Quante volte Piero hai sognato di resistere
a questa sporca guerra che nessuno vuole vincere
e scende nera l’ombra del nemico su di te
Sparagli Piero, sparagli ora e se si rialza
sparagli ancora!
È una canzone importante, questa Alba di Piero dei Destir. Una canzone che, sin dal titolo, si rifà ad una delle più famose canzoni contro la guerra di ogni tempo, e sicuramente la più celebre in lingua italiana: La guerra di Piero di Fabrizio De André. Sin dal titolo e soprattutto nel celebre refrain, “Sparagli Piero”. Ma siamo, qui, in un’ottica diversa. Radicalmente diversa. L’ottica di De André, il suo punto di partenza, è la rassegnata obbedienza del coscritto che deve partire per la guerra, e che “marcia con l’anima in spalle”, coi suoi pensieri neri, senza mettere in discussione il fatto che lui alla guerra ci deve comunque andare.
Il Piero cui i Destir si rivolgono con questa canzone non è quel soldato senza tempo, o sospeso in una specie di medioevo senza tempo, che De André ci ha presentato sotto la precisa influenza di Brassens. Questo è un Piero che verrebbe la voglia di situare direttamente nelle giungle del Vietnam, o a Bagdad. È un Piero da Apocalypse Now. Un Piero cui vengono fatti toccare con mano tutto l’orrore, il sangue, l’atroce rumore, la pazzia assassina di ogni guerra. È il Piero della guerra odierna, questo; un Piero che, finalmente, viene strappato all’atemporalità per essere situato nella sua epoca, che è anche la nostra.
Forse, inconsciamente, avevo presente questa canzone quando, qualche tempo fa, avevo scritto una sorta di “parodia” della “Guerra di Piero”, ambientandola in Iraq: La guerra di Peter. Non sono ovviamente incline ad autocitarmi, ma penso che in quest’unico caso possa essere pertinente. Si tratta anche in questo caso di un trascinare Piero in una situazione reale, con la coscienza che il testo di De André ha nella sua atemporalità sia la sua grandezza che il suo limite.
La sua grandezza, perché, con la sua struttura, “La guerra di Piero” è diventata una canzone universale. Il suo limite, perché la sua sospensione la rende in un certo qual modo rassicurante. Questa “Alba di Piero”, invece, è una serie di grida che tutto vogliono essere, tranne che rassicuranti. Non siamo “in fondo alla valle”, qui. Non ci sono solo due uomini che si vengono incontro “con la divisa di un altro colore”. Qui siamo al fronte. Qui siamo in una battaglia. Qui siamo in un mare di fuoco e di bombe. In fondo, il Piero di De André, con la sua morte solitaria e rapida (non osiamo dire indolore, ma la tentazione è forte…) e il suo campo di papaveri rossi, è scampato a tutto questo. Il Piero di questa canzone, il suo compagno che gli parla e tutti i Pieri che sono lì in quel momento stanno vivendo la follia nel suo crudissimo realismo.
Questa volta giuro Piero io non obbedisco;
quelli sono forti, Piero, quelli sparano davvero,
sogno di fuggire, ma mi vien da vomitare,
muoio di paura, Piero, e sto per sanguinare
“Giuro, Piero, stavolta non obbedisco”. È qui il passo decisivo. È la coscienza del rifiuto. La diserzione. Il passo che il Piero di De André non è stato pronto a compiere, con quel suo andare avanti, con quella sua valle, con quella sua “frontiera” imprecisata. Qui, invece, la frontiera è stata prima varcata dai missili lanciati da centinaia di chilometri di distanza. Gli uomini sono venuti dopo. La morte è venuta come un grappolo infuocato e si è sparsa su tutti. E chi è ancora vivo, pensa finalmente alla ribellione. Piero, finalmente, si trova davanti a chi gli propone un’esatta e definitiva presa di coscienza. [RV]
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