Per la CCG n° 25000, abbiamo scelto di presentare la consueta “pagina speciale” dedicata stavolta ad un’opera teatrale intera proveniente dall’antichità classica: la Lisistrata di Aristofane. La storia del più famoso “sciopero del sesso” della Storia contro la terribile Guerra del Peloponneso, che in pratica segnò la fine del periodo migliore della civiltà Ellenica.
E’ l’anno 411 avanti Cristo quando, alle feste Lenee di Atene, viene presentata una commedia attribuita a tale “Callistrato”. Le feste Lenee si tenevano ogni anno per celebrare il dio Dioniso Leneo; il nome derivava dalle Λῆναι, vale a dire le Menadi, le adoratrici del dio Dioniso; era consuetudine che, durante tali feste, si presentassero delle tragedie e si svolgessero agoni poetici. Era abbastanza raro che venissero presentate delle commedie, come avvenne appunto in quell’anno 411 con la Lisistrata di quel “Callistrato” che abbiamo già nominato. Ora, si dà il caso che tutti sapessero che si celasse in realtà sotto quel nome, che significa, ironicamente assai, “Bell’Esercito” o “Bella Armata”; si trattava di Aristofane (nome che, a sua volta, significa “di nobile aspetto”), il quale, da sempre, con gli eserciti, belli o brutti che fossero, ce l’aveva assai. E ne aveva ben donde.
Si era, in quell’anno Quattrocentoundici avanti Cristo, proprio nel bel mezzo della Guerra del Peloponneso. Poiché si dice che le guerre sono in sé stupide, va detto che, in un’ipotetica “top ten” delle guerre più stupide della Storia, quella del Peloponneso entrerebbe di diritto. Fin dal suo inizio, per le solite questioni di egemonia e con Sparta che proprio non la voleva affatto, fu chiaro perlomeno alle menti più intelligenti che il suo risultato sarebbe, prima o poi, stato la fine della civiltà Ellenica. Nulla da fare: tirarono diritti. Nel 411 a.C., tra le altre cose, ad Atene il clima era tremendo dopo il fallimento della Spedizione in Sicilia, l’episodio centrale della guerra che provocò la rovina totale di Atene con le migliaia di suoi cittadini messi a morire di stenti e di fatiche nelle Latomie di Siracusa. E Aristofane, come suo costume, ci andò giù durissimo, con la Lisistrata. Sono passati 2500 anni, ed è ancora un simbolo non tanto di “pacifismo”, quanto di antimilitarismo, di accusa alla guerra e alla sua idiozia, e anche di denuncia della condizione della Donna.
Nella composizione della Lisistrata, va detto, entra anche un aspetto che non di rado viene sottaciuto, o minimizzato. Se il nome della protagonista, Lisistrata (Λυσιστράτη), significa “colei che scioglie gli eserciti”, in quell’anno 411 a.C. la sacerdotessa del tempio di Atena Poliade, personaggio storico, si chiamava Lisimaca (Λυσιμάχη), vale a dire “colei che scioglie le guerre”.Non solo: la sacerdotessa del tempio di Atena Nike si chiamava “Mirrina”. Come si vede, si tratta di nomi molto simili, o addirittura identici, a due personaggi di primissimo piano della commedia aristofanea. Non è probabilmente un fatto casuale: le due sacerdotesse dovevano, per forza di cose, appartenere a famiglie nobili, e quindi conservatrici. Si crede quindi che Aristofane, facendo smascherare proprio a Lisistrata e a Mirrina l’ignoranza e inettitudine del rappresentante della magistratura oligarchica e antidemocratica (il commissario), volesse lanciare un messaggio a tutta la cittadinanza, quello di non dividersi in caste e classi sociali dagli interessi contrapposti, ma pensare esclusivamente al bene della città. Cosa che, come è noto, non avvenne affatto.
Poiché la Lisistrata dovrebbe appartenere a quel ristretto novero di opere teatrali di conoscenza veramente universale, sarebbe forse inutile ricordarne la trama pur per sommi capi; ma, poiché ultimamente la “conoscenza universale” soffre qualche acciacco di vecchiaia, sarà comunque bene farne rapida menzione. L’ateniese Lisistrata, un bel giorno, convoca le donne di Atene e di altre città (tra cui una spartana, Lampitò), per discutere un problema di non poco conto. Gli uomini delle città greche, infatti, a causa della guerra del Peloponneso, non hanno più il tempo di stare con le loro famiglie. E’ qui che Lisistrata propone una cosa semplicissima e altamente rivoluzionaria: lo sciopero del sesso. Finché gli uomini non firmeranno la pace, esse si rifiuteranno di : a) fare l’amore con loro / b) avere rapporti sessuali / c) dàrgliela (scegliere l’espressione che si preferisce). Le donne elleniche, in un primo momento, come dire, restano un po’ sbigottite e titubanti; poi si rendono conto della portata della proposta, e dei suoi possibili effetti, e si dicono favorevoli al piano di Lisistrata, facendo un giuramento.
Le donne, a quel punto, passano all’azione diretta. Occupano infatti l’Acropoli ateniese, per privare gli uomini dei mezzi finanziari per continuare a fare la guerra: Togli agli ometti soldi e sesso, e la guerricciola, pàff, passa in secondo piano. Arriva allora il “Coro dei vecchi ateniesi” il quale, per vendetta, vorrebbe dare alle fiamme l’Acropoli intera con tutte le donne dentro; ma viene fermato dal “Coro delle vecchie ateniesi”, che hanno solidarizzato con le donne più giovani. Gli uomini mandano allora un Commissario per trattare con le donne, ma Lisistrata ne smaschera la stupidità, l’idiozia, l’ignoranza, la comprensione nulla delle vicende che stanno accadendo (sembra di rivedere parecchie figure di “mediatori” negli attuali conflitti). Tra le donne, comunque, serpeggia qualche dubbio; parecchie inventano pretesti per voler tornare a casa dai mariti, e Lisistrata deve darsi molto da fare per impedire loro di lasciare l’Acropoli okkupata, concedendo solo a Mirrina di tornare dal marito Cinesia ma solo allo scopo di arraparlo ben bene per poi lasciarlo con un palmo di naso. Mirrina gioca alla perfezione il tiro al marito: gli fa credere di essere tornata per fare l’amore con lui, ma poi scappa lasciandolo lì a sbollire.
Nel frattempo, lo sciopero del sesso si fa sentire anche nelle altre città greche: da Sparta arriva un araldo, finalmente, per trattare la pace. La scena è notissima e esilarante: l’araldo spartano, infatti, ce l’ha palesemente incannato ed incontra proprio Cinesia, il marito di Mirrina, il quale è nella stessa identica condizione. I due si mettono d’accordo: Sparta invia ambasciatori pronti a trattare la pace, mentre Cinesia si occupa di informare le istituzioni ateniesi. Si riconciliano quindi anche i due cori, quello dei vecchi e quello delle vecchie ateniesi, e lo stesso fanno gli ambasciatori spartani e ateniesi davanti a Lisistrata trionfatrice. Questa si lancia in un elevato discorso pacifista che ricorda le radici comuni di tutti i popoli greci; ma tale discorso si trasforma presto in un profluvio di allusioni e doppi sensi sessuali da parte degli uomini. In un tripudio di danze e banchetti, si celebra il ritorno delle donne dai loro mariti.
La Lisistrata non è solo considerata una delle migliori commedie aristofanee; è, probabilmente, quella che ha avuto, in ogni epoca, l’influenza più profonda. Per la sua estrema modernità, non è esagerato affermare che abbia influenzato da vicino proprio i movimenti femministi del XX secolo. Occorre però specificare che le donne ateniesi di Aristofane non si battono propriamente né per la parità dei sessi, né per l’emancipazione della Donna: si battono per la pace, per fare finire la guerra. Tuttavia, la Lisistrata è il primo testo che ci sia noto che parli dell’emancipazione femminile, non soltanto per mezzo di un lamento patetico (questo era già avvenuto, ad esempio, nella Medea di Euripide, autore peraltro abòrrito da Aristofane che non perdeva occasione per attaccarlo e metterlo in ridicolo), bensì mediante un’autentica e fattiva collaborazione tra le donne, anche e soprattutto di diverse città, le quali appaiono perfettamente conscie delle loro possibilità e della loro capacità di imporre il proprio volere agli uomini. Il “coro dei vecchi Ateniesi” se ne accorge subito, lanciando un canto di allarme: ”Se cediamo, se gli diamo il minimo appiglio, non ci sarà più un mestiere che queste, con la loro ostinazione, non riusciranno a fare. Costruiranno navi, vorranno combattere per mare […] Se poi si metteranno a cavalcare, sarà la fine dei cavalieri.” (vv. 671-676). Le donne non si sentono per nulla “inferiori” e deboli, arrivando a pensare, se gli uomini riuscissero a strappare loro un atto sessuale con la forza, che comunque esse otterrebbero il loro scopo compiendo l’atto senza nessuna partecipazione. L’astinenza si rivela durissima per gli uomini, ma anche per le donne, tanto che Lisistrata deve impegnarsi a fondo per tenere unite le sue compagne. Ciononostante, malgrado le difficoltà, le donne resistono e la firma della pace arriva come una liberazione per entrambi i sessi.
La portata rivoluzionaria della Lisistrata non può essere compresa appieno se non si considera la condizione della donna nell’Atene del V secolo a.C. Si parla qui, naturalmente, della condizione delle donne libere, di condizione media e elevata: quella delle donne di condizione inferiore (per non parlare, ovviamente e purtroppo, delle schiave) non sarebbe mutata, in Grecia e altrove, fino ai tempi moderni. Anche la donna “libera”, nell’Atene di quell’epoca, aveva possibilità assai limitate: non aveva accesso né alle cariche pubbliche, né ad un’istruzione adeguata. Il compito della donna era quello di procreare e badare alle faccende domestiche, con o senza l’ausilio di schiavi (e schiave). La donna passava quasi tutto il suo tempo in casa, e non era mai presente nei luoghi pubblici ateniesi, come l’Agorà ed il Ginnasio. Fatto significativo assai, non è neppure chiaro se potessero assistere alle rappresentazioni teatrali. Poiché nelle tragedie e nelle commedie le parti femminili erano comunque affidate a uomini, è praticamente certo che anche nella rappresentazione originale della Lisistrata la sua parte e quella delle sue compagne siano state affidate ad attori maschi. Le donne delle famiglie di condizione inferiore erano spesso costrette a trovarsi un lavoro esterno (lavandaia, tessitrice, balia), che al tempo stesso costituiva un aggravio delle loro fatiche e l’unica possibilità di avere delle relazioni sociali. Il marito veniva scelto dalla famiglia; una ragazza era considerata in età da marito verso l’età di 14 anni e, in genere, veniva data in sposa ad uomini sulla trentina, assieme a una dote per il suo mantenimento. La donna non aveva il diritto di amministrare la propria dote (compito che spettava al marito) anche se, qualora la dote fosse consistente, le permetteva comunque di non avere problemi economici per tutta la vita. In tutto questo si deve considerare che, tra tutte le poleis greche, Atene non era probabilmente quella che garantiva maggiore libertà alle donne. A Sparta, ad esempio, la donna poteva disporre liberamente dei propri averi e poteva allenarsi facendo ginnastica. Nella “comunista” Sparta, probabilmente la donna aveva una vita sociale più vivace.
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