Nel maggio del 2008 la rivista Musica & Parole pubblicava un’intervista di Antonio Piccolo a due amministratori del sito “Canzoni contro la guerra”. La riproponiamo oggi nella speranza che possa essere ancora interessante, avvertendo che alcuni riferimenti sono per forza di cose datati
Raccontatemi un po’ la storia del vostro sito internet. Come, quando e perché è nata l’idea del sito “Canzoni contro la guerra”?
Riccardo Venturi: Fu un’iniziativa del tutto spontanea; ad un certo momento, all’approssimarsi della grande manifestazione planetaria contro la guerra del 15 febbraio 2003, l’idea venne quasi da sola. Data simbolica quella del 15 febbraio, che è infatti la data di nascita (anno 1954) della prima canzone della raccolta, la più famosa di tutte le epoche, ovvero Le Déserteur (Il disertore) di Boris Vian e Harold Berg. All’inizio, il sito fu un contenitore esclusivo di testi, commenti e traduzioni, tanto che già nelle 600 canzoni “primitive” vi sono testi in lingue come il ceco, il bretone, lo svedese…e altre. In seguito è diventato una vera e propria enciclopedia della canzone antimilitarista e pacifista di tutte le epoche e di tutti i paesi. Inoltre, il sito si è sviluppato oramai in funzione del tutto multimediale, con la possibilità di scaricare mp3 e videoclip, oltre che di inserire commenti che possono svilupparsi in vere e proprie discussioni.
A cosa servono le canzoni contro la guerra?
Lorenzo Masetti: Se è vero che “a canzoni non si fan rivoluzioni”, tanto meno le canzoni possono riuscire a fermare una guerra. Anche se, come sempre, esistono le eccezioni: Grândola vila morena di José Afonso diede il segnale per l’avvio della Rivoluzione dei Garofani che in Portogallo mise fine a cinquant’anni di dittatura fascista e di guerre colonialiste. Ma soprattutto le canzoni, come altre forme d’arte, ci aiutano a capire meglio il mondo in cui viviamo. Per questo, pur senza pretese di completezza o di accademicità, possiamo affermare che il nostro è un sito che parla di Storia e di Memoria, che cerca di mantenere il ricordo del passato per tentare di migliorare il presente.
RV: Servono ad avere orrore. Non tanto della “guerra”, ma di chi se ne serve come suprema forma di oppressione. Servono ad esprimere quel che viene espresso nella strofa finale di una delle più famose canzoni antimilitariste di tutti i tempi, Masters of War di Bob Dylan. Servono a desiderare fortemente che i signori della guerra, delle divise, delle polizie, dei caporalati, delle xenofobie, dei razzismi e di tutto il resto vengano, nei nostri cuori e nelle nostre menti, seppelliti senza appello. Servono a creare in noi stessi ribellione e opposizione. E tutte possono servire a questo compito, anche le più blande.
Sull’home page del sito c’è un elenco, una sorta di segnalazione, in cui ci sono quelle che voi indicate come le “Canzoni fondamentali” (tra cui Le Desertéur e Masters of War già citate). Perché sono le fondamentali?
La scelta di queste canzoni è del tutto soggettiva: sono state scelte perché particolarmente famose, particolarmente importanti nella storia o anche perché particolarmente belle, e sono state oggetto di vivaci discussioni tra gli amministratori al momento di ampliare la lista. Le due che hai citato sono probabilmente le canzoni contro la guerra “per eccellenza” nel mondo della canzone francofona ed anglofona.
Abbiamo preferito dare più risalto alla rabbia di Masters of War rispetto ad un’altra canzone ancora più famosa di Dylan come Blowin’ in the wind perché esprime meglio quel sentimento di rabbia verso chi dalla guerra trae profitto. Per quanto ci raccontino storie di guerre etniche, di religione, o di civiltà, a ben vedere dietro ad ogni conflitto ci sono dei signori della guerra che si arricchiscono. Ma “i soldi che hanno accumulato non ricompreranno la loro anima”.
Abbiamo voluto includere tra le fondamentali La guerra di Piero e Auschwitz, forse le più importanti nella canzone d’autore italiana, Imagine, una canzone con un testo assolutamente rivoluzionario la cui forza si è forse un po’ persa per il fatto di essere stata utilizzata anche a sproposito (mi ricordo con orrore Gianni Morandi che davanti a papa Wojtyla intona la strofa in cui si invoca un modo senza religioni), Self Evident, una recente e splendida poesia-canzone di Ani DiFranco sull’11 settembre 2001 e la guerra preventiva, Lili Marleen, una canzone nella guerra, che fu cantata dai soldati su entrambe le linee, riuscendo a unire persone che condividevano lo stesso terribile destino.
Sconfinando nel campo della classica, abbiamo voluto includere tra le fondamentali anche l’Inno alla gioia, con il quale Beethoven voleva testimoniare, nel 1824 e in piena restaurazione, la sua fedeltà agli ideali di libertà, uguaglianza e fraternità universali espressi nel poema di Schiller.
Parlando strettamente della canzone d’autore italiana, quali cantautori si sono espressi meglio, secondo voi, con le canzoni contro la guerra e perché?
Sicuramente Fabrizio De André che, a partire da due delle sue prime canzoni, La ballata dell’eroe e La guerra di Piero fu tra i primi ad affrontare in Italia la tematica antimilitarista. Oggi non ci rendiamo probabilmente conto della dirompenza che potevano avere quelle parole in quegli anni. Basti pensare che nel 1965 Don Milani veniva processato per aver scritto la sua celebre lettera ai cappellani militari toscani.
Ma l’antimilitarismo è una componente fondamentale di quelle “poche idee ma in compenso fisse” che De André ha coerentemente espresso in tutta la sua vita. Alla sua produzione più recente appartengono due capolavori della canzone contro la guerra, non solo italiana. Sidùn, da Creuza de ma, – il toccante lamento di un padre per il figlio ucciso nell’attacco delle truppe del generale Sharon – e Khorakhané, da Anime Salve, ricorda l’olocausto dimenticato del popolo rom, Vorrei anche ricordare un’esperienza, certamente estremamente di nicchia, ma per certi versi fondamentale per la canzone d’autore e popolare italiana: quella dei Cantacronache.
Per chiudere, di fronte ad un’esperienza così vasta, potete farmi un quadro di un’ipotetica storia della canzone contro la guerra?
Le canzoni “contro la guerra” più antiche sono per lo più canzoni popolari che possiamo definire “canzoni nella guerra”, cantate cioè da chi in guerra è stato mandato. Racconti di guerra e contro la guerra si ritrovano nella tradizione orale di tutti i paesi, in particolare il nostro archivio contiene molti canti popolari italiani e ballate del folklore irlandese, scozzese ed inglese. Ma la canzone più antica che abbiamo reperito è cinese: risale al II secolo a.C. e racconta di un soldato che, al ritorno a casa, trova nel suo villaggio soltanto rovina e solitudine. Nell’Italia del XVII secolo il fiorentino Piero Salvetti scriveva invece Sia maledetto chi ha trovato la spada, una vera e propria canzone decisamente antimilitarista la cui musica è purtroppo andata perduta.
In tempi più recenti e parlando invece di canzoni “d’autore”, è la Francia a fare da battistrada con Brassens, Ferré, Vian, Brel mentre negli Stati Uniti va ricordata la sterminata produzione di Pete Seeger.
Una vera e propria esplosione (anche a livello commerciale) delle protest song si ha durante la guerra nel Vietnam, quando il movimento di opposizione di una generazione forse irripetibile trovò voce grazie agli interpreti del folk ma anche del rock alternativo. La chitarra distorta di Jimi Hendrix, che al festival di Woodstock nel 1969 trasforma l’inno americano in una potente rappresentazione sonora delle bombe e della mitragliatrice, segna in questo senso la fine di un’epoca.
Sono sempre i generi musicali innovativi a portare una ventata di freschezza nella musica di protesta: è il caso ad esempio del punk che, con un linguaggio essenziale e volutamente estremo, ha ben saputo esprimere il rifiuto verso i falsi miti patriottici di una società repressiva e militarista. Eredità “raccolta” a partire dagli anni ’90 dal rap e dall’hip hop.
E al giorno d’oggi?
La musica di protesta non ha più la stessa diffusione – né lo stesso impatto sociale – avuta negli anni ’60. È vero però che le voci più disparate continuano ad esprimersi contro la guerra, spesso utilizzando l’arma della satira per attaccare la retorica militarista, a volte coniando nuovi slogan (“you can bomb the world to pieces/ but you can’t bomb it into peace”, come canta Michael Franti), a volte adattando vecchie canzoni (“Bring them home” di Pete Seeger riproposta recentemente da Springsteen).
“Solo domando a Dio / che la guerra non mi sia indifferente”, cantava León Gieco nel 1978. È questa anche la nostra speranza: che queste canzoni riescano a smuoverci dall’indifferenza.
Commenti recenti