Che cosa mai vorrà dire “ambaradan”
una parola così sbarazzina
ma che casino, cos’è ‘sto ambaradan?
Una reminiscenza abissina.
La simpatica parola “ambaradan” (o “ambaradam”), che in italiano colloquiale significa “casino, confusione, baraonda”, non ha un’origine tanto simpatica, come già abbiamo avuto modo di dire nell’introduzione ad un’ omonima canzone degli Yo Yo Mundi, “Ambaradan” (del 2002). La battaglia per la conquista dell’Amba Aradam (nell’Etiopia Settentrionale) da parte delle truppe italiane durante la guerra abissina si svolse a partire dal 12 febbraio 1936 e fu un massacro dai risvolti, però, assai particolari. Nella battaglia dell’Amba Aradam, infatti, le truppe italiane erano alleate con delle tribù locali che, a loro volta, avevano stretto legami anche con gli etiopi. Nello scontro si creò ad un certo punto una tale confusione per cui nessuno era più in grado di capire contro chi combattesse. Questo gigantesco teatro dell’assurdo si concluse il 15 febbraio 1936 con i seguenti risultati: 36 ufficiali e 621 soldati italiani morti, 143 morti locali alleati con gli italiani, e circa 20.000 uomini da parte etiope. Si stima che la parola “ambaradan” sia entrata quasi subito nell’uso colloquiale italiano, a partire dai racconti dei reduci. La “bella impresa” delle truppe di conquista italiane è raccontata da Alessio Lega nell’introduzione alla sua recentissima canzone (interpretata assieme a Guido Baldoni). Alessio Lega, che la presenta da non molto durante i suoi concerti, è solito introdurla nel modo che segue:
“ Quando poi quel popolo cominciò, come succede a ogni popolo che si vuole ribellare, a costruire una guerriglia che i conquistatori chiamano sempre “terrorismo”, ecco che addirittura il massacro divenne indiscriminato. Quando, ad esempio, nella città conventuale di Debra Libanòs, dove si rifugiavano, come sempre si rifugiavano nelle chiese come avviene anche qui, la popolazione, la decisione fu di ammazzare, di fucilare tutti, compresi ovviamente i monaci, copti, che non erano nemmeno…e lì si è iniziata una bella tradizione di tagliare la testa ai capi guerriglieri, a metterla sulle picche e a farla viaggiare nelle scatole di cioccolatini di villaggio in villaggio. Quando oggi altre carogne mettono le teste sulle picche, vorrei che rivendicassimo questo primato italiano…cioè, anche all’Expo dovrebbero dirlo: eh, lo abbiamo inventato noi! Cioè, non è che ci possono rubare così le grandi idee italiane come mettere la testa sopra le picche. Sull’Amba Aradam, a un certo punto, fu identificato in una grotta un gruppo di resistenti che ormai erano ridotti a donne, vecchi e bambini. Per stanarli fu usato il terribile gas all’arsina, un gas all’yprite che al contatto con l’ossigeno si incendia. Su quelli che riuscivano a scappare da quelle montagne, da quelle grotte, fu fatto il tiro al piccione. Ma noi siamo italiani, ci siamo sempre comportati da brava gente, anche quando siamo andati a colonizzare lo abbiamo fatto per costruire strade e ospedali, questo si sa…non vogliamo riconoscere l’orrore che abbiamo seminato e così, cosa avremo mai fatto? Abbiamo fatto un ambaradan! Quando, ogni volta che entriamo in un posto disordinato, diciamo: “Che ambaradan che c’è qui!”…è un po’ come se un tedesco entrasse in casa mia e dicesse: “Però, che Auschwitz che c’è qui!”
Alessio Lega dice diverse cose che, naturalmente, non vorremmo sentirci dire. Ancora adesso, dopo quasi ottant’anni, tra gli italiani è sempre diffuso il falso mito della “brava gente”: ma sì, dai, si andava a fare la guerra, a aggredire un popolo, a massacrarlo e a sterminarlo con le armi chimiche, però poi si costruivano scuole, strade, ospedali… tant’è che, ad esempio, al massacro dell’Amba Aradam, è stata dedicata persino un’importante strada di Roma:
Poiché Alessio Lega, assai giustamente, fa nella sua introduzione un riferimento al fatto che sarebbe come se un tedesco, vedendo un ambiente confusionario, dicesse “Ma che Auschwitz che c’è qui!”, si potrebbe a questo punto immaginare, che so io, una via di Berlino intitolata a Marzabotto o al Ghetto di Varsavia; ma, del resto, siamo il paese in cui recentemente si inaugurano monumenti a Rodolfo Graziani, e quindi è tutto normale. Nella “rossa Firenze”, un’importantissima e lunga strada è dedicata a padre Reginaldo Giuliani, il “cappellano delle Camicie Nere” che partecipò con grande entusiasmo alla guerra abissina e che ci lasciò le penne, dopo avere preso parte alle azioni squadriste, alla Marcia su Roma e all’impresa di Fiume. La lunga strada è sempre lì, come via Amba Aradam a Roma.
Sull’altopiano dell’Amba Aradam
ci siamo solo sporcati le mani
abbiamo fatto solo un po’ di ambaradan
noi brava gente, noi tanto italiani.
Così come Alessio Lega, nella sua introduzione, nomina il massacro del santuario di Debra Libanos, dove i nostri bravi italiani massacrarono senza pietà chi vi si era rifugiato, in barba alla secolare tradizione che vuole risparmiata la vita a chi si rifugia in una chiesa. Per fare le cose ammodino, i “nostri” massacrarono anche 297 monaci copti, e anche qui dovremmo rivendicare una nostra “eccellenza”, un primato storico: altro che ISIS, che di copti ne ha massacrati “soltanto” ventuno su una spiaggia in Libia. Senza peraltro che, allora, nessun sommo pontefice si accorasse tanto per il “massacro di cristiani”; ci sarebbe piaciuto che papa Francesco avesse ricordato quando i copti li massacravamo allegramente noi, e non i tagliagole islamici.
Sotto le grotte dell’Amba Aradam
c’erano donne coi vecchi e bambini
sopra le grotte dell’Amba Aradam
arrivano i nostri soldatini.Col gas d’arsina e le bombe all’iprite
fanno saltare con i lanciafiamme
bravi cristiani che fanno le ferite
nel sacro cuore di tutte le mamme,di mezzo migliaio di monaci copti,
di mezzo milione di negri ammazzati,
butta la pasta che sono tutti morti,
faccetta nera ora è cotta e mangiata.
Storie di tempi passati, si dirà. Mah, mica tanto. Alessio Lega ha infatti pensato bene di terminare questa sua canzone con un paio di riferimenti all’attualità; la quale, a pensarci bene, si manifesta sempre come ottant’anni fa, persino con lo stesso fascismo. Se nelle nostre città ci sono le strade dedicati ai preti camicie nere e ai massacri abissini, quante ce ne sono di dedicate ai “caduti di Nassiriya”, che erano là a fare la guerra per difendere interessi petroliferi dell’ENI (e va detto che ‘sta storia di Nassiriya sembra avere parecchio sviato anche degli insospettabili, quasi fosse un tabù indicibile riportarla alla sua vera natura), per non parlare dei “nostri marò” -ai quali vie non sono state ancora dedicate, ma che sono un cavallo di battaglia di tutte le tante destre italiane a partire da quelle classiche per andare a finire al PD. Ma, del resto, i “nostri marò” (sempre ricordando che il termine “marò” fu coniato da Junio Valerio Borghese per i membri della sua X MAS) altro non hanno fatto che rinverdire un’italica tradizione: quella di fucilare persone inermi nel loro paese, per poi essere esaltati come “eroi”. La chiusa di questa canzone di Alessio Lega lo fa squisitamente presente, e è possibile ipotizzare che la cosa non verrà presa benissimo quando la canzone, che è molto recente, verrà un po’ più conosciuta. Dal nostro canto, noialtri, che siamo un sito parecchio recalcitrante per non dire riottoso, contribuiamo volentieri e fin da subito alla diffusione di questa canzone, proponendone anche un video registrato sabato 16 maggio 2015 a Bologna, durante l’iniziativa “Una montagna di libri contro il TAV” organizzata dal centro sociale VAG 61 (che si trova in via Paolo Fabbri, la stessa via di Guccini, ma al numero 110). Una canzone piena di storia rimossa e di attualità mistificata la quale, del resto, alla storia rimossa si rifà precisamente:
Che cosa mai vorrà dire “ambaradan”?
Colonialisti più bravi e più forti
abbiam portato le strade nel deserto
per il grande viaggio di tutti quei morti.L’Amba Aradam è la macchia dell’oblio,
è il monumento a Rodolfo Graziani,
i gagliardetti di Nassiriya,
sono i due marò che fucilano gli indiani.
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