I cosiddetti “negazionisti”, quelli che negano siano mai esistiti Auschwitz, Treblinka, Mauthausen, Bergen-Belsen, Terezín, i forni e le camere a gas, sono -per così dire- titolari anche di un mistero linguistico. Dovrebbero, infatti, spiegare che cosa ne sia stato dell’antica lingua yiddish, il “giudeo-tedesco” parlato dagli ebrei dell’Europa orientale fin dal Medioevo. Nel 1939, ad esempio, in Polonia la parlavano oltre due milioni di persone; adesso non ne rimane praticamente nessuno. Ad occhio e croce, nel 1945 ne mancavano all’appello un sei o sette milioni di parlanti, contando anche quelli che erano emigrati altrove, principalmente in Nordamerica. Semplicemente, lo yiddish è stato eradicato dall’Europa; punto e basta. Sopravvive esclusivamente negli Stati Uniti, in Canada, e in Israele (dove è parlato pressoché totalmente da alcune comunità “ultraortodosse” che si rifiutano di riconoscere l’ebraico, idioma sacro, come lingua ufficiale dello stato). Nel 1939 era la lingua materna di circa dodici milioni di persone; città intere dell’ex Impero Russo parlavano yiddish fino all’80%, come Berdyčev nell’attuale Ucraina. Attualmente, le statistiche sono controverse; nel periodo che va dal 1986 al 1991 sembra che ancora fosse parlata da circa un milione e mezzo di persone, ma il numero va al ribasso. Lo Yiddish è stato sterminato e gassato dai nazisti; quel che ne è rimasto, è stato gassato dall’inglese.
Possedeva un ricchissimo patrimonio culturale, la lingua Yiddish. Una grande e variegata letteratura popolare e autoriale. Ha un premio Nobel, Isaac Bashevis Singer, che scriveva originariamente in Yiddish; un grande teatro e, quel che qui più ci interessa, una sterminata rassegna di canti e canzoni, popolari e d’autore. La sezione Yiddish del nostro sito raggiunge oggi, 29 novembre 2019, il traguardo delle cento canzoni, equivalenti -secondo le statistiche- allo 0,3% delle canzoni presenti in tutto questo mare magnum che è “Canzoni Contro la Guerra”. E’ la diciottesima lingua che lo raggiunge. Sembrerebbe un traguardo pressoché insignificante; ma l’importanza di questa sezione va ben al di là della sua stessa consistenza quantitativa. Vi si trovano, oltre alle canzoni popolari o comunque anonime, autori come Mordechai Gebirtig, Hirsh Glik, Shmerke Kaczerginski, Morris Rosenfeld, Abraham Sutzkever. Vi si trova, più che altro, tutta la Storia non solo di una comunità, della sua vita e della sua morte, ma anche -in gran parte- dell’intera Europa moderna e delle sue tragedie, espresse in forme originali e in una lingua la cui espressività è assolutamente mirabile.
Ci si aspetterebbe forse che queste 100 canzoni parlassero quasi esclusivamente della Shoah, dell’Olocausto, dei lager, delle rivolte nei ghetti, della Resistenza ebraica; una raccolta, come dire, di cento Zog nit keynmol (forse la più famosa canzone in yiddish). Tante ne parlano, è vero. Ma la canzone in Yiddish non è solo questo. E’ canzone anche di lotte sociali e politiche, di amore, di tragedie del lavoro (come Mayn rue plats, il capolavoro di Morris Rosenfeld e, mi sia permesso di aggiungere, tra le più belle canzoni in assoluto dell’intero sito), di ogni cosa. Nella sezione Yiddish del nostro sito abbiamo voluto rappresentarla, possibilmente, nella sua interezza. Dando conto di tutto ciò che essa ha registrato e trattato, e sicuramente al di là della recente “moda museale” della cosiddetta “canzone kletzmer”, attinente oramai (e, purtroppo, per forza di cose) più al folklore. E’ pur vero che anche la nostra sezione è una sorta di museo tematico; ma un museo che abbiamo voluto trattare, e che continueremo a trattare, come una raccolta di cose vive e vegete, non di cimeli del passato da esporre ai visitatori.
Anche e soprattutto per questo, la lingua Yiddish, che abbiamo la fortuna di conoscere discretamente bene, è stato trattato come una lingua viva, e non come l’esotico e sconosciuto mezzo di espressione del “kletzmer” (parola che significa “strumento musicale”). Per prima cosa riportandola sempre nell’alfabeto in cui si scrive, un alfabeto ebraico adattato, e non esclusivamente in trascrizioni più o meno “fantasiose”. Una sezione che ci è costata, non di rado, lacrime e sangue, e intere nottate insonni per compilare le varie pagine (spesso i testi in alfabeto originale sono assenti, e li abbiamo ricostruiti da trascrizioni). Spiegando, poi, il vero significato di alcune parole, espressioni, modi di dire. Anche parlando degli argomenti più terribili e tragici, lo Yiddish è una lingua che trasuda sempre ironia e dolcezza. Può darsi che, in tutto questo lavoro, qualcosa ci sia sfuggito, o che abbiamo commesso degli errori; ma fecimus quod potuimus. Ogni pagina di questo sito, del resto, è aperta e lo rimane per sempre.
Non finirà qui, ovviamente. Tanto c’è ancora da fare, come per ogni canzone, per ogni sezione, per ogni lingua rappresentata in questo sito. Per ogni storia e per ogni persona. Le canzoni sono storie di persone e di Storia. Non sappiamo e non possiamo sapere che cosa ne sarà, in futuro, dello Yiddish. Se continuerà ad essere una lingua viva, o se passerà nel novero delle lingue morte lasciando tutto il suo patrimonio ad un’umanità che di umano ha avuto poco o niente. Noialtri, nel frattempo, continuiamo ad effettuare il nostro trasbordo di voci e di memoria, che non è quella delle varie, e spesso vuote, “giornate” che lasciano il tempo che trovano. Al tempo diamo una spinta, e una spinta che vorremmo di vita.
Nell’immagine: la lettera scritta dalla vedova Rachel Zussman, da Gerusalemme, a suo figlio Moyshe, al Cairo. Risale al 1560 e è il primo documento completo redatto interamente in yiddish.
ריקאַרדאָ װענטורי.
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