Another Brick in The Wall Part II: La canzone è famosissima e insieme a quella che la precede The Happiest Days of Our Lives rappresenta forse il più incisivo attacco all’oppressione del sistema educativo mai scritto e musicato. Dopo un’infanzia segnata dall’assenza di un padre “assassinato” in guerra, anche durante l’adolescenza a Pink – il protagonista del concept album The Wall dei Pink Floyd – non erano state risparmiate sofferenze ed umiliazioni. Dicono che quelli dell’adolescenza dovrebbero essere “i giorni più felici delle nostre vite” ma il titolo assume una valenza chiaramente sarcastica:ed in questo brano, indissolubilmente legato al successivo Another Brick in the Wall pt. 2, l’autore affronta la seconda concausa in ordine cronologico dei propri disagi mentali: il sistema educativo.
L’accusa, nonostante le precisazioni e i distinguo di Roger Waters, appare rivolta all’intero programma educativo di quel momento storico che anziché incoraggiare e motivare l’allievo, umiliava e mortificava ogni eccezionalità con lo scopo di garantire al “sistema” la produzione di cittadini privi di individualità e di conseguenza maggiormente controllabili.
Nella versione in studio il brano si collega alla precedente Another Brick In The Wall Part I con un suono di elicottero al quale segue la voce del maestro trattata con un effetto megafono. In questo si esplicita la volontà da parte dell’autore di paragonare il sistema scolastico a quello di un regime militare: l’insegnante si libra sopra i suoi allievi come un elicottero, pronto a scendere tra loro con l’ira di un sergente istruttore militare: Tu, si dico a te ragazzino…
A conferma di questa interpretazione nel film di Alan Parker la canzone viene introdotta dalla scena del treno che attraversa il tunnel: Pink bambino osserva le facce senza volto degli uomini-cloni stipati come animali che ci ricordano le terribili vicissitudini dei deportati ebrei e di come in questo modo venissero trasportati nei campi di concentramento nazisti. Qui Waters non intende certo paragonare l’eccidio di milioni di ebrei con la violenza psicologica fatta ai bambini in età scolastica, ma soltanto sottolineare che entrambe le condizioni sono il frutto di una “macchina” totalitaria rappresentata da scuole/campi di concentramento che tende a reprimere ogni individualità. Togliere ad un volto umano occhi e bocca significa eliminare quelle qualità umane che lo rendono riconoscibile come persona e quindi trasformarlo in una cosa. La maggior parte dei sistemi basati sull’odio e la paura del diverso operano in questo modo: privano gli uomini della loro identità per spegnere lo spirito di un popolo e renderlo così passivo alle aggressioni altrui, che siano queste interne o esterne.
La voce di Waters che accompagna le prime strofe della canzone ha un tono sommesso, quasi volesse rappresentare il modo in cui un alunno, nel cortile della scuola, sussurra al proprio amico una confidenza con la cautela di chi teme una punizione per aver “parlato troppo”. Nel testo si racconta di un sistema che uccide le individualità deridendo ed esponendo al pubblico ludibrio le debolezze personali ed intellettuali degli alunni al solo scopo di creare “cittadini produttivi” senza volto e senza voce che eseguano passivamente i falsi valori dello status quo sociale. Il risultato di questa violenza è che gli scolari nascondono con cura ogni loro qualità per timore che venga usata come debolezza e che li esponga al ridicolo.
Nel film l’insegnante scopre Pink intento a scrivere le sue poesie. Strappandogli di mano il quaderno senza alcun riguardo, l’arcigno maestro umilia il ragazzo recitando ad alta voce i versi che con tanta cura il ragazzo nascondeva agli occhi degli altri. Quando gli umani si raccolgono in branco riescono ad essere creature meschine e crudeli, in particolar modo quando sono ancora cuccioli e radunati intorno ad una figura che reputano autorevole (il maestro), così i compagni colgono l’occasione per schernire il giovane Pink.
La poesia contiene dei versi di Money. La scelta è stata voluta probabilmente dall’autore allo scopo di inserire un elemento autobiografico alla trama come anche introdurre lo spettatore a quelle che già da allora erano le aspirazioni di Pink: diventare ricco e famoso. La citazione potrebbe assumere anche un significato di riscossa se proviamo a leggervi tra le righe: guardate dove sono arrivato con le parole che prima vi facevano tanto ridere.
L’insegnante liquida il lavoro di Pink come “pura spazzatura” ed invita l’allievo a tornare al suo “vero dovere” bacchettandolo sulle mani. Così il maestro torna alla spiegazione di Geometria, un ritornello che gli alunni hanno “l’obbligo” di imparare e ripetere a memoria senza tralasciare nulla.
Nella seconda strofa la voce graffiante di Waters esplode in un canto di gioia: l’insegnante autoritario e crudele, dopo aver trascorso la giornata ad infierire sulle giovani menti dei ragazzi, deve rientrare a casa ed affrontare il suo più grande nemico: la moglie. Anche se costei non è raffigurata come una donna in sovrappeso, come suggerisce il testo della canzone, l’angolo della telecamera che la fa apparire a metà dello schermo la rende una presenza dominante. La carta da parati blu della stanza e la luce porpora che proviene dalla finestra contribuiscono a rendere la scena surreale. Le sequenze successive invece rendono onore al principio del karma, ed è questo l’unico momento dell’album in cui si paventa l’esistenza di una giustizia superiore che punisce il malvagio con la sua stessa moneta: l’immagine dove il maestro picchia gli alunni con una cinghia di cuoio si alterna a quella della moglie che lo costringe, senza che sia necessario pronunciare alcuna parola, ad ingoiare il pezzo di carne che aveva lasciato sul piatto, dettaglio che viene poi ripreso dalle parole del maestro nella canzone successiva “you can’t have any pudding if you don’t eat your meat” e cioè “non avrai alcun dolce se prima non mangi la tua carne“
Another Brick in the Wall Part II, la seconda parte della trilogia, e la più famosa, è il naturale proseguimento della linea narrativa di “Happiest Days of Our Lives”. Se la fantasia della canzone precedente era la segreta immaginaria punizione riservata al maestro al ritorno a casa, qui si è evoluta in una vera e propria rivolta: prima Waters e Gilmour, e poi un auditorium pieno di ragazzini, canta un inno all’inquietudine giovanile contro il rigido trattamento dei loro cinici insegnanti. Le due file di studenti mostrate nel video (la prima di spalle che si allontana dall’inquadratura mentre la seconda, parallela alla prima, è diretta verso il tritacarne con tutti i volti degli studenti “annullati” da delle maschere informi), evocano l’analoga sequenza da Metropolis di Fritz Lang: nella sequenza citata gli operai escono in fila a fine turno, marciando lenti e stanchi mentre in parallelo un’altra fila entra nella fabbrica a passo più spedito, metafora della spersonalizzazione alienante della vita in una fabbrica. Evidentemente la stessa metafora è suggerita a proposito dell’altrettanto alienante sistema di educazione scolastica descritto in “The Wall”.
Sin dal 1979, anno in cui è uscito il brano, diversi movimenti pseudo-anarchici hanno adottato Another Brick in the Wall part 2 come un vero e proprio inno di battaglia. Nel 1980, nel Sud Africa dell’apartheid, la canzone è stata censurata da tutte le emittenti radiofoniche e si è persino arrivati a bandire l’album e la band dal territorio nazionale quando un gruppo di giovani di colore attuarono un boicottaggio a livello nazionale del sistema scolastico.
Tuttavia, al contrario di queste visioni estremiste che aspirano a una totale anarchia educativa, la canzone è stata scritta come un attacco contro uno specifico tipo di insegnamento, al quale Waters è stato sottoposto da bambino. A questo proposito il testo è molto specifico e si riferisce a quegli insegnanti descritti prima in “Happiest Days” che usano “il controllo del persiero” e il “cupo sarcasmo” per modellare gli allievi in automi senza cervello della società. Secondo Waters il sistema di insegnamento basato sull’indottrinamento e sulla paura produce nient’altro che cloni sociali senza volto che conoscono a memoria la definizione di un acro ma non riescono a produrre un singolo pensiero originale.
La scelta del plurale (noi non abbiamo bisogno…), presente anche nel brano precedente (quando siamo cresciuti e andavamo a scuola), sminuisce la funzione del singolo a favore di quella collettiva, essenziale per operare cambiamenti importanti. Non è un caso che nel video Pink sia del tutto assente, egli è solo un semplice osservatore che sul margine sogna quella lotta ingaggiata da tutti gli altri per la conquista dell’indipendenza. Da questo si evince la bassa considerazione che il ragazzo aveva di se stesso come anche l’evidente contraddizione che si ricava dalla necessità di conquistare la propria individualità attraverso un’azione di massa: come a dire che l’anticonformismo abbia bisogno del conformismo per potersi affermare. Questa ambivalenza è ironicamente confermata, a livello musicale, dal fatto che per un inno anti-conformista i Pink Floyd si siano conformati al genere musicale più popolare all’epoca, dando alla canzone un tipico ritmo disco.
Buona parte della sequenza video è stata disegnata da Gerald Scarfe: la scuola-fabbrica si rifà ad una delle illustrazioni ispirate proprio alla sua esperienza scolastica con i ragazzi che marciano a tempo di cassa e rullante (ancora una volta un’immagine militaresca) verso quel tritacarne che ridurrà in poltiglia quei già miseri brandelli di personalità ancora presenti. Tra le ombre del macchinario che trasporta i “cloni” verso la loro “morte”, si scorge quella di un martello azionato da quegli ingranaggi che consentono alla “macchina” (Welcome to the machine???) di operare. In tutta l’opera la figura del martello ha sempre un duplice significato di creazione e distruzione, uno strumento benefico ed insieme oppressivo. Lo stesso martello con cui costruisci una casa, ha lo stesso potere di buttarla giù e così nel film quel martello ha lo scopo di costruire cloni e al contempo di distruggere l’individualità di ogni persona.
Quasi tutto ciò che sappiamo lo abbiamo imparato fuori della scuola. Gli allievi apprendono la maggior parte delle loro nozioni senza, e spesso malgrado, gli insegnanti. Ma il tragico è che i più assorbono la lezione della scuola anche se a scuola non mettono mai piede.
È fuori della scuola che ognuno impara a vivere. Si impara a parlare, a pensare, ad amare, a sentire, a giocare a bestemmiare, a far politica e a lavorare, senza l’intervento di un insegnante. Non fanno eccezione a questa regola neanche quei bambini che sono soggetti giorno e notte alla tutela di un maestro. Gli orfanelli, gli idioti e i figli degli insegnanti imparano quasi tutto quello che sanno fuori del processo “educativo” predisposto per loro. Gli insegnanti che hanno tentato dl migliorare l’istruzione dei poveri hanno ottenuto risultati mediocri. Ai genitori poveri che vogliono mandare a scuola i loro bambini non interessa tanto ciò che impareranno quanto il diploma e i soldi che grazie al diploma potranno guadagnare. E i genitori borghesi, se affidano i propri bambini a un insegnante, lo fanno per impedire che imparino ciò che i poveri apprendono per le strade.
Le indagini sull’istruzione dimostrano sempre di più che i bambini imparano la maggior parte di ciò che gli insegnanti credono d’insegnargli, dai coetanei, dai fumetti, dalle loro osservazioni casuali e soprattutto dalla mera partecipazione al rituale scolastico. Gli insegnanti anzi, il più delle volte, ostacolano quel tanto di apprendimento delle materie che avviene nella scuola.
Ivan Illich, Descolarizzare la società, 1971.
Il materiale per questo articolo proviene in gran parte, con piccole modifiche e tagli, da Il mondo di Art, a sua volta tradotto da The Wall Analysis. Altre parti che erano state tagliate nella traduzione italiana sono state tradotte ex novo, e alcuni paragrafi sono ripresi da wikipedia.
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