Comunemente si pensa che sia stato Francesco Guccini il primo a intitolare un intero album di canzoni con il suo indirizzo di casa. Via Paolo Fabbri 43. Chi non lo conosce almeno di nome, questo indirizzo? No, non è stato il primo. È stato almeno il secondo, e non a caso. E anche leggermente a sproposito, visto che in Via Paolo Fabbri 43 Guccini non ce lo ha mai confinato nessuno ed è stato sempre libero di andare e venire a suo piacimento, magari per giocare a fare il montanaro pavanese. A chi non lo conoscesse, presento invece il primo in assoluto che ha intitolato un album di canzoni con l’indirizzo di casa.
Si chiama Wolf Biermann, cantautore e poeta comunista tedesco con l’eterna vocazione a rompere i coglioni, sempre e comunque. Amburghese di nascita, nato nel 1936 in pieno III Reich, a sua volta di famiglia antinazista e comunista (celebre la sua canzone-ritratto sulla nonna, “Oma Meume”). Nei primi anni ’60, ritenendo che la Germania Occidentale tutto abbia fatto fuorché i conti col suo passato nazista, è uno dei pochi che passa il Muro in senso inverso e si stabilisce in Germania Est. Rompere i coglioni è una vocazione: ben presto, sempre e rigorosamente da comunista, comincia a romperli abbondantemente anche alle autorità della DDR. A modo suo. Con canzoni e poesie nelle quali denuncia che in quel paese “socialista”, di autenticamente socialista c’è soltanto il nome e la facciata.
Le autorità “comuniste” tedesche orientali vanno in crisi. Non sono certo abituate ad essere criticate, e pesantemente, da sinistra. Accusate senza mezzi termini di tradimento. Gli arrivano “avvertimenti”, data anche la sua enorme notorietà in entrambe le Germanie. Finché di lui non si occupa addirittura l’ 11° Plenum del Comitato Centrale della SED, il partito comunista ufficiale della DDR. Il Plenum stabilisce nei confronti di Biermann il divieto totale di esibirsi in pubblico, di pubblicare album e di lasciare il territorio della Germania Est. Poco dopo gli arrivano anche gli arresti domiciliari: deve restarsene chiuso in casa. Nel suo appartamento di Chausseestrasse 131. È il 1969.
È lì che Biermann compone il suo primo album di canzoni, inteso come album organico e non come raccolta di singoli pezzi. Lo compone e, essendo prigioniero, se lo registra da solo. In casa. Alcuni amici gli fanno arrivare dalla Germania Ovest, di contrabbando, un registratore a nastro Grundig e un microfono Sennheiser. Apparecchiature di fortuna, ma ottime; talmente ottime che, mentre registra le canzoni, il microfono cattura i rumori della strada e persino del tram che passa. Biermann riesce poi a inviare le tracce registrate di nuovo a Berlino Ovest: all’album dà il titolo più logico. L’indirizzo di casa e della sua prigione. Chausseestrasse 131, appunto.
Appena uscito, l’album viene salutato come un capolavoro. E lo è. Riceve immediatamente il Premio Fontane, un prestigioso premio musicale istituito a Berlino nel 1948. Bisognerà aspettare il 1976 prima che Biermann possa di nuovo esibirsi in pubblico e cantare le sue canzoni, anche quelle di “Chausseestrasse 131”; curiosamente, ciò avviene in una chiesa protestante berlinese.
Guccini deve aver conosciuto almeno la storia di Biermann e di questo album. Certamente è stato abile; e certamente “Via Paolo Fabbri 43” è il suo capolavoro; questo almeno lo ha in comune con Biermann. Ma non era una prigione. Tanto meglio per Guccini, che del resto, per sua stessa ammissione “non è mai stato comunista”, neppure quando terminava i concerti con tanto di pugno chiuso.
[RV]
Sulle CCG: tutto l’album con traduzioni e introduzioni
– Die hab’ ich satt!
– Das Barlach-Lied
– Deutschland: Ein Wintermärchen (1. Kapitel)
– Ballade auf den Dichter François Villon
– Deutschland: Ein Wintermärchen (Fortsetzung)
– Wie eingepfercht in Kerkermauern
– Zwischenlied
– Frühling auf dem Mont Klamott
– Moritat auf Biermann seine Oma Meume in Hamburg
– Großes Gebet der alten Kommunistin Oma Meume in Hamburg
– So soll es sein – So wird es sein
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