Qualche settimana fa, abbiamo ricevuto una mail che ci ha particolarmente commosso:
Mi chiamo Thanassis Papathanassiou e vi scrivo da Trieste. Sono arrivato a Trieste il lontano 1984 per studiare all’Università come tanti altri giovani greci. Col passare del tempo mi sono trovato bene, ho amato Trieste e così decisi di rimanerci. Ovviamente la passione per quello che è rimasto indietro è rimasta sempre accesa e mi ha portato a condurre per diversi anni una trasmissione alla radio riguardo la cultura ellenica, principalmente quella musicale, e la vita dei greci Triestini alla città che per diversi secoli li ha ospitati (i primi greci a Trieste arrivano verso la metà del 18imo secolo). Attualmente la trasmissione (Via della Grecia n.104,5) va in onda ogni Domenica dalle 14 alle 15:30 dalle frequenze di Radio Fragola.Ho fatto questa introduzione per spiegare il “legame” che si è creato tra me e Gian Piero Testa. Il problema che da sempre mi tormentava era in che modo sarei riuscito a trasmettere oltre il contesto storico, anche e soprattutto il sentimento che la musica crea.. La difficoltà linguistica era uno degli ostacoli.. far sentire una canzone vale a dire soprattutto farla capire.. di solito amiamo quello che abbiamo capito, quello che abbiamo scoperto e conquistato, che è diventato, in un modo o nell’altro, nostro.. Ecco quindi che nelle continue ricerche mi appariva sempre lo stesso nome: Gian Piero Testa e la sorpresa aumentava quando oltre alle traduzioni leggevo anche i suoi commenti.. impressionante, non erano i commenti di uno che ti guarda dall’altra parte della riva.. lui stava lì, vicino a me…
All’inizio pensavo che fosse un illuminato e bravo traduttore che aveva trasformato la sua vocazione in passione.. Leggendo però i testi che accompagnavano le canzoni mi sono reso conto che era molto di più.. era una persona che riusciva a rompere i codici linguistici ed arrivava fino ai messaggi crittografati delle parole e dei sentimenti che esse facevano nascere.. Conoscere una lingua non vuol dire necessariamente anche capirla..
Avevo sempre in mente di organizzare con l’aiuto della Comunità Greca a Trieste una serata dedicata a lui. La mia curiosità, di conoscere questa persona cresceva sempre di più, ogni volta che “ci incontravamo” per le esigenze di qualche spiegazione su una musica facevo sempre lo steso pensiero, conoscerlo e farlo conoscere a tutti quelli che sono coinvolti con la cultura ellenica. Lui, ogni volta mi offriva generosamente qualcosa che io non potevo raggiungere, il punto di vista “italiano” da un “greco”. Io purtroppo sono e sarò per sempre intrappolato nella gabbia sentimentale che ti creano le esperienze giovanili, le emozioni e le passioni del passato.. Lui essendo libero da questi vincoli e contemporaneamente un “greco” mi dava sempre quello che chiedevo…
Purtroppo, come succede spesso, il tempo mi ha ingannato, ho pensato che siamo eterni ed ho sottovalutato il presente.. mi dispiace non ce l’ho fatta…
I Greci sono di certo anche quello che non desidererebbero essere, cioè una “razza” meticcia e rimescolata (come tutte le altre, del resto) da mille apporti barbarici e stranieri. I Greci sono anche Turchi, Albanesi, Slavi, Rumeni, Zingari, Ebrei, Veneziani, per quanto si sforzino di mascherarlo o di negarlo. Di certo non arrivano giù diritti diritti dai lombi delle mogli di Pericle o di Temistocle. Ma di Pericle e Temistocle parlano ancora la lingua. Che fu la lingua di Omero, di Saffo, di Alceo, di Pindaro, una lingua il cui cuore ancora non si è rattrappito.
E colui che parla la lingua greca, che sia quella colta o sia quella della strada, parla greco, e per ciò stesso ha un acume speciale per cogliere il razionale e l’immaginario compresenti in ogni cosa. Chi parla la lingua greca, anche se fa cazzate o commette ignominie, lo fa con una sua perspicacia. Non è frequente trovare un Greco (uno che parli greco s’intende: non il telefoninese, il gergo dei ragazzotti o degli striscioni e delle urla di stadio) che sia irrimediabilmente ottuso. Sospinti dalle loro stesse parole, i Greci tendono a collegare ogni realtà per le vie analogiche, che sono metaforiche e sinestetiche. E che dunque inglobano in sé il nucleo di ogni potenza poetica, nel che è la vita stessa. Fuori c’è solo morte. E questo accade perché usano il greco. E questo spiega perché amano sempre le loro canzoni e le loro poesie, anche se vecchie. E questo spiega perché canzone e poesia in Grecia vadano di pari passo. E questo spiega perché di fronte ad ogni fatto della vita, un Greco di solito non tiri fuori un proverbio, ma più spesso il verso di una canzone o una canzone intera. Il fatto è che, da loro, i versi delle canzoni li scrivono i poeti.
I Greci hanno avuto anche dei poeti illetterati che facevano i musicisti e che erano anche poeti. E che, senza saperlo, usavano lo stesso procedimento di Elytis, uomo dal suo canto assai colto, quando diceva: ” Devi sapere prendere il mare attraverso l’odore perché esso ti consegni il vascello e perché il vascello ti consegni la Gorgona e la Gorgona ti consegni Alessandro Magno e tutte le tribolazioni della grecità”. Da qualsiasi oggetto o sensazione parta, il Greco arriva alle tribolazioni della storia del suo popolo e a quelle della propria esistenza. Il Greco di piazza Omonia nello stesso modo del poeta laureato. Se non muore la sua grande lingua, la piccola Grecia non muore, lo vogliano o non lo vogliano Angela Merkel e il Fondo Monetario Internazionale. Perché è la lingua il segreto della sua vitalità. Essere vivi, per un Greco, significa stare contemporaneamente nel presente e nel passato; essere qui mentre sei là, e viceversa. E in ogni caso ricondursi a una fonte di dolore. C’è un dolore intrinseco all’essere Greci. E quindi c’è un’esplosione di gioia, quando a un piacere si è aperta una strada attraverso il dolore. Tutto questo non ha a che fare con la tecnologia, l’efficienza, l’organizzazione; ma ha a che fare con la vita. Ecco perché il mondo “civilizzato” appena può mette i Greci tra i barbari e si impadronisce dei loro marmi credendoli di “blancura infinita”, mentre erano rutilanti di gioiosi colori e nello stesso tempo oscuri di dolorosi misteri, e li sterilizza nei musei. La canzone greca, che i poeti scrivono per un popolo poeticizzato dalla sua lingua antica, raccoglie grande messe dal dolore dell’essere Greci, nella storia comune e nelle vite personali: per questo l’introdursi nella canzone dei Greci è un introdursi nella loro storia e nel modo in cui sentono la vita. E’ per questo che io e Riccardo abbiamo il “pallino” della grecità. Forse sembriamo degli strani uccelli: ma seguiteci un po’, e vi accorgerete che la faccenda è molto e molto seria, non è un giochino di liceali invecchiati.
Commenti recenti