A prima vista, sembrerebbero entrarci assai poco l’uno con gli altri, Fabrizio de André e i Bretoni; eppure, in questi ultimi tre mesi, sono andati di pari passo nelle “ristrutturazioni”. Ogni tanto, piglio una sezione del sito e la rifaccio di sana pianta, modificandola, ampliandola, integrandola, correggendola, sistemandola e quant’altro. Non c’è e non ci deve essere una “logica”; per la scelta, seguo realmente ciò che mi comanda una specie di istinto, incrociando storie e canzoni, musica e parole, autori e anonimi, culture e sensibilità apparentemente difformi. E’ un vero e proprio viaggio che, come tutti i viaggi, porta sovente a nuove scoperte che aggiungono memoria alla memoria; e mi piace pensare, non lo nascondo certamente, che questo sia in definitiva il compito più alto e più degno di questo sito.
Certamente, però, uno straccio d’idea seminale c’è sempre. Quando, un dato giorno, mi metto a ristrutturare una sezione intera, è perché si tratta quasi sempre di un insieme di pagine che si sono accumulate nel tempo in maniera assai disuguale, caotica, arruffata. In una data sezione esistono spesso pagine assai “antiche” relativamente al sito, prive di tutto (spesso persino delle più semplici indicazioni discografiche, per non parlare delle introduzioni e dell’iconografia), che coesistono con pagine completissime. Molto spesso, tali pagine contengono errori di ogni tipo, e si tratta quindi di fare un lavoro di verifica capillare (in primis storica e testuale). Nuove notizie vengono reperite, le quali conducono a nuovi testi da analizzare e da inserire. Per questo e per altri motivi, l’immagine del “viaggio” è quella che meglio si attaglia a tutto questo. Serve anche a dare l’esatta coscienza delle dimensioni che ha raggiunto oramai questo sito, di cui nessuno di noi vedrà mai una sistemazione definitiva e totale. Somiglia sempre di più ad una di quelle storie di fantascienza degli anni ’40 o ’50, dove viene narrato di viaggi intergenerazionali verso lontanissime galassie.
Questo viaggio è partito coi Bretoni. La “Sezione Bretone” del sito non è vastissima, e proprio nel corso della sua ristrutturazione ha varcato (e superato) la soglia delle 50 canzoni. Vastissima non potrà mai essere, avendo a che fare con canzoni in una lingua minoritaria, frammentata e non semplice. Non mi sarei mai azzardato a toccarla finché non avessi avuto di quella lingua una conoscenza sufficiente a muovermici a mio agio; quando me la sono sentita, è “sceso in campio” l’alter-ego bretone, Richard Gwenndour, laddove “Gwenndour” significa in bretone “acqua bianca”. Ed è cominciata così una sequela di giovani coscritti in partenza, storie spesso tragiche di una vecchia comunità rurale e marinara colpita dal flagello delle giovani generazioni mandate a far la guerra già prima della leva obbligatoria di epoca rivoluzionaria e napoleonica. Ma le canzoni bretoni, sia popolari che d’autore, ci parlano anche di dure condizioni di lavoro nelle campagne e in mare, delle lotte di anni remoti (come la “Rivolta dei Berretti Rossi” del 1675 narrata in Hañvezh ar bonedoù ruz) e recenti (come le battaglie sociali, indipendentiste ed ambientali degli anni ’60, ’70 e ’80) tra le quali mi piace scegliere quella contro la costruzione della centrale nucleare a Plogoff, narrata ad esempio in Keleier Plogoff; ci sono i gwerzioù dedicati ai grandi avvenimenti internazionali come le cupe e tragiche storie d’antiche guerre (ad esempio, il complesso di ballate note sia come An distro euz a Vro-Zaoz o Silvestrig.)
La canzone e la musica bretone, popolare e d’autore, ha conosciuto a partire dagli anni ’60 del XX secolo una rinascita che ha portato molte sue figure ad una fama planetaria. Il nome più ovvio è quello di Alan Stivell, ma la “Sezione Bretone” è fatta anche per rivisitare e conoscere altri personaggi, come Gilles Servat, i Tri Yann, Denez Prigent e tanti altri, tra i quali vorrei nominare almeno Gweltaz Ar Fur e la sua “canzone di famiglia”, Ar soudarded zo gwisket e ruz, autentico capolavoro della canzone in lingua bretone:
I soldati van vestiti di rosso,
O lin de lin da lan de lin da
I soldati van vestiti di rosso,
E i preti van vestiti di nero.Il miglior soldato che era nell’armata,
O lin de lin da lan de lin da
Il miglior soldato che era nell’armata
Sì che era il soldato Ar Fur.E diceva ai suoi compagni,
O lin de lin da lan de lin da
E diceva ai suoi compagni,
Non credo di morire davvero.Ma se dovessi morire in guerra,
O lin de lin da lan de lin da
Ma se dovessi morire in guerra,
Seppellitemi in terra benedetta.Ma se morissi in casa di mio padre,
O lin de lin da lan de lin da
Ma se morissi in casa di mio padre,
Seppellitemi al paese di Brizieux.Al paese di Brizieux nel camposanto,
O lin de lin da lan de lin da
Al paese di Brizieux nel camposanto,
Un abete da croce ci sta piantato.Un albero da croce ci sta piantato,
O lin de lin da lan de lin da
Un albero da croce ci sta piantato,
E mai ha perso il suo fogliame.Però quest’anno è appassito,
O lin de lin da lan de lin da
Però quest’anno è appassito,
Morto è il soldato Ar Fur.La terra ha cominciato a bagnarsi,
O lin de lin da lan de lin da
La terra ha cominciato a bagnarsi
Assieme alle lacrime dei Bretoni.Il miglior soldato che era nell’armata,
O lin de lin da lan de lin da
Il miglior soldato che era nell’armata
Sì che era il soldato Ar Fur.I soldati van vestiti di rosso,
O lin de lin da lan de lin da
I soldati van vestiti di rosso,
E i preti van vestiti di nero.
Mentre la ristrutturazione della “Sezione Bretone” è nata ed è andata avanti sulla base di una data lingua, quella dedicata a Fabrizio De André è, chiaramente, basata su un autore. E’ nata nel bel mezzo della ristrutturazione della “Sezione Bretone”, e con essa è proceduta di pari passo, come fossero le due famose rette parallele che s’incontrano all’infinito (la scienza matematica è, non di rado, poesia pura). Come è facile immaginare, la sezione dedicata a “Faber” è non soltanto una delle più importanti del sito, ma anche una delle più antiche; comprende ad esempio una canzone come La guerra di Piero, che, oltre a fare parte del “gotha” di quelle che abbiamo ritenuto le dieci canzoni fondamentali contro la guerra di tutte le epoche, è anche la quinta canzone del sito in ordine di inserimento, tra le venticinquemila e rotte di cui attualmente consta.
La sezione dedicata a De André è enorme e si trovava, spesso, in un caos babelico. Aggiunte disordinate, incompletezze, dimenticanze, incongruenze. Esisteva inoltre la necessità di inserire tutte le traduzioni in lingua inglese che un giovane americano innamorato di De André, Dennis Criteser, aveva inserito tra il 2013 e il 2015 in un blog interamente dedicato a questa cosa, Fabrizio De André in English. Pagine come quella dedicata alle “versioni modificate” di Via della Povertà erano in condizioni di caos primordiale, senza contare il fatto che la “Sezione De André” si estende anche a parecchi “Extra” e alle versioni italiane che De André aveva fatto da vari autori, e che si trovano naturalmente inserite nelle relative pagine (caso tipico, la Canzone del Maggio inserita nella pagina dedicata a Chacun de vous est concerné). Nuove canzoni e nuove traduzioni sono state inserite, anche in parecchie altre lingue; introduzioni sono state rifatte di sana pianta, assieme a riconsiderazioni, aggiustamenti, spostamenti. Ma non sto a farla troppo lunga; basta dare adesso un’occhiata alla “Sezione De André” per rendersene conto.
Durante il viaggio delle ristrutturazioni di questi mesi, non è “nato” soltanto il “bretone” Richard Gwenndour (che, a rigore, era già nato da un pezzo: è la “bretonizzazione” del mio nome che uso per la redazione della mia grammatica descrittiva del bretone che sto compilando fin dal 2003), ma anche un altro curioso personaggio, Gaspard de la Nuit, nome ripreso da un compilatore di incroci obbligati, ricerche di parole crociate ed altri difficili giochi della Settimana Enigmistica, di cui sono appassionato fin da ragazzino.
Se le ristrutturazioni sono state un viaggio, è stato un viaggio notturno. Nel silenzio di ore che, credo, per la maggior parte delle persone sarebbero considerate assurde. Ho degli orari e dei metabolismi che non raccomanderei molto in giro. Un viaggio, quello di Richard Gwenndour e di Gaspard de la Nuit, che è stato accompagnato da litri e litri di caffè (che, magari, fanno il paio coi litri e litri di corallo -e di whisky- di Amico fragile), da un gatto che entrava e usciva, dai rumori bizzarri e bellissimi della notte, da pacchetti di sigarette interi, dalla solitudine e dalla musica. Un viaggio e un volo, dove nella notte le scogliere di Bretagna e della “mia” isola di Ouessant si sono spesso incrociate e confuse con le storie di Faber, con la cella dove si è impiccato il Miché o dove stava l’impiegato nella sua ora di libertà, con l’asina dei Monti di Mola, con mille e mille direzioni ostinate e contrarie. E così, alla fine, Richard Gwenndour, Gaspard de la Nuit e il sottoscritto si sono ricomposti in un’armonia, in un tutto. A pensarci bene, si tratta della storia della mia vita intera.
E’ andata a finire che, il tredici marzo del 2016, il viaggio è terminato con un’antica ballata occitana, Mis amour, che Fabrizio De André interpretò nel 1995 assieme ai Troubaires de Coumboscuro. Era stata inserita in un album, A toun souléi, al quale aveva collaborato anche Alan Stivell; ed allora, proprio alla fine, De André e i Bretoni si sono dati la mano. Ha assistito alla cosa il terzetto formato da Richard Gwenndour il bretone, da Gaspard de la Nuit il fumatore notturno avvelenato di caffè, e dal sottoscritto. Che vi salutano piacendo loro di pensare d’avervi fatto cosa gradita mentre voi riposavate, like a flickering light in the darkness nel viaggio al termine della notte. [RV]
Post Scriptum. Ma nel viaggio non sono stato sempre solo. A volte mi hanno accompagnato, e mi corre il gradito obbligo di ringraziarli e di abbracciarli, Bernart Bartleby, Krzysztof Wrona (a sua volta “bretonizzato” in Kristof Bran) e Flavio Poltronieri, immenso conoscitore di Bretagne.
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