In un sito di “canzoni contro la guerra” forse l’ultimo percorso che ci si aspetta di trovare è una raccolta di inni nazionali. Per loro stessa natura gli inni sono ovviamente nella maggior parte dei casi componimenti nazionalistici e militaristi.
Nel percorso Inni e Controinni abbiamo infatti raccolto prima di tutto i rifacimenti in chiave ironica o antimilitarista dei più famosi inni nazionali.
Cominciamo naturalmente con gli Stati Uniti e con l’incredibile performance di Jimi Hendrix sul palco di Woodstock nel 1969. La versione per chitarra solista di “The Star Spangled Banner” non ha bisogno di parole per descrivere l’orrore della guerra nel Vietnam. Grazie all’utilizzo di una potente distorsione e di tecniche non convenzionali, Hendrix riesce a creare con la chitarra immagini potenti ed eloquenti. Allantonandosi dalla linea melodica originale, usa note acute per simboleggiare le bombe che cadono e la distorsione per rappresentare la conseguente esplosione. Il suono di un fucile che spara è ottenuto colpendo velocemente le corde della chitarra. L’inno nazionale si trasforma in un incubo per tutti i giovani spediti a combattere in un paese lontano.
Nel Regno Unito i Sex Pistols pubblicarono nel 1977, proprio nei giorni in cui si celebrava il Giubileo d’Argento di Elisabetta II, una canzone simbolo per il movimento punk, a partire dallo slogan del ritornello – No Future.
God Save The Queen balzò immediatamente ai vertici delle classifiche di vendita dei singoli, anche se la BBC decise di retrocederla al secondo posto dietro una melensa ballata di Rod Stewart. La canzone si apriva con una violentissima requisitoria contro ogni sorta di violenza in nome dello stato e di lavaggio del cervello da parte del potere:
Dio salvi la regina, il suo regime fascista
Ha fatto di te un deficiente, una potenziale bomba HDio salvi la regina, non è un essere umano
Non c’è futuro, nel sogno dell’InghilterraNon farti dire cos’è che vuoi, non farti dire ciò di cui hai bisogno
Non c’è futuro, nessun futuro, nessun futuro per te
La censura arrivò con la motivazione di “vilipendio alla regina e all’inno nazionale”, tutte cose che andrebbero “vilipese” in po’ più spesso anche perché, solo pochi anni dopo, il rigurgito di imperialismo inglese made in Thatcher & Elisabetta mandò a morire non so quanta gente nell’assurda guerra delle Falkland.
Solo un anno dopo, in Francia, Serge Gainsbourg lancia quella che sarà la più pericolosa provocazione della sua carriera: appena scoperta una nuova forma musicale, vola a Kingston, e primo fra tutti i musicisti europei incide un album totalmente reggae. Il brano cui è affidata la promozione del disco è una versione dell’inno nazionale, la Marsigliese, le cui strofe sono eseguite per intero, ma il cui ritornello ripete solo beffardamente “Aux armes, et cœtera…” (“Armatevi, eccetera…”), tutto ovviamente con tanto di coriste giamaicane e col gruppo di Peter Tosh alle spalle.
Il risultato è irresistibile. Nella patriottica Francia la cosa è accolta come un affronto intollerabile, le associazione di paracadutisti ed ex-combattenti, gli antichi torturatori fascisti delle guerre d’Indocina e d’Algeria insorgono e si presentano ai concerti (che Gainsbourg tornava a dare quell’anno, dopo diciotto di assenza dalle scene), tanto che quello di Strasburgo deve essere annullato perché il palazzo in cui si doveva tenere viene minato col plastico. Gainsbourg, pallidissimo, appare solo sul palco e con un filo di voce “ringhia”:
Io sono un rivoluzionario, che cantando su una musica rivoluzionaria, ha ridato alla Marsigliese il suo senso originale!
e la intona nella versione originale con un incredibile trasporto (e con un coraggio non indifferente) davanti ai parà in mimetica e armati.
Nel nostro percorso non mancano però neanche i rari inni nazionali “originali” che contengono un messaggio di pace e fratellanza, tra cui spicca l’inno della DDR, Auferstanden aus Ruinen, un inno tanto bello quanto inadatto alla dittatura stalinista che ha governato per quarant’anni la Germania Est. Si tratta di una poesia altamente patriottica, ma anche di pace e fratellanza scritta da Johannes R. Becher, un comunista pacifista che era stato esiliato quando ancora la Germania intera era sotto il tallone hitleriano. Nel 1949, l’allora segretario generale della SED, Wilhelm Pieck, decise di farne l’inno dello stato tedesco socialista, e chiese al celebre musicista Hanns Eisler (1898-1962, allievo di Arnold Schönberg a Vienna nonché tra i musicisti di Bertolt Brecht) di musicarlo.
Risorta dalle rovine
e rivolta al futuro,
lasciaci servirti bene
Germania, unica patria.
L’antica miseria è da eliminare
E la elimineremo uniti
E dobbiamo far sì che
il sole splenda bello
come mai sulla Germania.Gioia e pace sian destinate
alla Germania, nostra patria.
Tutto il mondo anela alla pace,
date ai popoli la vostra mano.
Se ci uniamo fraternamente
batteremo il nemico del popolo!
Fate brillar la luce della pace
e che mai più una madre
pianga il proprio figlio.
Dopo la riunificazione tedesca l’inno è stato mandato in pensione, ma paradossalmente è forse più conosciuto adesso. Ne fanno fede le (talora sorprendenti) rielaborazioni che ne sono state fatte, tra cui spicca quella in chiave punk-rock ad opera del gruppo MIA. della cantante Mieze Katz.
La bella musica del Deutschland ueber alles nacque come omaggio all’imperatore d’Austria. Non faremmo male a dedicare una sezione agli inni nazionali, ai loro rifacimenti, e all’analisi dei loro topoi. Daremmo un contributo al progresso dell’umanità, invitandola a non ripetere per default, come fossero vangeli, le criminali cazzate che ogni patria rifila ai suoi iloti.