spingendo per i corridoi dei grandi magazzini
croci al neon e luminarie natalizie
debiti con carte di credito, biciclette nuove di pacca
le feste sono arrivate e noi siamo ancora in guerra

Il rabbino legge brani dell’antico Testamento,
il bancario dà un’occhiata agli investimenti annui
i babbi natale dell’Esercito della Salvezza chiedono soldi per i poveri
delusione della democrazia
le cascamorterie della politica estera fasulla
le feste sono arrivate e noi siamo ancora in guerra

Cieli pieni di smog e elezioni già fissate,
l’ìngiustizia colpisce da ogni parte
gente schiena a terra
a cercare qualcuno che ci liberi
un re con dei pugni come Mohammad Ali
le feste sono arrivate e noi siamo ancora in guerra

…

I poliziotti rompono i coglioni agli homeless
liti in famiglia, alcool e violenza
le porte della galera si spalancano
un’azienda licenzia un milione di dipendenti
e la fabbrica viene spostata all’estero
le feste sono arrivate e noi siamo ancora in guerra

Gesù versa un’altra lacrima
in un mare di duemila anni
nella vigilia di un nuovo anno ancora
lacrime di gioia, decisioni penose
e domani brindisi alla salute e al benessere
le feste sono arrivate e noi siamo ancora in guerra

Guerre di religione e dominio
commercio mondiale e globalizzazione
s’impenna il prezzo del petrolio
chiese solitarie stracolme di peccatori,
di non credenti e di neoconvertiti
le feste sono arrivate e noi siamo ancora in guerra

Posted in Canzoni | Tagged Brett Dennen, Natale

Il paese dei balocchi

By Antiwar Songs Staff on 18 Dicembre 2013

Patti Smith & Robert Mapplethorpe

Come si dice di solito? “Fate l’amore e non la guerra”. Bisognerebbe sempre dare un seguito a questo vecchio adagio; e in questo sito, contenente migliaia di canzoni che parlano di guerra (e, spesso, anche di amore e guerra), non poteva mancare  -fra gli extra ovviamente – la più bella canzone mai scritta sul fare l’amore.

Originariamente Because the Night fu incisa dal Boss durante le sessioni di registrazione dell’album Darkness On The Edge Of The Town. La leggenda vuole che il gruppo di Patti Smith stesse incidendo Easter nella sala accanto, e che ci fossero stati inevitabili scambi di nastri. La versione originale di Springsteen era una sorta di lamento di un lavoratore, una vera e propria working song; ritenendo che non avesse posto nell’album, la cedette a Patti Smith. Facendola così divenire una delle canzoni più famose del XX secolo, non è esagerato dire.

Prendimi ora qui come sto,
Stringimi forte, cerca di capire
Il desiderio è fame, è il fuoco che respiro
L’amore è un banchetto di cui ci nutriamo
Vieni qui ora, cerca di capire
Come sto quando sono nelle tue mani
Prendimi la mano, vieni sotto le coperte
Non ti possono fare del male ora,
Non possono, non possono farti del male ora
Perché la notte è di chi si ama,
Perché la notte è del desiderio
Perché la notte è di chi si ama,
Perché la notte è nostra

È vero che in questo sito parliamo di cose molto dolorose. Ma credo che dovremmo sempre sapere mantenerlo anche un meraviglioso Paese dei Balocchi. Lontano dagli intenti moralisteggianti del “Pinocchio”; Collodi aveva delle intuizioni geniali, ma le rovinava sempre con le sue mani. Il Paese dei Balocchi è invece l’antitesi del dovere, degli inquadramenti (la repressione comincia con la scuola, come giustamente cantava Edoardo Bennato in In fila per tre). In ultima analisi, il Paese dei Balocchi è l’antitesi della guerra! E, invece, cosa fece quel bischero di Collodi? Volle mostrare che, a baloccarsi, non si “diventa grandi” e, anzi, si “va in rovina”. Ci si trasforma in asini. Che idiozia. Protesto anche a nome degli asini.

La vera rovina dell’essere umano è, invece, proprio quella di “diventare grande”. Il gioco e il divertimento sono visti come “cose da bambini”, mentre i grandi fanno le cose serie (tra le quali, giustappunto, la guerra; ma non ci scordiamo il suo perfetto compare, il lavoro). Si parla d’amore, ma l’amore altro non è che il più bel gioco del mondo. L’amore è nemico del “diventare grandi”; forse anche per questo lo hanno sempre voluto neutralizzare, data questa sua natura altamente sovversiva.

Neutralizzare con le istituzioni, con le morali, con gli dèi, con la “procreazione” (parola di merda), con le leggi, col “matrimonio” (si noti: “matrimonio” è formato come “patrimonio”, ma alla donna il fare figli e all’uomo il fare soldi). Non parliamo neppure quando l’amore si manifesta nel suo modo più naturale, quello che viene comunemente chiamato in tutte le lingue “fare l’amore” (make love, Liebe machen, faire l’amour, göra kärlek, face drăgoste…); fare l’amore, e farlo per amore, è un reato se non lo si fa come vuole il potere. Con questo, il potere lo ha individuato come nemico. Quando i figli dei fiori cominciarono a dire “fate l’amore e non la guerra” non era solo un gentile slogan; era qualcosa che, grattata in profondo, sottintendeva cose assai più importanti e più rivoluzionarie.

Per questo, e lo dico con sempre maggiore convinzione, questo sito deve adempiere alla sua vera natura: mostrando il dolore espresso attraverso delle canzoni, essere un luogo di gioco e d’amore. In tutte le accezioni dei due termini, particolarmente quelle più sgradite a lorsignori. Il Paese dei Balocchi, certo, ma un Paese dei Balocchi fatto di ragazzine e ragazzini che giocando e amando (in tutti i sensi, anche scopando come ricci) fanno una delle pernacchie più terrificanti al potere, alle sue leggi, alle sue guerre. [RV]

Posted in Canzoni | Tagged Amore, Bruce Springsteen, Erotismo, Patti Smith

Il vento dell’Apartheid

By Antiwar Songs Staff on 13 Dicembre 2013

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Nel 1984, cercando ispirazione in seguito al fallimento di critica e commerciale dell’album Hearts and Bones, Paul Simon rimase affascinato da una cassetta che suonava regolarmente in macchina, una compilation di gruppi sudafricani chiamata Accordion Jive Hits, II.Nel 1985, presi dei contatti grazie all’etichetta discografica con alcuni gruppi locali, Simon volò in Sudafrica.

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Era un momento critico per il paese. Il regime dell’apartheid era in una delle fasi più dure. Le Nazioni Unite avevano approvato sanzioni economiche e un boicottaggio culturale. Non erano solo gli attivisti politici ad interessarsi alla situazione in Sudafrica. Negli anni precedenti, molti artisti avevano denunciato il regime sudafricano scrivendo numerose canzoni, dalla potente “Biko” di Peter Gabriel al classico degli Specials “Free Nelson Mandela”. Proprio mentre Paul Simon volava a Johannesbourg, musicisti dello spessore di Dylan, Springsteen, Bono e Steve Van Zandt avevano pubblicato “Sun City” sotto il nome “Artists United Against the Apartheid”.

Per questo la rottura dell’embargo culturale di Paul Simon, che registrò parte dell’album Graceland in Sudafrica, ammettendo addirittura in un documentario pubblicato a 25 anni dall’uscita dell’album di essersi trovato costretto ad accettare il razzismo dei tecnici di studio bianchi verso i musicisti neri, fu visto da molti come un tradimento.

Ovviamente, però, Paul Simon non era razzista, ed anzi la sua operazione gli permise non solo di sfornare il capolavoro ineguagliato della sua carriera, ma anche di far conoscere al mondo la musica nera sudafricana e di dimostrare il potere dell’espressione artistica di superare l’oppressione politica, e l’abilità degli artisti di diversissime culture ed esperienze di riuscire a trovare una voce comune per comunicare. Graceland fu anche criticato per non avere dei testi esplicitamente impegnati, anzi in molte canzoni stupiva l’accostamento tra le musiche africane e i testi surreali e spiccatamente newyorchesi dell’artista americano. Comunque al tour africano seguito alla pubblicazione dell’album, parteciparano – oltre ai musicisti che avevano registrato la versione in studio – anche i celebri esiliati Miriam Makeba e Hugh Masekela. I concerti si concludevano con l’esecuzione corale dell’inno dell’ANC, Nkosi sikelel’ iAfrika.

Tuttavia anche nell’album c’è un testo che, anche se non esplicitamente, racconta le sofferenze del popolo sudafricano ed è la traccia più particolare e più “africana” dell’album, “Homeless”. Si tratta di una lunga composizione eseguita completamente a cappella.

L’incredibile gruppo che accompagna Paul Simon in questo pezzo cantando le parti in zulu si chiama Ladysmith Black Mambazo, che significa “Il martello nero di Ladysmith”, una township sulla costa orientale del Sud Africa. Simon li aveva visti in un documentario (Rhythm of Resistance: The Music of South Africa) sull’uso della musica nella resistenza all’apartheid.

Il testo, che alterna le lingue zulu e inglese, descrive l’esperienza del gruppo di essere senza casa nel loro stesso paese, per le violenze e le deportazioni subite dai neri sudafricani sotto il “vento forte” del governo dell’Apartheid.

Posted in Canzoni | Tagged Ladysmith Black Mambazo, Paul Simon, Sudafrica

In ricordo di Gipo Farassino

By Antiwar Songs Staff on 11 Dicembre 2013

Gipo Farassino

E’ morto oggi a Torino il cantante, cantautore e politico piemontese Gipo Farassino. Aveva 79 anni.

Lo ricordiamo con Ballata per un eroe, un testo bellissimo del 1969. Gipo Farassino, piemontese, chansonnier eccelso e traduttore di Brassens in piemontese. Considerato, a suo tempo, una sorta di anarchico. Poi, a un certo punto, s’è dato alla Lega Nord, quel partito che non abbiamo, altrove, esitato a definire nazista, e che non esitiamo nemmeno adesso. Dicono che negli ultimi anni si sia defilato anche dalla Lega; meglio comunque così. Fortunatamente i testi e le canzoni, a un certo punto, prendono un’altra strada, o rimangono sulla strada che avevano.

Partire partirò partir bisogna
Cacciando in fondo al cuore la vergogna
Di appartenere a un gregge muto e vile
Che non sa dir di no ad un fucile

Partire partirò e un cappellano
Con un sorriso mesto nella mano
Mi porgerà un’immagine e un addio
Nel nome intemerato del buon Dio

Lo squillo sgangherato di una tromba
Ed il fragore della prima bomba
Per quanto possan essere potenti
Non copriranno il batter dei miei denti

E all’ordine imperioso dell’attacco
indietro resterò da buon vigliacco
E sconterò alfine la mia pena
Crepando con sei palle nella schiena

Posted in Artisti, Canzoni, In ricordo | Tagged Gipo Farassino

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