L’assassinio freddamente premeditato del trentaquattrenne rapper antifascista Pavlos Fyssas, che, sulle prime, la stampa e gli scoliasti politici greci avevano cercato di banalizzare, presentandolo come la conclusione di uno scazzo tra tifosi di squadre calcistiche rivali, è venuto alla luce per quello che è stato, cioé un agguato organizzato con forze e tempistica tali da non lasciare scampo all’ “obiettivo”. Dall’uovo d’oro di cui parla il testo di Riccardo non potevano non nascere che serpenti velenosi: il problema è però di sapere chi l’abbia covato, quell’uovo. Che sia stato cacato dal sistema capitalistico, è cosa che va da sè. Ma il sistema è un Briareo dalle molte mani, che usa via via a seconda delle circostanze e delle fasi che attraversa. Usa la mano che sa blandire, quella che sa indicare la via, quella che tiene il timone, quella che copre gli occhi di chi non deve vedere, anche quella caritatevole che distribuisce e soccorre, eccetera eccetera: ma, siccome conosce e teme le proprie debolezze e le proprie contraddizioni, perché la sua mano maestra e irrinunciabile è pur sempre quella prensile, non trascura di tenere in serbo qualche mano di ferro, che sia pronta all’uso quando, prendi e prendi, sono troppi quelli che si scoprono in brache di tela e incominciano a sussurrare qualche “adesso basta”. Siccome, prendi di qua e prendi di là, il sottosistema greco ha negli ultimi tempi preso qualcosa anche da altri più ricchi prenditori, che sono allenati a fingere di dare per poi riprendere nel momento opportuno con lauti interessi, arrivato il momento di pagare e non potendo fare la voce grossa con prenditori troppo più forti di lui, la sta facendo con i soliti poveri diavoli, ma anche – questa è la novità – con tutti quelli che avevano leccato la sua mano benevola, quella, dico, affidata in gestione alla politica affinché il gioco del dai e del prendi si perpetuasse con l’immancabile vittoria del banco.
Il banco, in realtà, non salterebbe, se i debiti li pagasse tutti lui (in Svizzera ne sanno qualcosa, ma non lo dicono volentieri): però un principio di quelli sacri e non negoziabili vieta che qualcosa del genere possa mai accadere. Per questo, tre o quattro anni fa, quando i vari sottosistemi del capitalismo occidentale cominciarono a traballare per l’insipienza loro, quello greco cominciò ad allertare le mani di ferro, che si trovassero pronte, perché non si sa mai che cosa può succedere nella vita.
In Grecia le mani di ferro sono sostanzialmente due.
Una è quella dello Stato (che in greco, come sa tutto il mondo civile, si dice “kratos”). Si chiama Astinomìa, che più o meno vuol dire “Regola della Città”. L’altra , o meglio: le altre ( perché in questo campo vige una discreta libertà di iniziativa e di concorrenza), si chiamano “parakratos”: “parastato” dovremmo dire, ma da noi la parola ha un altro significato.
La Astinomia fa il suo lavoro quasi alla luce del sole: è la mano della Legge, mantiene l’ordine con i mezzi legali anche se, come tutte le polizie del mondo, si lascia spesso e volentieri prendere la mano. Il popolo basso e, ancora, coralmente alcuni quartieri della capitale e delle grandi città hanno per tradizione un pessimo rapporto con la polizie dello stato greco. Alle sue spalle il popolo basso ha una o due generazioni di gente profuga e immigrata dalle campagne e dall’Asia Minore, confinata a lungo in baraccopoli invivibili, stretta tra la malavita, con cui facilmente si confondeva perché ci conviveva, e le velleità d’ordine delle classi agiate dirigenti, che reclutavano gli agenti anche tra i malavitosi, così come nelle campagne avevano reclutato le guardie rurali tra i briganti, e li usavano per controllare e vessare, corrompere e intimorire quella gran massa misera, ma capace di una sua autonoma cultura e di una radicata solidarietà. Tra “batsi” (così vengono per disprezzo chiamati i poliziotti) e plebe urbana non è mai corso buon sangue: ma solo sangue. E questa reciproca ostilità si trasmise attraverso le generazioni, anche quando i nuclei omogenei dei quartieri furono dispersi e le piccole abitazioni di fortuna furono sostituite dai casamenti della speculazione fondiaria.
Il fatto è che nelle svolte storiche cruciali del Paese le forze di polizia hanno puntualmente fatto il lavoro più sporco: così nel fascismo di Metaxas, così nell’ occupazione, così nel periodo della guerra civile, così nella reazione dei Colonnelli, così nelle lotte sociali seguite alla democratizzazione. Molti giovani di estrazione plebea, anche quando hanno potuto studiare e collocarsi nella piccola borghesia impiegatizia dello Stato e dei servizi, non hanno dimenticato cosa abbiano significato le “forze dell’ordine” per i loro padri e per i loro nonni e, molto spesso, anche per loro stessi.
Tra parakratos e astinomia – è quasi superflo dirlo – la simbiosi è praticamente un luogo comune, che però non costituisce una leggenda metropolitana: è la pura e semplice realtà. Qualcuno ha di recente studiato i risultati elettorali nelle sezioni coincidenti con le caserme della polizia: il successo di Chrysì Avghì è a dir poco spettacoloso. Il deputato Kassidiaris, oggi in stato di arresto, ma già noto per avere malmenato durante un dibattito elettorale televisivo due signore candidate dei partiti della sinistra, ha studiato all’Università, ma si è formato militarmente nella Polizia. Un paio di giorni fa è finito dentro un poliziotto di Rodi che addestrava i nazisti locali. La contiguità – e lo scambio di assistenza “tecnica” e di coperture – tra Polizia greca ed Albadorata è stata a sufficienza documentata, e credo si possa dare per incontrovertibile.
Alba Dorata, però, presenta qualche carattere nuovo rispetto al tradizionale “parakratos” che in varie forme fu attivo nelle crisi del passato. Oggi agisce esplicitamente su tre livelli. Ha cioè ambizioni più grandi di quelle che muovevano un tempo le sue squadre armate, quando fiancheggiavano i Tedeschi, e poi gli Inglesi, o quando eliminavano nottetempo gli avversari politici, o li provocavano nei locali pubblici alla ricerca di esiti cruenti. A queste imprese, cui come si è visto non rinuncia, si sono aggiunti altri due livelli di iniziativa: uno “sociale” e uno politico praticato in prima persona.
Al primo si devono, credo, sia i successi elettorali di questa organizzazione (che un poco corrisponde alla “nostra” Forza Nuova e, in parte al versante più chiuso e provincialmente razzista della “nostra” Lega, e anche, per stile e imprese, ai vari skin-head europei) sia la sua penetrazione anche nell’elettorato popolare; al secondo – questa è la mia impressione – le difficoltà giudiziarie in cui in questo momento sta versando. Cerco di spiegarmi.
Un piccolo campionario di feticci nazifascisti trovato (insieme alla Luger e ad altri oggettini del genere) nell’appartamento dell’onorevole Christos Pappas, deputato di Alba Dorata
La crisi del debito pubblico e le misure imposte dalla Troika hanno messo in difficoltà drammatiche la maggior parte della popolazione, sia gli strati tradizionalmente poveri, sia quelli che erano ascesi a una certa disponibilità di beni e servizi e di posti di lavoro stabili che, da un mese all’altro, hanno perso reddito, sicurezza e prospettive per il futuro. Lo scambio di vantaggi tra partiti ed elettorato si è come congelato, e la crisi dei tradizionali partiti è emersa in modo vistosissimo.
Siccome il nodo cruciale (chi deve pagare? ) deve comunque essere eluso, fa gioco al sistema che si parli d’altro: della corruzione e del costo della politica, dell’esaurimento delle vecchie forme di resistenza sociale e di organizzazione del consenso, della fine delle ideologie, e bla bla bla. Cose che sappiamo benissimo anche noi. Di fronte alla caduta verticale e simultanea della disponibilità di lavoro e reddito e del welfare, gli Albadorati hanno giocato su due livelli: dapprima attivandosi sul piano sociale come paladini dei più deboli – da difendere dalle sanguisughe di partito e dalla concorrenza degli immigrati – offrendo elementari servigi ai pensionati, agli infermi e ai disperati e perseguitando visibilmente e violentemente gli stranieri; e quindi capitalizzando la simpatia così guadagnata per incunearsi nelle istituzioni: una ventina di parlamentari su 300 non sono proprio un’inezia.
E’ a questo punto che, credo, ha incominciato a formarsi una contraddizione tra Alba Dorata e partiti di governo. Ottima cosa che, a corroborare la Polizia di stato ci sia una mano di ferro più duttile, delle cui azioni non debbono rispondere direttamente i ministri: nei momenti acuti, in Grecia, si è sempre fatto così. Ma contendere lo spazio ai partiti e soprattutto a quello di centro-destra, qui sinceramente si sta andando troppo in là. Se l’azione “sociale” degli Albadorati contende voti alla sinistra – e va bene – quella politica ridimensiona le prospettive di recupero di Nea Dimokratia, e questo è male, molto male.
Alba Dorata aveva bisogno di consolidare la sua presa nel sociale, presupposto di futuri successi elettorali; i partiti al governo e soprattutto ND avevano bisogno che qualcosa accadesse per ridimensionare e ridurre al suo ruolo di strumento del sistema l’utile concorrente, diventato però troppo ingombrante.
Il fatto che Fyssas, nella sua veste artistica di Killa P, riuscisse a parlare ai giovani nel loro linguaggio; e che il messaggio che diffondeva fosse sì contrario al sistema, ma in un’inequivocabile chiave antifascista, doveva avere preoccupato assai gli strateghi di Alba Dorata: eliminarlo poteva rappresentare un vantaggio di per sè, una intimidazione per chi si mettesse ancora di traverso e una dimostrazione di forza e di impunità. Perché allora non farlo?
Io non so se i partiti di governo si aspettassero un passo falso di Alba Dorata. Immagino però che lo desiderassero. Avevano ormai un bisogno estremo di ridimensionare questo concorrente insidioso e protervo.
Dopo un momento di incertezza, la macchina capace di rimettere nel suo recinto Alba Dorata è scattata, sul piano giudiziario e su quello politico.
Sei grossi serpenti e trenta serpentelli minori, ma tutti velenosi e tutti usciti dall’Uovo d’Oro tanto amorosamente covato, sono attualmente al fresco: così imparano a non passare il limite assegnato.
Il serpente principale ha già strillato una litania che a noi sembra di avere sentito anche dalle nostre parti: magistrati politicizzati, persecuzione giudiziaria, fine dello stato di diritto, mortificazione del voto dei cittadini, colpo di stato…
Forse per parentela, forse per solidarietà tra rettili, qui da noi c’è una Pitonessa, una Biscionessa meglio dire, che sembra specializzata in questo genere di litanie. Forse è il caso che parta d’urgenza per la Grecia: anche là c’è del pane – nero – per i suoi denti. Vada, strilli, sibili: c’è ampio spazio perché sia ascoltata.
Mica si crederà che davvero in Grecia vogliano farla finita con l’Uovo d’Oro.
(Gian Piero Testa)
Siete fortunati perché politicamente sono un morto e non posso parlare!
Nel buio in cui mi trovo voglio dirvi che arrossisco, mi vergogno di essere Greco, poiché hanno aspettato che venisse ucciso un ragazzo perché si svegliasse questa sfilata. Non 20, 30 e 100 albadoristi da mettere in prigione IL RAGAZZO NON RESUSCITA!
E voglio sapere come all’improvviso si è scoperta questa organizzazione, che quel partito è criminale? Non lo sapevano tutti costoro, sia il governo sia l’opposizione, i deputati, che lo strato inferiore della società è tormentato?
Un medico ha detto che abbiamo avuto 1000 accoltellamenti. Un Pachistano ha detto a Nicea, abbiamo 800 accoltellamenti! Non le sapevano queste cose costoro? E accettavano di sedere in Parlamento, nel Tempio della Democrazia, con simili rifiuti?
Me ne ritorno nella mia tomba!!!DICHIARAZIONE DI MIKIS THEODORAKIS 28 settembre 2013
E si sospetta allora, in modo esageratamente preciso, il gioco di potere. Prima si inventa la favola, e poi la si fa terminare per diventarne gli eroi. Dopo il “sangue greco” versato (quello pakistano o di altri paesi del genere, Mikis, ti sei già accorto da solo che conta poco o nulla) si mettono su gli arresti in pompa magna, con tanto di “Stato che risponde” e di “Democrazia salda”, provocando la reazione dell’Alba Dorata perseguitata. E così ci saranno altri scontri, e scorrerà altro sangue in base sia a decisioni prese a tavolino, sia in base alla realtà contingente.
Continuerai allora a chiederti, Mikis Theodorakis, come mai “accettavano di sedere nel Tempio della Democrazia assieme a simili rifiuti”? Lo accettavano, semplicemente, perché Alba Dorata è un’utile componente del sistema, del loro stesso sistema. I fascisti sono sempre stati, e sempre saranno, una componente dello Stato, e ne fanno pienamente parte. Di converso, lo Stato considera i fascisti dei suoi rappresentanti assai dinamici, oltre che uno strumento facile da utilizzare. Lo si è visto fin dalla nascita del fascismo. Ovunque si sia manifestato, i suoi modus operandi sono stati pressoché identici, come identici sono stati i suoi finanziatori più o meno occulti.
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