Migliaia e migliaia di uomini provarono ad evitare la guerra: chi cercando di resistere alla montante esaltazione patriottica e alla propaganda bellicista, chi cercando semplicemente di sfuggire al fronte attraverso la diserzione o la renitenza, chi ancora rifiutando di eseguire gli ordini ed ammutinandosi. E’ una storia poco conosciuta e nascosta, come nascosti dalla propaganda dell’epoca furono le terribili condizioni dei giovani che vennero mandati a morire nelle trincee, gli episodi di fraternizzazione tra nemici, le rese di massa, le decimazioni e le esecuzioni “pour l’exemple”, il destino postbellico dei mutilati e degli “scemi di guerra”.
Rifiuto la guerra è uno spettacolo storico in cui si raccontano queste vicende poco note, accompagnate dalle canzoni di protesta e di rivolta che i soldati di tutte le nazioni coinvolte intonarono come atto di dissenso contro il conflitto. Accanto alla narrazione e alle musiche vengono proiettate immagini e filmati d’epoca in cui fotografie, manifesti, documenti originali, vignette satiriche mostrano quella che fu la vera faccia della guerra, in contrasto con la rappresentazione edulcorata ed eroica che ne diede la propaganda bellica.
Un doveroso omaggio a chi soffrì e morì in quell’immenso mattatoio che fu la grande guerra.
Proponiamo un’intervista con Piero Purini, storico e musicista, ideatore di questo importante spettacolo.
Come è nata l’idea di uno spettacolo del genere? E’ stato pensato in occasione del centenario? Perché hai scelto di utilizzare proprio le canzoni per raccontare quel periodo storico?
Passo spesso davanti al cimitero (non sacrario, lo sottolineo) di Redipuglia, perchè la mia compagna vive lì vicino. E, vedendo bandiere, picchetti e la tomba del fucilatore emanuele fliberto – minuscolo voluto – ogni volta non riesco a fare a meno di pensare a tutti quei contadini mandati al massacro per interessi completamente estranei alla loro vita, e al fatto che tutti quei morti vengano tutt’ora presi in giro da chi continua a rappresentare il patriottismo sulle loro tombe e sui loro resti. E la trovo una cosa veramente sconcia. Così, per la rabbia che mi scaturisce ogni volta, ho pensato di creare una rappresentazione in loro memoria. La musica mi ha dato il mezzo per esprimere questo sdegno.
Lo spettacolo racconta i disertori e i pacifisti…
Non è esatto: “Rifiuto la guerra” non parla solo di loro: tratta di tutti coloro che cercarono di evitare la guerra, sia a livello individuale (cioè disertori, renitenti, pacifisti, obiettori di coscienza), sia collettivo (cioè soldati che cercavano di fraternizzare con il nemico, ammutinati e rivoltosi). Ma racconta anche delle terribili condizioni della guerra che spinsero i soldati a queste scelte e delle conseguenze che subirono per i loro atti: fucilazioni, impiccagioni e decimazioni. Prendo anche in considerazione altre strategie messe in atto per scappare da quell’inferno come l’autolesionismo o l’alienazione: soldati che ad un certo punto, come atto estremo di difesa psicologica dagli orrori che stavano vivendo, andarono semplicemente fuori di testa, finendo generalmente per essere internati nei manicomi. Infine racconto del destino straziante che nel dopoguerra vissero i mutilati, gli sfigurati e gli scemi di guerra, che la “patria” per cui avevano combattuto cercò in tutti i modi di nascondere. Queste persone infatti rappresentavano tangibilmente ciò che la guerra era stata: non l’eroica e romantica epopea sbandierata dalla propaganda patriottica, bensì un gigantesco mattatoio.
Per illustrare meglio quale fu la vera faccia della guerra, il mio racconto è accompagnato da fotografie d’epoca, manifesti, vignette satiriche, video e dalla traduzione delle canzoni che via via si inseriscono nel testo.
Quanto è stato importante il fenomeno della diserzione e dell’opposizione alla guerra, in un periodo in cui l’interventismo aveva contagiato anche parte della sinistra?
La renitenza, la diserzione e l’obiezione di coscienza all’inizio furono fenomeni estremamente limitati, perché lo scoppio della guerra fu accolto con entusiasmo dalla maggior parte degli europei. I renitenti erano perloppiù cittadini emigrati all’estero che si guardarono bene dal tornare in patria, i disertori furono in gran parte contadini che non ritornarono dalle licenze o soldati che capirono che consegnarsi al nemico era una garanzia di sopravvivenza maggiore che combattere. Gli obiettori di coscienza invece erano in maggioranza cristiani “radicali” (bruttissimo termine: sarebbe più corretto dire “cristiani veri”) che preferirono sfidare gli apparati militari piuttosto che abdicare alle proprie convinzioni. In “Rifiuto la guerra” riporto anche la storia di un renitente di Isola d’Istria che dall’Austria scappò nella ancora neutrale Italia. Quando, dopo il 24 maggio 1915, venne convocato per essere arruolato nell’esercito italiano, rispose: “Sono scappato dall’Austria per non dover sparare a russi e serbi, e adesso dovrei andare ad uccidere mio fratello o il mio vicino di casa?” Per questa dichiarazione scontò sette anni di carcere in Sardegna.
Con il passare del conflitto, invece, la diserzione divenne sempre di più un atto di opposizione attiva alla guerra. Alla diserzione individuale seguì la rivolta di gruppo e l’ammutinamento. Via via negli eserciti l’insubordinazione divenne un atto di protesta contro tutto l’apparato militare, con rivolte che nel 1917 in Francia coinvolsero il 60% delle truppe al fronte, in Austria-Ungheria una parte consistente della marina, in Russia il grosso delle armate. Una dinamica di questo tipo vale anche per le truppe italiane a Caporetto: quando i soldati si resero conto che lo sfondamento nemico stava avendo successo e che opporsi all’avanzata era un suicidio, migliaia di italiani si arresero, sperando che l’offensiva austrotedesca significasse finalmente la fine della guerra.
Nell’estate del 1918, analogamente a quanto accadde l’anno prima tra gli alleati, 230.000 soldati austroungarici, 300.000 ottomani ed un milione di tedeschi stava abbandonando il fronte per tornare a casa. A mio avviso la prima guerra mondiale si concluse con una diserzione di massa dei soldati degli Imperi centrali, ma queste informazioni sono sempre tenute nascoste dagli apparati militari, perchè contrastano con la vulgata eroica della “battaglia finale” e soprattutto mostrano che se i soldati se ne vanno in massa, non c’è struttura militare che possa fermarli.
La maggior parte delle canzoni sono contemporanee alla Grande Guerra, ma ci sono anche pezzi scritti decenni dopo (penso a Boris Vian o a De André), quali sono stati i criteri per scegliere questi inserti “anacronistici”?
In realtà su dieci brani ci sono solo questi due anacronismi. Ho inserito “Le deserteur” di Vian perchè in una conferenza-concerto dedicata soprattutto ai disertori non poteva mancare. “La ballata dell’eroe” di De André è il pezzo con cui si chiude lo spettacolo: mi sembra che rappresenti in maniera perfetta il contrasto tra l’interesse dello Stato e quello del privato cittadino (e in questo caso della sua donna).
Immagino che una delle spinte per la realizzazione di questo spettacolo sia la possibilità di coniugare il Purini storico ed il Purini musicista. Dal punto di vista degli arrangiamenti, come avete deciso di trattare un repertorio così eterogeneo per genere musicale, lingua, cultura? Avete scelto degli arrangiamenti moderni o un approccio più filologico?
Non volevo fare uno spettacolo italocentrico: purtroppo nell’immaginario collettivo italiano la prima guerra mondiale è una guerra tra Italia e Austria. Non è così: il fronte italiano fu uno scenario quasi periferico nel contesto generale della guerra. La scelta di spiegare il conflitto in un’ottica veramente mondiale dunque passava automaticamente attraverso la ricerca di canzoni del maggior numero di paesi coinvolti: italiane, slovene, tedesche, francesi, ungheresi, inglesi ed americane. Come storico e come musicista ho studiato e lavorato tra Italia, Slovenia e Austria. E dunque costruire uno spettacolo di respiro internazionale mi è stato abbastanza semplice. Devo comunque ringraziare i musicisti che dividono il palco con me: Aljoša Starc che ha curato tutti gli arrangiamenti, adattandoli perfettamente all’organico, Paolo Venier, alla voce, che ho costretto a cantare in sei lingue e che ha dovuto addirittura imparare brani in ungherese e Olivia Scarpa al fagotto, che mi ha dato numerosi suggerimenti. Credo di poter dire che abbiamo creato un sound abbastanza particolare: Paolo è un crooner, un tenore specializzato in brani degli anni ’20, Aljoša suona magistralmente pianoforte, fisarmonica e clarinetto, Olivia ha una formazione classica, mentre io sono un sassofonista che si divide tra jazz e musica etnica. L’insieme di tutto questo ha dato come risultato arrangiamenti abbastanza fedeli agli originali ma con una timbrica ed un’espressione che si sono rivelate decisamente innovative.
La Grande Guerra combattuta sul confine orientale ha rappresentato un cardine della propaganda nazionalista e fascista, da D’Annunzio fino a Mussolini che scelse Trieste per proclamare le leggi razziali. Pensi che al giorno d’oggi in Italia la memoria della Grande Guerra sia ancora sfruttata in chiave nazionalista? Qual è il rapporto con i temi spesso strumentalizzati dalla destra, come le foibe o l’esodo istriano?
Purtroppo la grande guerra è sempre stata uno dei miti fondanti di questo paese, affiancata negli ultimi vent’anni da foibe ed esodo, mentre si è volutamente dimenticato quella che dovrebbe essere la pietra angolare della storia della Repubblica, cioè la Resistenza. Ciò che mi pare più grave di tutto è che la cosiddetta sinistra italiana, per fini puramente elettorali, è stata rapidissima ad accettare questi nuovi miti fondativi, a gettare fango sulla lotta partigiana e a parlare di memoria condivisa di tutti gli italiani
Come giudichi l’approccio delle celebrazioni “ufficiali” per il centenario in Italia e all’estero? Ci sono differenze significative?
Che la grande guerra sia sfruttata in chiave nazionalista è evidente, basta guardare ciò che è successo il 24 maggio di quest’anno: anziché ricordare l’assurdità dei milioni di morti si è parlato di patria, bandiera, esercito, unità nazionale. A Trieste è stata fatta una manifestazione dal titolo “L’esercito marciava…”, con tanto di staffetta commemorativa (con il ministro della difesa Pinotti in veste di podista), bandiere spiegate e addirittura con esercitazione finale dei lagunari. Il commando ha simulato un assalto anfibio con mitra e bombe a mano… Come se non bastasse a Gorizia – la città più martoriata del fronte italiano – è stata autorizzata la manifestazione nazionale di Casa Pound con slogan apertamente militaristi e revanscisti.
Che io sappia in altri paesi europei non c’è stato un coinvolgimento così pesante dell’esercito, viceversa si è focalizzata l’attenzione sulle sofferenze di soldati e civili.
Pensate di proporre il vostro spettacolo anche in Slovenia o in Austria? Hai notizie di spettacoli del genere in altri paesi?
Sto già lavorando sulla traduzione slovena e per quanto riguarda l’Austria ho già un contatto con Graz e Klagenfurt per metterlo in scena in occasione del centenario della fine della guerra, nel 2018. Mi piacerebbe portarlo anche negli altri paesi che parteciparono alla guerra, anche perché non mi risulta che altrove in Europa sia stato fatto qualcosa di analogo; se non altro non ho notizia di altri spettacoli di respiro internazionale.
Un’ultima domanda squisitamente autoreferenziale. Quanto è stato d’aiuto il nostro sito per la ricerca di canzoni in tema? Dacci pure un giudizio spassionato da storico di professione sulla qualità delle schede relative alle canzoni…
Quando ho cominciato a pianificare lo spettacolo ho chiesto aiuto ad un mio amico storico austriaco, Werner Koroschitz, per individuare i brani. Werner mi ha suggerito alcuni titoli e ho trovato quasi tutti i pezzi e le traduzioni sul vostro sito. Non voglio adulare, ma devo dire che Antiwarsongs è una vera e propria miniera di canzoni che non ha uguali in tutto il web come archivio di brani antibellici. Avete fatto un lavoro che per la mia rappresentazione è stato fondamentale. Le schede mi sembrano molto ben fatte, sia da un punto di vista storico che come lavoro di traduzione. Se proprio posso dare un suggerimento, mi piacerebbe se – dove possibile – venissero pubblicate anche le partiture, a meno che questo non implichi problemi di diritti d’autore…
I brani dello spettacolo
Kimegyek a doberdói harctérre (T. Cseh, P. Péterdi) – Ungheria
I didn’t raise my boy to be a soldier (A. Bryan, A. Piantadosi) – Stati Uniti d’America
Hanging on the old barbed wire (anonimo) – Inghilterra
Stille nacht – Holy night – Douce nuit (J. Mohr, F. Gruber)
Oj Doberdob, slovenskih fantov grob (anonimo) – Slovenia
Le deserteur (B. Vian)
O Gorizia tu sei maledetta (anonimo) – Italia
La chanson de Craonne (anonimo) – Francia
Ich bin Soldat, doch bin ich es nicht gerne (anonimo) – Germania
La ballata dell’eroe (F. De Andrè)
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