Sarebbe inutile cercare, anche tra le quasi venticinquemila canzoni di questo sito, qualcosa che parli della strage dell’Istituto Salvemini di Casalecchio di Reno, in provincia di Bologna. Nulla. Perché, in realtà, pare non sia successo nulla. Il sei dicembre millenovecentonovanta, a Casalecchio di Reno, in provincia di Bologna, non è successo nulla. Alle ore dieci e trentasei di quel giorno, a Casalecchio di Reno, in provincia di Bologna, non è successo assolutamente nulla. Un semplice guasto di un aviogetto di addestramento Aermacchi eccetera (anzi, Aermacchi MB-326 MM54386/65), un guasto, un’avaria. Un aeroplanino da guerra ? Ma quale guerra, su, dai. La guerra è una cosa seria, quella sulla quale poi si fanno le canzoni, pro, contro, come si vuole. Give Peace a Chance e il Piave mormorava. Quell’aeroplanino là guastatosi a Casalecchio di Reno, in provincia di Bologna, la mattina del sei dicembre millenovecentonovanta, serviva solo all’addestramento. Non è successo nulla, anzi nulla erano e nulla rimarranno, Deborah Alutto. Laura Armaroli. Sara Baroncini. Laura Corazza. Tiziana De Leo. Antonella Ferrari. Alessandra Gennari. Dario Lucchini. Elisabetta Patrizi. Elena Righetti. Carmen Schirinzi. Alessandra Venturi. L’appello della morte, che termina col mio stesso cognome. Anche io ero sempre l’ultimo, in classe.
Non è successo nulla, come hanno stabilito inchieste su inchieste su inchieste. Un guasto tecnico. Un nulla di fatto. Quindi un guasto tecnico, sotto forma di aviogetto Aermacchi di addestramento, alle dieci e trentasei del sei dicembre millenovecentonovanta, venticique anni fa, è piombato dentro la classe 2a A dell’Istituto Salvemini, Gaetano Salvemini, mentre si stava svolgendo una lezione di lingua tedesca tenuta da una professoressa che, nomen omen, si chiamava Germani. Cristina Germani. Lei non morì, per fortuna ; toccò, alle ore dieci e trentasei, a dodici studenti di quindici anni, qualcuno forse sarà andato per i sedici, quindici anni, sedici anni, io quasi i miei non me li ricordo più. Undici ragazze e un ragazzo, uno solo. Chissà, forse prendendolo in giro qualcuno gli diceva che era beato fra le donne. Sono battute che si fanno nelle scuole. Le scuole. La mattina a scuola. La lezione di tedesco, ich bin, du bist. La professoressa Germani. Il guasto. Le fiamme. Lo squarcio. I ragazzi che si gettano impazziti dalle finestre. I pompieri. Bologna Soccorso. Dodici morti e ottantotto feriti, ma non è mai successo nulla.
A addestrarsi sull’aviogetto Aermacchi eccetera, un tenente dall’età di ventiquattro anni. Otto anni più grande della classe 2a A. Sarà, magari, stato anche lui in una 2a A di qualche scuola di chissà dove. Magari avrà già avuto il sogno del volo. Parecchi esseri umani, e non di rado in giovane età, sono sedotti da ‘sta storia del volo. Poi ci sono anche le pubblicità, i cartelloni, l’Aeronautica Militare, il fàscino, la Patria, la divisa, tutto. E gli addestramenti. E i guasti. Specie i guasti quando, si sa, i velivoli militari possono sorvolare tutto quello che gli pare, città, paesi, centri abitati, funivie, scuole Salvemini. Nessuno glielo può impedire, neppure se si guastano. E neppure se il giovine pilota, in un impeto oltremodo umano, non si preoccupa minimamente se il suo aviogetto guasto possa, che so io, piombare su una scuola mentre la classe 2a A stava, chissà, studiando i verbi forti tedeschi o le preposizioni col dativo.
Non si può mica biasimarlo troppo, del resto, il giovine tenente. Non si è tutti eroi. Non si può sempre decidere di morire a ventiquattro anni per cercare di pilotare l’aviogetto fuori da un centro abitato dove stai precipitando. E via col seggiolino eiettabile, sblòpp! Salvare la pelle, per quel maledetto guasto, alle ore dieci e trentasei a Casalecchio di Reno, provincia di Bologna. Fu mandato a processo, il giovine tenente, ben difeso dall’Avvocatura dello Stato mentre le undici ragazze e il ragazzo della 2a A si trovavano in un edificio scolastico di proprietà, toh, dello Stato. Però il Ministero della Pubblica Istruzione non richiese nessun patrocinio dell’Avvocatura. Primo grado: due anni e sei mesi di reclusione per disastro aviatorio colposo e lesioni. Imputati al Ministero della Difesa i danni per responsabilità civile.
Secondo grado. Secondo, come la Seconda A sterminata alle ore dieci e trentasei, ich bin, du bist. Tutti assolti. 26 gennaio 1998, Quarta A. Non è un’altra classe. E’ la 4a Sezione della Corte di Cassazione la quale, appunto, cassa tutto. Rigettati i ricorsi dei familiari delle vittime. Assoluzione per tutti perché il fatto non costituisce reato. Come si suole dire, una tragica fatalità.
E forse sarà stato anche così. Si guasta l’aviogetto come si guasta la Fiat 500 o la lavastoviglie. Eppure c’è qualcosa che, venticinque anni dopo, continua a non tornarmi. Continua a non tornarmi l’uomo militare, ecco cosa continua a non tornarmi. Continua a non tornarmi “volare” per addestrarsi a “difese” che non mi difendono affatto, da niente. Continuano a non tornarmi i miti costruiti, foraggiati, propagandati. Continua a non tornarmi l’intruppamento sotto qualche divisa più o meno affascinante. Continua a non tornarmi lo Stato militare che piomba dentro lo Stato scolastico. Continuano a non tornarmi i seggiolini eiettabili, perché non ci sarebbe nulla da eiettare se non esistessero quelle costosissime macchinette di morte, quei giocattolini inutili, quegli addestramenti al nulla. Continua a non tornarmi tutto questo, e continuerà a non tornarmi mai; poi, certo, c’è stato un semplice guasto meccanico. Non è successo nulla, a Casalecchio di Reno, in provincia di Bologna, alle ore dieci e trentasei del sei dicembre millenovecentonovanta. Un buco in una classe, la 2a A, durante una lezione di tedesco. Ce ne sono tanti di buchi nelle classi. Crollano persino i soffitti. Batte un terremotino sega e l’unica cosa che crolla è la scuola, seppellendo trenta ragazzini.
E così, poiché non è successo nulla, sarebbe inutile cercare una canzone. Una canzoncina. Una filastrocca. Non è mica passata la guerra, a Casalecchio di Reno, il sei dicembre millenovecentonovanta alle ore dieci e trentasei; è passata un’avaria. Undici ragazze ed un ragazzo senza nulla, e senza nemmeno una canzone che li ricordi. Nessuno che abbia mai pensato di scrivercene sopra non dico una intera, ma nemmeno una strofa, un ritornello. Naturalmente non servirebbe bellamente a nulla, era solo così per dire; forse soltanto a dire che non si è nemmeno trattato di una strage di Stato, ché quelle di canzoni ne hanno fin troppe; è stata, invece, ed unica, una strage di Non-Stato. O, forse ancora, la strage di tutti gli Stati che ammazzano coi propri giochini (che a volte si guastano).
Ma almeno, venticinque anni dopo, se non possono e non potranno mai avere neppure una canzone che li ricordi interrotti a quindici o sedici anni, una mattina a scuola, che abbiano questo piccolo omaggio, una non-canzone per la loro non-morte, un abbraccio . [RV]
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