Nel gennaio del 1968 Alexander Dubček diventò leader della Cecoslovacchia e diede inizio a una serie di riforme che allentarono il controllo statale e garantirono libertà di parola e di espressione. In risposta allla cosiddetta Primavera di Praga, l’Unione Sovietica inviò i carrarmati e mise fine alla breve esperienza del “socialismo dal volto umano”. Un mese dopo, alcuni musicisti e poeti formarono il gruppo Plastic People of the Universe.
Già dal 1965 la musica proveniente dall’Occidente – Beatles in testa – aveva iniziato a essere diffusa in Cecoslovacchia. Nel marzo 1965 il poeta beat Allen Ginsberg fu invitato dagli studenti dell’Università di Praga e tenne delle letture pubbliche delle sue poesie in piccoli teatri di Praga e Bratislava, per la gioia dei giovani cecoslovacchi. Il governo di Antonin Novotny non dimostrò altrettanto entusiasmo per il poeta capellone, lo fece arrestare per uso di droga e ubriachezza, e nel maggio del ’65 lo espulse dal paese. L’influenza di Ginsberg sulla cultura ceca non deve essere sottovalutata. Improvvisamente le strade di Praga si riempirono di hippies che portavano i blue jeans e mettevano in scena “eventi” di vario tipo. Lo stile di vita del socialismo reale cominciò a sembrare sempre più estraneo alla nuova generazione di cecoslovacchi. Nacque a Praga una ricca scena di locali underground e si formarono centinaia di band rock. I più famosi gruppi dell’epoca erano gli Olympic e i Primitives, il primo gruppo psichedelico di Praga.
“Plastic People” era una canzone dell’album Absolutely Free. Frank Zappa era uno degli idoli dei Plastic People of the Universe, che spesso si esibivano anche in canzoni dei Velvet Underground. Le loro performance erano un po’ come quelle dei Fugs – eventi in costume che riunivano poesia e politica.
I PPU continuarono a esibirsi per tutto il 1969, ma nel gennaio 1970 la loro licenza di musicisti fu revocata. Questo voleva dire che non potevano suonare professionalmente, non gli era permesso far pagare un biglietto per i concerti, la loro attrezzatura fu requisita, e non riuscivano a trovare spazi per provare. Per questo furono costretti a suonare come gruppo amatoriale ai matrimoni, e a costruirsi in casa gli amplificatori con materiale di scarto.
Paul Wilson era uno studente canadese che era venuto a studiare per un semestre a Praga la scena culturale in un paese comunista ed era rimasto come insegnante di inglese. Fu reclutato dal gruppo come traduttore. Ivan Jirous, storico dell’arte e “manager” dei PPU pensava che l’inglese fosse la lingua comune del rock’n’roll, chiese quindi a Wilson di tradurre in inglese alcuni testi e di aiutare la band con la pronuncia. Nel 1970 Wilson divenne il cantante del gruppo. Come accademico, Wilson aveva il permesso di dare lezioni pubbliche e usò questa possibilità per organizzare eventi per il gruppo. Tipicamente teneva una breve lezione, illustrata da diapositive, per esempio, su Andy Warhol e dopo un quarto d’ora salivano sul palco i PPU e suonavano canzoni dei Velvent Underground per tre ore. Dal 1970 al 1972 organizzò forse una quindicina di questi eventi clandestini. Wilson voleva che i PPU cantassero in ceco, e dal 1972 questo divenne lo standard
Il nuovo cantante di PPU era Vratislav Brabenec e i testi erano scritti da Milan Hlvasa, anche se spesso eseguivano pezzi scritti da un poeta messo all’indice, Egon Bondy, le cui opere circolavano altrimenti via samizdat (edizioni clandestine in proprio). Continuarono a suonare segretamente in locali underground, ai matrimoni, e dovunque potessero. Alla fine del 1974 registrarono un album, Egon Bondy’s Happy Hearts Club Banned (titolo geniale!) che fu pubblicato e distribuito in Francia nel 1978.
I PPU non sfuggirono alle attenzioni della polizia segreta. Un loro concerto a Praga nel giugno del ’72 era sfociato in scontri tra i fan e la milizia e per questo fu loro proibito suonare nella capitale. Si ritirarono in campagna. A un certo punto riuscirono a riottenere la licenza di suonare per due settimane ma poi gli fu ritirata nuovamente perché, dissero le autorità, la loro musica era “morbosa” e “aveva un impatto sociale negativo”.
Ogni volta che qualche amico si sposava, una festa di nozze era una perfetta occasione per affittare una sala e organizzare un concerto privato. Di solito, però, l’organizzazione di un concerto assomigliava piuttosto a un film di spionaggio. Si sceglieva un luogo sperduto nei pressi di un remoto villaggio boemo, il passaparola provvedeva a far circolare tra il pubblico le indicazioni per raggiungere il luogo fissato per la prossima data. L’indirizzo preciso non veniva mai rivelato più di un giorno in anticipo e a volte neanche fino alla sera stessa. I fan scendevano alla stazione ferroviaria più vicina per camminare per chilometri nel bosco da una fattoria all’altra, a volte sotto la neve o la pioggia in cerca di un cascinale o di un altro edificio isolato. Spesso arrivava comunque la polizia e metteva fine allo spettacolo.
Durante uno di questi concerti la polizia arrivò, condusse il pubblico in una galleria, picchiò tutti con i manganelli e rispedì l’intera comitiva a Praga con il primo treno. Nel settembre del 1974 Ivan Jirous (detto “il folle”) organizzò un evento chiamato “Matrimonio di Annibale” dove i PPU e altri gruppi si esibirono nei dintorni di Postupice. Nel febbraio del 76 un evento simile “il matrimonio di Magor” fu interrotto dalla polizia. Ci furono arresti, gli strumenti e gli spartiti vennero sequestrati e le case dei membri del gruppo perquisite. Quattro membri dei PPU furono accusati di vari crimini e Paul Wilson fu espulso dalla Cecoslovacchia.
I gruppi si ritrovano a Praga per il “Matrimonio di Magor”. La maggior parte delle persone fotografate fu in seguito arrestata.
Il processo ai PPU guadagnò una notevole attenzione. I musicisti furono giudicati colpevoli di “disturbo organizzato della quiete”. Ivan Jirous fu condannato a 18 mesi di prigione, gli altri a pene da 8 mesi a un anno. Václav Havel e alcuni amici scrissero una protesta che in breve fu firmata da numerosi personaggi di spicco e da moltissimi cittadini. Molti dei firmatari non conoscevano il gruppo e non amavano il suo genere musicale – ma difendevano così il diritto di questi giovani (e, sottinteso, di tutte le persone) di suonare la musica che preferivano, di vestirsi come ritenevano opportuno e, in generale, il diritto alla libertà di espressione. Per le persone pubblicamente attive firmare la Charta 77 significava, nella maggior parte dei casi, fine carriera, interruzione o forti ostacoli nella loro attività, per altri come Havel, addirittura il carcere. Havel scrisse che i PPU stavano difendendo “l’intrinseco desiderio della vita di esprimersi liberamente, nel modo più autentico e indipendente”.
A tutti era chiaro che un attacco alla scena musicale underground era un attacco alla cosa più elementare e importante. La libertà di suonare musica rock fu percepita come una libertà fondamentale della natura umana e per questo essenzialmente analoga alla libertà di interessarsi alla riflessione filosofica e politica, alla libertà di scrivere, di esprimersi e di difendere gli interessi sociali e politici della società.
Havel contribuì a sostenere i PPU nei modi più vari. Jiri Habes, membro dei PPU: “Havel è l’unico presidente della repubblica che mi abbia mai prestato 1500 corone. Gliele devo ancora, non gliele ho mai restituite. Solo che ora a lui non servono i soldi, a me sì”.
Tomáš Schilla, un altro componente del gruppo, nel 1997 ricordava:
In un’intervista ci chiesero se c’era qualcosa di politico. Noi sostenevamo che queste non erano mai state cose politiche […]. Tuttavia, era politico per il fatto che il regime lo interpretava così, perché vedeva in noi il proprio nemico, sicché in una certa misura se lo creava da sé. A loro dava noia chiunque facesse qualcosa da solo, chi prendeva decisioni senza la loro approvazione, chi viveva senza essere dipendente da loro. Per loro era pericoloso se qualcuno riusciva a muoversi in libertà.
Infatti, a prenderli uno a uno, i testi non sembrerebbero impegnati, ma nel complesso davano noia. Magari semplicemente perché una canzone che dice pressappoco: “Ho trovato una mosca nella birra, da stamani tutto mi va male, ho voglia di andare in bagno e piove” (perché così più o meno dice uno dei testi) si scontrava con il clima della normalizzazione in cui invece bisognava dire che tutto andava bene, tutti vivevano nel benessere, il paese era prospero, gli operai adempivano i progetti a 150 % e le “libere” elezioni avevano nuovamente portato alla vittoria del partito comunista con il 99,9 % dei voti.
L’unica canzone dei PPU che fa riferimento esplicito alle vicende politiche si chiama 100 bodů. Si tratta di un lungo componimento di 14 minuti, in cui solo a metà comincia una parte cantata che elenca cento punti :
Essi temono gli anziani per la loro memoria
temono i giovani per la loro innocenza
temono persino gli scolaretti
temono i morti e i loro funerali
temono le tombe e i fiori che la gente ci posa sopra
temono le chiese, i preti e le suore
temono gli operai
temono gli appartenenti al partito
temono gli appartenenti a nessun partito
temono la scienza
temono l’arte
temono le poesie e i libri
temono i drammi e i film
temono i dischi e i nastri
temono gli scrittori e i poeti
temono i giornalisti
temono gli attori e gli scultori
temono i pittori e i cantanti
temono i canali della radio
temono i satelliti della televisione
temono il flusso libero di informazioni
temono la letteratura e i giornali esteri
temono il progresso tecnologico
temono le stampe, le fotocopiatrici e i ciclostili
Il soggetto non viene mai espresso esplicitamente ma è chiaro che si tratta della classe dirigente al potere.
temono il rumore e il silenzio
temono la luce e l’oscurità
temono la gioia e la tristezza
temono le barzellette
temono l’onestà
temono la schiettezza
temono le persone colte
temono le persone di talento
temono Marx
temono Lenin
temono tutti i nostri presidenti scomparsi
temono la verità
temono la libertà
temono la democrazia
temono la Charta dei diritti umani
temono il socialismo.Allora perché noi temiamo loro?
Gli anni ’80 non furono tranquilli per il gruppo, il cantante Brabanec dopo otto anni di galera fu espulso dal paese nel 1984. Infine fu loro offerto di poter esibirsi a patto di rinunciare al nome della band – che era diventato sinonimo di rivolta. Alcuni dei membri si separarono e formarono il gruppo Pulnoc. Altri si rifiutarono. Nel 1989 il regime filosovietico collassa, insieme agli altri regimi dell’est
Il dissidente Havel divenne presidente, e quasi subito invitò Frank Zappa a visitare il paese. Zappa fu esterrefatto al trovare 5000 persone all’aeroporto che festeggiavano il suo arrivo. Nel 1990 Lou Reed visitò la Cecoslovacchia e il presidente in persona lo portò in un locale dove i Pulnoc suonavano un pezzo dopo l’altro dei Velvet Underground. “Dire che mi commossi sarebbe un eufemismo” dichiarò il rocker newyorkese.
Nel 1997 Havel convinse il gruppo a riformarsi e da allora hanno suonato spesso insieme. Naturalmente alcuni critici li disdegnano o scrivono che in fondo la loro musica “non era poi così eccezionale”. Ma non è questo il punto, il punto era essere, bravi o meno bravi, ed essere liberi di esprimersi.
Recentemente Brabenec ha dichiarato
Non mi considero meno sovversivo ora di quanto lo fossi allora. Non sono meno dissidente in una società basata sullo shopping, shopping e ancora shopping di quanto lo fossi in una società basata sul socialismo, socialismo e ancora socialismo. E’ la stessa merda, solo merda diversa. Il partito comunista, il partito del telefonino Nokia – che differenza c’è? Non importa se il sistema è comunista, fascista o capitalista: le persone creative sono persone creative e le merde sono merde. I poeti restano i poeti e i politici restano politici del cazzo. Quindi, vedi, i Plastic People sono ancora i Plastic People. Ricordati di questo di questa band e della nostra cosiddetta rivoluzione: nessuno di noi è arrivato da nessuna parte (in nessun posto di potere). Questa è la cosa più importante.
L’articolo è quasi integralmente una traduzione di questo articolo inglese e di alcuni paragrafi di quest’altro. Altre parti sono state scritte dalla nostra Stanislava, a cui si deve anche la traduzione italiana della canzone.
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