Giovanni Passannante era un cuoco lucano di Salvia, un piccolo paese di circa mille abitanti vicino Potenza.
Il 17 novembre 1878, a Napoli, con un coltellino di poco conto, attenta – in nome della “Repubblica universale” – alla vita di Umberto I, re d’Italia, che riporta una piccola ferita ad una gamba. L’attentatore, che qualche ora prima, ha venduto al mercato dei panni vecchi la giacca per poter acquistare il coltello, viene subito arrestato e torturato perché sveli un’inesistente congiura.
Scatta in tutto il paese la repressione, ma molti esprimono solidarietà al giovane gridando “Viva Passannante”. Intellettuali, deputati e opinione pubblica di sinistra si schierano con il cuoco salviano; tra questi il poeta Giovanni Pascoli che per aver composto e letto pubblicamente una poesia per l’attentato, “col berretto d’un cuoco faremo una bandiera” (“Ode a Passannante”), subisce quattro mesi di prigione.
La madre e le sorelle di Passannante vengono rinchiuse nel manicomio di Aversa.
Il paese che ha dato i natali all’anarchico deve chiedere scusa al re e deve cambiare denominazione: così il 13 maggio il consiglio comunale di Salvia, per riabilitarsi nei confronti della casa regnante, chiede che le fosse cambiato il nome da Salvia in Savoia di Lucania, cosa che fu sancita dal regio decreto del 3 luglio 1879, nome che conserva ancora oggi, a settant’anni dalla caduta della monarchia..
[Quella che segue – ci scrive l’amica Maria Cristina Costantini – è una sintesi e parziale trascrizione della perizia psichiatrica cui fu sottoposto Passannante su richiesta dell’avvocato difensore: nella sua stesura ho evitato giudizi o commenti personali, cercando di dare conto del suo contenuto nella maniera più oggettiva possibile, dato che un documento ridotto è già di per sé manipolato. Ma c’è un altro motivo, un aspetto che mi ha colpito: questa perizia, pubblicata anche come articolo accademico, si presenta come oggettiva, ed è, in effetti, una disamina scientifica, fredda, persino impietosa; se dei sentimenti vi sono sottesi non sono certo a favore del reo: non mancano esecrazioni dell”orrendo delitto”, né ossequi all’”amato sovrano”, che con “cuore paterno” e “impulso generoso” ha concesso la grazia al suo attentatore; si sottolineano le umili origini di Passannante, la sua mancanza di istruzione alta, le carenze sintattiche e culturali dei suoi scritti. Nonostante ciò, l’uomo che emerge da queste pagine non è poi così distante dalla sua rappresentazione cinematografica, contro la quale il rappresentante dei Savoia ha ritenuto di scagliarsi con una foga morale degna, forse, di miglior causa: è un uomo acceso da idee rivoluzionarie, ma non pazzo, il suo pensiero è forse utopistico, ma non irrazionale, ha una scarsa cultura, ma è capace di difendere le sue idee con prontezza e lucidità di ragionamento, non è pentito di nulla ma neppure esaltato, argomenta senza perdere la calma, dimostrandosi capace di razionalità e consapevolezza. Tra le righe, si coglie persino, da parte dei periti, una sorta di condiscendente stupore.]
SULLO STATO DI MENTE DI GIOVANNI PASSANANTE (TENTATIVO DI REGICIDIO). PERIZIA MEDICO-LEGALE DEI PROF. TOMMASI, VERGA, RIFFI, BUONOMO, TAMBURINI. (RELATORE TAMBURINI).
Rivista sperimentale di freniatria e di medicina legale. 1879; 5: 170-189.
La perizia vera e propria è preceduta da una lunga introduzione (pp 170-174) a firma di Tamburini; il relatore spiega i motivi che hanno portato alla pubblicazione della perizia, che
“non ha già lo scopo di servire di pascolo alla curiosità, e tanto meno di sfogo a vanità personali (…) non ha altra mira che quella di riprodurre nella sua integrità ciò che è stato così inesattamente e in modo così monco e incompleto riprodotto da una gran parte dei giornali politici”.
Emerge così un interessante spaccato del contesto in cui si svolsero la perizia e il processo a Passannante: un clima di forti pressioni e una fuga continua di notizie e di risultati parziali, divulgati illegittimamente e strumentalmente a mezzo stampa. In discussione c’era l’onestà intellettuale degli psichiatri, la loro serenità di giudizio, il destino del processo e la credibilità della stessa psichiatria: da qui la decisione di pubblicare un resoconto scientifico e scrupoloso che desse conto dei dati completi e corretti raccolti ed elaborati dagli studiosi.
“All’opera dei periti non fu serbato davvero quell’ambiente calmo, sereno, che è necessario a chi deve giudicare imparzialmente secondo scienza e coscienza: invece pressioni d’ogni parte si fecero su noi perché tutto si compiesse con la massima fretta: e giornali e parlamento (…) fecero a gara per far pressa sui magistrati e su noi.”
(…)
“Ma di un’altra circostanza ebbero assai a dolersi i periti e fu la strana pubblicità che fu data a tutti i loro atti, persino ai risultati degli esami che essi venivano man mano raccogliendo. Veramente in questo processo si dové proprio passare di sorpresa in sorpresa. Dapprima furono quasi tutti gli interrogatori e gli scritti e persino lettere del Passanante, ingiuriose a quanto di più sacro è nel cuore della nazione, che si videro riprodotti dai giornali prima di Napoli e poi del resto della penisola. Indi, nominati i periti, si vide nei giornali reso conto di ogni loro minimo atto, e riportati giorno per giorno i risultati dei molti loro esami e persino riferite le cifre da essi ottenute. E appena pronunziato il loro giudizio, si vide immediatamente pubblicato dapprima qualche brano, indi quasi tutta la perizia, data pascolo al pubblico prima dell’ora solenne del giudizio.”
PERIZIA
Alla notizia della nomina i periti restano perplessi perché
“pieno l’animo ancora dei sentimenti d’esecrazione provati alla notizia dell’orrendo attentato, temevamo che ci avesse a far difetto quella imparzialità di giudizi, che è dovere primo del perito (…) tuttavia (…) l’individuo sottoposto alle nostre indagini fu da noi considerato con serenità di mente e seguendo solo i severi dettami della scienza”.
Viene poi riportato un breve stralcio dell’interrogatorio cui fu sottoposto Passannante dalla polizia: alla richiesta dei motivi che l’avevano spinto all’attentato e se ci fossero stati dei mandanti, risponde: “non appartengo, né ho appartenuto a nessuna setta: ho in ispregio gli internazionali e i così detti comunisti: il mio ideale è la Repubblica Universale: non ho nutrito mai verun rancore personale contro Re Umberto: il mio odio è per convincimento contro tutti i Re”.
Di questo tenore erano tutte le sue risposte, così come i suoi scritti, rinvenuti nei domicili di Napoli e Salvia, tanto che l’avvocato difensore ritenne “di sollevare la questione dell’integrità mentale, asserendo infatti esser egli affetto da un vizio di allucinazione trasmodata in vera lipemania cronica [stato depressivo]”.
Anamnesi
“Giovanni Passanante di Salvia (Potenza) ha 29 anni. La sua famiglia è composta di gente assai ignorante, che non possiede che un meschino tugurio e mena la vita di miserabili contadini. Nessun fatto di alienazione mentale, epilessia, od altre nevrosi, alcoolismo ecc., risulta essere esistito nella sua famiglia”.
(…)
“Fu dapprima guardiano di pecore, indi domestico [Nota: Uno dei suoi primi padroni, che lo tenne giovinetto parecchi anni e lo fece istruire, era un ex capitano napoleonico, che entusiasta dei principi e degli atti della Rivoluzione francese dell’ 89, deve aver contribuito ad instillargli nella mente idee e credenze rivoluzionarie.”]
Nel 1870, a Salerno, venne arrestato per l’affissione di proclami sediziosi e rimase in galera 3 mesi, periodo a cui risalgono alcuni degli scritti esaminati dai periti.
“Si scorge una mente entusiasta d’idee rivoluzionarie, informata, come egli confessa, dalla lettura delle opere di Mazzini, di giornali repubblicani e da discorsi di amici propagatori di tali idee.”
Uscito dal carcere rimase alcuni mesi presso la famiglia. In una lettera del 19 marzo 1871 manifesta il suo entusiasmo verso Mazzini e, soprattutto, verso Garibaldi, presentato come un eroe; esprime inoltre il suo disprezzo per quegli uomini che hanno partecipato alle rivoluzioni solo per impadronirsi di potere e denaro.
“In tutto ciò non iscorgiamo che un predominio di idee rivoluzionarie oggi molto diffuse, ma nulla di morboso.”
Trasferitosi a Potenza, cambiò continuamente lavoro perché, secondo le autorità locali, “passava … la maggior parte del tempo nella lettura di giornali anziché nell’esercizio del suo mestiere e mostravasi disubbidiente ed arrogante verso i padroni”.
Nel novembre del 1875, a Napoli, lavorò come cuoco presso i proprietari di una fabbrica di tessuti; “In quest’epoca entrò nella Società Operaia di Peligna e, a quanto egli asserisce, pare che sia, pel suo carattere, sia per le sue cognizioni e per le sue speciali attitudini, avesse acquistato un certo ascendente”, giacché i soci, da 80 che erano al suo ingresso, “mercé la sua propaganda, salirono a 200”.
Nel 1877 gestiva una bettola a Salerno con il Savarese, ma la società si ruppe “per la eccessiva avidità del Savarese secondo il Passanante, per la soverchia larghezza di questo verso i proprii amici, secondo il Savarese”.
Nel 1878 si trasferì a Napoli dove cambiò 4 volte padrone in 5 mesi. I Mormile, presso cui alloggiava nei giorni precedenti l’attentato lo descrivono come un uomo corretto, educato e riservato, che rincasava presto e “si metteva a conversare con loro, facendo dei racconti curiosi di cose favolose che li facevano ridere e passar bene qualche ora”.
Segue la ricostruzione dei fatti il giorno dell’attentato: si riferisce che Passanante è uscito di buon mattino e che da allora fino al tentato regicidio l’unico fatto accertato è l’episodio del coltello: “verso le 12 m. si recò da un venditore di coltelli in Piazza Francese, e dimandò un coltello da disossare, un coltello cioè a manico fisso, tagliente da un sol lato, ma sottile ed acuminato. Il venditore riferisce che egli ne guardò parecchi provandone la punta, e nessuno gli pareva bene affilato”.
Verso le due, il giovane Mormile, incontrandolo in Carriera Grande, gli domandò cosa facesse, e lui rispose: “aspetta, che voglio vedere il passaggio del Re”.
“In tutto questo contegno nelle ore che precedettero l’attentato noi troviamo la maggior calma e pacatezza; non si direbbe mai che egli premedita un orrendo delitto”.
Segue la ricostruzione dell’attentato, dopo il quale Passannante è sottratto a stento alla furia del popolo che era accorso a salutare i sovrani.
Fin dal primo interrogatorio Passannante “rende conto esatto dell’esser suo”, ricostruisce puntualmente i suoi movimenti, espone le sue motivazioni, risponde alle obiezioni degli inquisitori.
“Ho attentato alla vita del Sovrano nella sicurezza che sarei stato ucciso, quindi dopo la mia morte avrebbero cercato gli altri di attuare il mio disegno”.
I periti commentano così i verbali degli interrogatori: “In ogni cosa risponde esattamente ed avvedutamente, mostrando una singolare prontezza di percezione, e di prevedere le conseguenze delle sue risposte. Dimandato p. e. se credeva che ove l’attentato fosse riuscito le condizioni del popolo sarebbero divenute migliori, risponde ‘sarei stato in dubbio’ E perché – ‘Perché non vi era congiura’. Alcune risposte rivelano un acume e una forza di mente non comune: così richiesto se sia virtù repubblicana il non rispettare il voto e il consenso della maggioranza (…) risponde: ‘la maggioranza che si rassegna è colpevole, la minoranza ha il diritto di richiamarla’. (…) Mostra ricordanza diretta dei fatti più minuti, e quando tace o si contraddice non è evidentemente che un silenzio volontario o un inevitabile infrangersi contro lo scoglio di un acume maggiore del suo, e dell’evidenza dei fatti”.
Scritti
Gli psichiatri analizzano gli ultimi scritti di Passannante e la loro relazione con gli scritti precedenti.
Si tratta di quattro reperti:
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– un fascicolo di 24 pagine sui mali della società e sul loro rimedio, che consiste nell’instaurazione della Repubblica Universale: l’aveva scritto dopo essersi confrontato con “altri” ed era stato approvato, così che pensava di farlo pubblicare;
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– una specie di Statuto di tale Repubblica, diviso in 18 capoversi: l’aveva scritto poco prima dell’attentato e pare che l’avesse con sé al momento dell’arresto;
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– un inno popolare rivoluzionario;
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– una lettera di 3 pagine indirizzata a Victor Hugo, “perché si faccia iniziatore della pace universale”: scritta pochi giorni dopo la chiusura dell’Esposizione Universale di Parigi [1. maggio – 10 novembre 1878, n.d.r.]; secondo i periti Passannante confonde il nome di Hugo con quello di Ugo Bassi [religioso e patriota del Risorgimento fucilato dagli austriaci a Bologna l’8 agosto del 1849, n.d.r.]
“… La prima impressione è di qualche cosa d’ingarbugliato e di confuso. Vi sono molte idee, ma spesso non appariscono articolate e connesse fra loro (…) Ma esaminandoli con un po’ di cura, facendo la parte dovuta alla scarsa coltura dell’autore (…) a poco a poco l’oscurità si dissipa, il senso si comprende, apparisce quasi sempre il rapporto fra le idee, e queste veggonsi anzi per la maggior parte di natura elevata, e l’espressione di taluna non può essere né più recisa, né talvolta più imaginosa. Ogni difficoltà poi scompare completamente quando si fanno leggere a lui, e gli si chiedono spiegazioni dei passi più oscuri. Allora quello che pareva paradossale o contraddittorio colle sue idee, viene spiegato colla maggiore limpidezza. Si potrà naturalmente non convenire con lui, ma nulla appare strano o non chiaro nella sua mente (…)”.
Il cambiamento più interessante rispetto agli scritti del 1871 è l’emergere della questione sociale rispetto a quella politica: “sono i mali del popolo a cui bisogna ricercare il rimedio radicale”.
Passannante appare preoccupato “dai bisogni che oggi agitano le masse, e da idee che oggi fermentano in certe classi della società dove producono quelle sette che mirano a rovesciare dalle fondamenta l’attuale ordine di cose, come è l’Internazionale; troviamo, come nelle idee da quest’ultima diffuse, la pretesa di sciogliere le questioni più ardenti con rimedi in massima parte inattuabili ed utopistici (…); ma in tutto ciò nulla troviamo di morboso”.
Esame dell’imputato
Dopo l’esame antropometrico, che non evidenzia caratteristiche particolari, si passa all’esame delle Funzioni psichiche.
L’”ideazione” è normale, non c’è nessun accenno di delirio; “la sua mente ha una coltura iniziale imperfetta, ed una ulteriore unilaterale, e quindi altrettanto imperfetta, in materia politica e sociale. Forse da ciò viene la natura utopistica di molte sue idee…”.
“L’attività produttiva delle idee è normale, anzi forse non comune. La rapidità alla percezione e alla formazione dei giudizi è notevole. Altrettanto dicasi della riflessione. Le idee, come anche le espressioni, sono indubbiamente superiori alla sua condizione; esse sono spesso elevate, ed appoggiate da cognizioni storiche, quasi sempre bene applicate”.
“L’”associazione delle idee” è regolare, rapida; l’attenzione intensa (…). In mezzo alle idee utopistiche, dà pur prova d’un certo senso pratico, quando dimostra, p.e., ‘i danni delle idee dei comunisti‘, ecc. Ha la tendenza ad appoggiare i suoi giudizii con esempi tratti dalla storia o dalla Bibbia, o da aneddoti popolari, e a rivestire le su idee d’una forma imaginosa. Nell’esposizione delle sue idee però non si riscalda mai e parla senza quell’ardore e quel fuoco che distingue i fanatici; si scorge ch’egli è profondamente convinto delle sue idee, e, senza mostrarsene infiammato, si dichiara disposto a sacrificare per esse la vita.
I “sentimenti” sono tutti bene sviluppati, e più quelli che sogliono chiamarsi altruistici che gli egoistici. Di sé, dei suoi bisogni mostrasi sempre infatti poco curante.“
Gli psichiatri sottolineano come in lui sia forte il sentimento della vanità, che si spiega però con l’oggettiva superiorità che il saper leggere e scrivere e l’attitudine al pensiero e alla riflessione, gli avevano conferito nei confronti degli esponenti della sua stessa classe, “senza che lo si possa trovare perciò affatto irragionevole o infondato”. La perizia si dilunga molto su questo punto, che pareva la parte “minoris resistentiae della sua mente” e premeva escludere una qualche forma di “monomania ambiziosa”.
“I “sentimenti affettivi” sono tutti bene sviluppati”, amare i genitori e gli amici è per lui un dovere; conserva un sentimento religioso forte, sebbene ridotto all’essenziale.
“Il “sentimento morale” appare normalmente sviluppato”: così risulta dai suoi scritti, in cui inveisce contro vizi e abusi e proclama il “governo dell’onestà”, ma soprattutto emerge dall’analisi della sua vita antecedente, “nella quale non un solo atto disonesto appare, almeno provato”; la conferma viene anche dalle sue risposte, in cui condanna il crimine e l’omicidio. A questo punto i suoi esaminatori lo pongono di fronte all’evidente contraddizione con l’atto appena commesso, ma Passannante replica che “voleva fare la vendetta del popolo, che le idee devono essere innaffiate dal sangue… nega di aver avuto intenzione di uccidere, ma solo d’aver voluto fare uno sfregio al Re e un onta ai plaudenti”, dice di non avere avuto scrupoli di coscienza, ma solo incertezza nella scelta del mezzo. In nota il relatore spiega che, anche in presenza di un crimine tanto efferato, non è possibile non riconoscere un normale sviluppo del sentimento morale “quando l’esame psichico accurato mostra perfetto il sentire della moralità ed inmoralità delle azioni e di ciò che avviene per esse nell’intimo della coscienza … non si può sconoscere l’esistenza di un sentimento che, scandagliato per tanti versi, si mostra così nettamente in tutte le sue faccie”.
“Il “sentimento del dovere”, inteso a suo modo, è in lui sviluppatissimo”: bisogna essere fedeli agli amici e ai propri principi, bisogna sacrificare la vita per le proprie idee.
“Gli “istinti” non sono in lui molto sviluppati: quello della conservazione è da lui senza sforzo subordinato alle esigenze dei suoi principii”; mangia poco, non beve vino, non ha mai aspirato alle comodità della vita.
“La sua “volontà” è ferma, risoluta […].
La “loquela” è pronta, facile, spedita: nel parlare non si eccita, la parola risponde sempre bene al pensiero, più di quello che ci si possa aspettare dalla sua imperfetta coltura. […]
La “scrittura” è abbastanza regolare […] sebbene rammenti la scrittura quasi uniforme che hanno tutte le persone poco istrutte, pure ha già qualche cosa di individuale […]. Spesseggiano gli errori d’ortografia e di grammatica.
La “fisionomia” è piuttosto dolce, spesso sorridente, non ha nulla di truce: lo sguardo però è acuto, scrutatore, mobilissimo […] raramente però dimostra emozione: solo lo abbiamo veduto un poco commosso appena si è presentato a noi la prima e la seconda volta, e quando gli si è parlato del suo affetto verso gli amici.
Il suo “contegno” è di persona energica: incede diritto e franco. I suoi custodi riferiscono che talora è triste e cupo e sospira, talora è allegro: che solo due volte nei primi giorni di detenzione scoppiò in pianto: che parla volentieri, ma non di frequente, con loro, e quelle poche volte mostrò d’interessarsi più di loro che di se stesso. […] Legge quasi sempre e ha richiesto varii libri, fra i quali la Bibbia, che gli fu data. Scrive spesso […] parecchie pagine su argomenti politico-sociali.
[…]
Prima di terminare il suo esame psichico non dobbiamo omettere che interpellato se approvi l’allegata pazzia a giustificazione del suo delitto, ha dichiarato recisamente ed energicamente di disapprovarla: non curo la morte, ci ha detto, ma non voglio passare per pazzo;se fossi dichiarato pazzo cadrebbe il principio, mostrerei il contrario delle mie azioni: che importa a me la vita? Voglio che il principio si mantenga.”
Segue il resoconto dell’esame neurofisiologico e clinico e poi il relatore riporta le conclusioni della perizia: si ribadisce che nell’esame accuratissimo delle condizioni fisiche e psichiche di Passannante e nello scandaglio della sua vita precedente, “nulla abbiamo trovato di morboso. Abbiamo anzi trovato alcune facoltà piuttosto sviluppate, senza detrimento però delle altre, tra le quali abbiamo trovato equilibrio.[…]
Fra le idee prevalgono quelle relative a questioni politiche e sociali; molte di esse sono di natura utopistica; nessuna è di natura delirante: sono idee oggi molto diffuse in certe classi sociali […] idee pericolose, assurde (perché inattuabili), ma non morbose”. Neppure è rilevabile un predominio morboso delle idee sugli altri aspetti della vita: alcuni lavori li ha persi in quanto ribelle, ma altri, in cui si trovava bene, li ha mantenuti a lungo. Anche la sua insistenza a mettere per iscritto le sue idee non può essere definita morbosa, dato che ”il suo ingegno non è certamente volgare: egli sentiva una forza, una ricchezza d’ideazione ch’egli stesso doveva trovare non comune. […] forse altri pure lo consigliavano a scrivere e diffondere le sue idee”.
Il reato del 1870, d’altra parte, si iscrive in un moto collettivo, non individuale, “diretto a provocare rivoluzione”.
Quanto all’attentato del 17 novembre, attuò con una determinazione lucida e un movente chiaro, ripetutamente argomentato e difeso, una spiegazione logica che allontana qualunque sospetto di morbosità.
“Non ci tratteniamo pertanto dopo quanto abbiamo dimostrato ad escludere che l’attentato commesso sia provenuto da impulso irresistibile, né da ottusità o pervertimento morboso del senso morale: la premeditazione, la volontaria determinazione dimostrata dai fatti e da lui stesso sostenuta, escludono ogni natura impulsiva nell’atto: lo sviluppo regolare, già ampiamente dimostrato, del sentimento morale, esclude ogni alterazione morbosa di questo.
Noi concludiamo quindi, unanimemente, secondo i dettami della scienza e della nostra coscienza, che il Passanante non è, né fu mai affetto né da allucinazioni, né da lipemania, né da altra qualsiasi malattia mentale.”
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