L’anno era il 1970 e, in Spagna, il generalissimo Franco godeva ancora di ben cinque anni di schifosissima vita. Il poeta andaluso di lontana origine toscana Rafael Alberti (suo nonno Tommaso Alberti Sanguinetti era un garibaldino pistoiese riparato in Spagna), invece, era in esilio in Italia. Facente parte della famosa Generación del ’27, assieme agli Aleixandre, ai García Lorca, ai Salinas e ai Guillén, aveva aderito al Partito Comunista e aveva combattuto il franchismo; dal 1939 non aveva più messo piede in Spagna; dal 1963 viveva a Roma.
La sua poesia Balada para los poetas andaluces de hoy parla del presente di allora, dei poeti andalusi di quell’oggi che si ritrovavano soli, dopo che i loro predecessori, uomini liberi, erano stati distrutti, annientati, esiliati dalla dittatura franchista. Una poesia dove la libertà si scontra con il deserto, con la solitudine. I poeti esistono ancora, ma che cosa cantano, che cosa vedono, che cosa sentono? Cantano, vedono e sentono con voce di uomini, ma gli uomini non ci sono più. Sono soli.
Cantan, y cuando cantan parece que están solos
Miran, y cuando miran parece que están solos
Sienten, y cuando sienten parece que están solos
¿Qué cantan los poetas, poetas andaluces de ahora?
¿Qué miran los poetas, poetas andaluces de ahora?
¿Qué sienten los poetas, poetas andaluces de ahora?
Sembra che l’Andalusia intera sia rimasta senza più niente, privata dei suoi uomini migliori. Uccisa dai fucili dei traditori, mandata via lontano senza più speranza di ritorno. E Alberti, che andaluso lo era profondamente nonostante l’esilio lo avesse fatto tornare nella terra dei suoi lontani avi, lo sentiva bene, meglio degli altri. Lo sentirà ancor più quando il suo amico e sodale Pablo Neruda, che aveva la Spagna nel cuore, morirà, solo, nell’orrore di un’altra dittatura che aveva appena iniziato a insanguinare il Cile; gli dedicherà, a Firenze, un commosso discorso iniziato in un italiano incerto e proseguito in spagnolo, e un volume intitolato Cile nel cuore.
Ma i poeti non sono mai soli. Cantano, guardano e sentono più alto; altre voci risponderanno, altri occhi guarderanno, altri orecchi sentiranno. Con questa poesia, Rafael Alberti enuncia nel modo più semplice (la semplicità è il vero metro della grande poesia) il modo in cui i poeti comunicano, anche quando la loro terra è in preda alla più cupa e nera solitudine della tirannia.
Nello 1970, un gruppo folkloristico spagnolo, Los Aguaviva, che allora godeva di una discreta fama anche in Italia, decise di mettere in musica questa poesia, rielaborandola per adattarla alla melodia composta dal leader, produttore e compositore Manolo Díaz. Erano autenticamente altri tempi, tempi in cui una poesia del genere di Rafael Alberti, musicata e cantata da un gruppo folk spagnolo poteva balzare in testa alle classifiche dei dischi più venduti. Presentata con il titolo abbreviato di Poetas andaluces, riuscì ad entrare nella hit parade italiana. La si sentiva nei juke box.
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