Requiem per un nemico ignoto, una poesia, ed una delle più tremendamente belle, di Gesualdo Bufalino.
Finché non compì sessantuno anni, il riservato, appartato e coltissimo professore di Comiso in Sicilia, nulla s’era saputo di lui; su insistenza d’alcuni amici, tra i quali Leonardo Sciascia, pubblicò Diceria dell’untore e si ritrovò catapultato da un giorno all’altro tra i maggiori scrittori italiani del XX secolo.
Il discorso si rivolge a un ufficiale tedesco, moribondo dopo un attacco partigiano, portato per emergenza nella mia stanza d’ospedale
così spiega brevemente Bufalino sul suo volumetto di poesie di tutta una vita. La poesia fu scritta all’ospedale di Scandiano, in provincia di Reggio Emilia, nel febbraio del 1944.
Crivellato di buchi neri,
Leutnant Adolf Enne Enne
in questa stanza del malanno
ti faccio posto volentieri.Al mio “Morior ergo sum”
declamato contro il muro
vieni ad aggiungere pure
il bisbiglio del tuo “Warum?”Vieni, entra sul letto a rotelle;
fra la mia branda e la porta
ci sta anche la tua morte,
mio più infelice fratello.Ma prima conoscimi almeno,
scambiamoci un ja con un sí,
Leutnant Rudolf Chissachí
da Chissadove sul Meno.
Bufalino non era né uno scrittore, né un poeta dal semplice linguaggio; scriveva in modo rarefatto, ricercato ma, al tempo stesso, pieno d’umanità popolare. Questa sua poesia scende nei recessi dell’essere umano nella sofferenza, e al cospetto della morte in temperie d’odio che è impossibile rifiutare e di violenza che s’insinua fin nelle fessure delle esistenze.
È un tempo sublime e vile
tal quale voi l’avete fatto;
non puoi che subirne il patto:
coltello contro fucile.Tu ancora ieri, ricordi?
hai piantato con mani rosse
dieci croci su dieci fosse…
Non chiedere misericordia.Che t’aspettavi da noi,
qui dove la tempesta
portasti e l’odio, alla testa
d’un turpe branco d’eroi?Perfetta macchina di male
sei stato per noi, forestiero,
dall’orlo della visiera
alla punta degli stivali!Ed ora, per ultimo rancio,
sia buona o cattiva guerra
ti tocca mangiarla, la terra
dove fiorisce l’arancio.
Gesualdo Bufalino non amava le diavolerie moderne; già quando gli era toccato abbandonare i dischi a 78 giri era sbottato in auguri d’andare all’inferno. Chissà come avrebbe reagito nel sapere che questa sua poesia, proprio grazie all’inserimento in una diavoleria autentica come un sito internet, sarebbe stata presa, musicata e cantata. Eppure è proprio quel che è successo: sono bastati pochi mesi dal 15 aprile 2014 affinché Marco Rovelli ve la trovasse, la prendesse e le desse una musica. L’ha presentata per la prima volta il 4 agosto scorso a Fosdinovo, al festival “Fino al Cuore della Rivolta”, tributando dal palco anche un omaggio a questa diavoleria di sito.
Ci piace pensare che la nostra diavoleria aiuti, in qualche caso come questo, la poesia a trovar musica e strumenti; e confidiamo che Gesualdo Bufalino emetta sì un brontolio, ma accompagnato da un sorriso.
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