Non vedo alcuna ragione per cui ad un paese dovrebbe essere permesso di diventare marxista soltanto perché il suo popolo è irresponsabile. La questione è troppo importante perché gli elettori cileni possano essere lasciati a decidere da soli.
(Henry Kissinger, premio Nobel per la pace 1973)
Racconta Miguel Littín, il regista cileno de “La tierra prometida” che, quando, nel 1985, tornò clandestino e travestito in Cile per girare un documentario di accusa sulla dittatura di Pinochet (“Acta general de Chile”), il primo giorno in cui tornò nella sua città, che non vedeva dalla sera del 12 settembre ’73 quando ne era fuggito assieme alla famiglia, inseguito dagli assassini fascisti, si mise a camminare per le strade di Santiago come in trance. Fu “risvegliato” proprio da un passante che, sottovoce, cantava Yo pisaré las calles nuevamente di Pablo Milanés.
E me ne andrò di nuovo per le strade
Di quel che fu Santiago insanguinata,
E in una bella piazza liberata
Mi fermerò a pianger per gli assenti.
A quarant’anni di distanza dal golpe, l’attuale presidente cileno Sebastián Piñera ha tranquillamente dichiarato che “fu il governo socialista di Unidad Popular a distruggere la legalità e lo stato di diritto”.
Per non dimenticare: le canzoni sul colpo di stato cileno e sulla dittatura di Pinochet.
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