Nel 1984, cercando ispirazione in seguito al fallimento di critica e commerciale dell’album Hearts and Bones, Paul Simon rimase affascinato da una cassetta che suonava regolarmente in macchina, una compilation di gruppi sudafricani chiamata Accordion Jive Hits, II.Nel 1985, presi dei contatti grazie all’etichetta discografica con alcuni gruppi locali, Simon volò in Sudafrica.
Era un momento critico per il paese. Il regime dell’apartheid era in una delle fasi più dure. Le Nazioni Unite avevano approvato sanzioni economiche e un boicottaggio culturale. Non erano solo gli attivisti politici ad interessarsi alla situazione in Sudafrica. Negli anni precedenti, molti artisti avevano denunciato il regime sudafricano scrivendo numerose canzoni, dalla potente “Biko” di Peter Gabriel al classico degli Specials “Free Nelson Mandela”. Proprio mentre Paul Simon volava a Johannesbourg, musicisti dello spessore di Dylan, Springsteen, Bono e Steve Van Zandt avevano pubblicato “Sun City” sotto il nome “Artists United Against the Apartheid”.
Per questo la rottura dell’embargo culturale di Paul Simon, che registrò parte dell’album Graceland in Sudafrica, ammettendo addirittura in un documentario pubblicato a 25 anni dall’uscita dell’album di essersi trovato costretto ad accettare il razzismo dei tecnici di studio bianchi verso i musicisti neri, fu visto da molti come un tradimento.
Ovviamente, però, Paul Simon non era razzista, ed anzi la sua operazione gli permise non solo di sfornare il capolavoro ineguagliato della sua carriera, ma anche di far conoscere al mondo la musica nera sudafricana e di dimostrare il potere dell’espressione artistica di superare l’oppressione politica, e l’abilità degli artisti di diversissime culture ed esperienze di riuscire a trovare una voce comune per comunicare. Graceland fu anche criticato per non avere dei testi esplicitamente impegnati, anzi in molte canzoni stupiva l’accostamento tra le musiche africane e i testi surreali e spiccatamente newyorchesi dell’artista americano. Comunque al tour africano seguito alla pubblicazione dell’album, parteciparano – oltre ai musicisti che avevano registrato la versione in studio – anche i celebri esiliati Miriam Makeba e Hugh Masekela. I concerti si concludevano con l’esecuzione corale dell’inno dell’ANC, Nkosi sikelel’ iAfrika.
Tuttavia anche nell’album c’è un testo che, anche se non esplicitamente, racconta le sofferenze del popolo sudafricano ed è la traccia più particolare e più “africana” dell’album, “Homeless”. Si tratta di una lunga composizione eseguita completamente a cappella.
L’incredibile gruppo che accompagna Paul Simon in questo pezzo cantando le parti in zulu si chiama Ladysmith Black Mambazo, che significa “Il martello nero di Ladysmith”, una township sulla costa orientale del Sud Africa. Simon li aveva visti in un documentario (Rhythm of Resistance: The Music of South Africa) sull’uso della musica nella resistenza all’apartheid.
Il testo, che alterna le lingue zulu e inglese, descrive l’esperienza del gruppo di essere senza casa nel loro stesso paese, per le violenze e le deportazioni subite dai neri sudafricani sotto il “vento forte” del governo dell’Apartheid.
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