Nessun uomo è un uomo qualunque la si potrebbe chiamare, agevolmente, la premessa necessaria non soltanto delle “canzoni contro la guerra” (il che sarebbe una cosa abbastanza trascurabile), ma di tutta una serie di cose che regolano l’umanità intera. E’ una canzone terribilmente semplice, proveniente ironicamente da un cantautore che è stato considerato tra i più ostici alla comprensione (parecchi hanno cantato “Anna di Francia” credendo che parlasse di una regina dell’ancien régime, naturalmente la consorte di quel coglione di Luigi Nono, o Louis IX). Dice, questa canzone, che non esiste la “gente”, ma esistono le persone; tutte con la loro vita e la loro storia. Dice che non si ha il diritto di non portare loro rispetto, e il rispetto non va attualmente per la maggiore (se mai c’è andato). Dice che la valigia di ognuno di noi è piena di alcune cose che andrebbero attentamente considerate, e che vengono minuziosamente elencate nel testo. Sciorinate una dopo l’altra. Un regalo, una rosa, un pigiama in galera. Una giacca logora (libertà e povertà in una sera). Un dolore che piega la schiena.
Così, si ascolta questa canzone e si tende prima o poi a esserne toccati, persino a commuoversi. Perché si applica tutto quanto a noi stessi, e ci si rivede in essa; noi uomini qualunque, ecco finalmente qualcuno che dice che nessuno è ordinario. Una consolazione. Siamo poi, però, gli stessi che facciamo fatica ad applicare i medesimi princìpi agli altri, princìpi che sono enunciati minuziosamente nelle loro essenze (la sofferenza, l’amore, la libertà). Non siamo così pronti a considerare speciale, e mai qualunque, chi ad esempio si getta su un gommone o su un barcone per venire a approdare da queste parti; la massa dei clandestini, degli immigrati soggetti a bossi-fini e CIE. Non-persone che non possono avere avuto, e avere, amori, dolori, regali, rose, giacche e libertà. Può quindi venire a mente, e così dovrebbe essere, che nessun uomo è qualunque come non è illegale. Può venire a mente che nelle galere non sta la “popolazione carceraria” fatta di statistiche, ma persone cui noialtri riserviamo le atroci ciance sulla “certezza della pena” e il forcaiolismo da bar. Può venire a mente che chi sta arrivando a Lampedusa o altrove non sono generici “profughi siriani”, ma Mohamed ibn-Qualcosa o Aisha bint-Qualcosaltro, che hanno lasciato regali, rose e tutto il resto da qualche parte che non rivedranno. Possono venire a mente ragazzi qualunque come Federico Aldrovandi, come Stefano Cucchi, come Marcello Lonzi, come Alexis Grigoropoulos, come Giorgiana Masi. Può venire a mente, in definitiva, che nessun uomo e nessuna donna sono qualunque, a condizione che non siano qua sotto casa a rompere i coglioni, sotto una forma non troppo gradevole. Che so io, in forma di zingaro, di matto, di dimenticato. O in forma di “fallito”, uno dei termini che la società capitalista ha diffuso applicando tipicamente la mentalità e la prassi commerciale alla vita e alla morte umana.
Attenzione, quindi, a commuovervi troppo quando avrete ascoltato questa canzone senza conoscerla. Proprio lei, quella del Lolli “palloso”. Potreste reagire come tutti e pensare esclusivamente alla vostra vita del cazzo, che vi urla “qualunque!” da qualunque angolo di un luogo qualunque di questo mondo. Quando comincerete a guardare chi vi passa accanto pensando alle persone come portatrici di unicità, allora vorrà dire che la avrete capita bene o, addirittura, assimilata. Potrebbe, questa cosa, farvi decidere alcune cose non propriamente gradite ai poteri e ai sistemi, per i quali è fondamentale che tutti noi siamo dei Qualunque proni all’obbedienza, alla massificazione, ai pensieri unici. L’unicità, invece, è pericolosissima: crea consapevolezza, forza e coraggio. Tre cose che, a loro volta, creano il no. Creano la ribellione.
Buon ascolto. [RV]
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