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il Blog delle Canzoni contro la guerra

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Eduardo Galeano

By Antiwar Songs Staff on 13 Aprile 2015

Galeano blanco y negro

“[…] La gente a la que más le duele vivir, la gente más sensible es la más vulnerable. Y en cambio estos hijos de putas que se dedican a tormentar a la humanidad viven vidas larguísimas esos no se mueren nunca, porque no tienen una glándula, que la verdad es que se da bastante poco, que se llama Conciencia y es la que te atormenta por las noches”

Eduardo Galeano (1940-2015)

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Un canto di pace, un canto di libertà dal Kurdistan

By Antiwar Songs Staff on 30 Marzo 2015

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Dalla lotta del PKK e di Kobanê ci viene la splendida Egît, nota anche come Dûr neçe heval. “Non andar via lontano, compagno” è una canzone di lotta militante che non rinuncia, anzi rivendica, la sua natura di canto di libertà e di pace.

Scritta da Nuray Şen, Nail Yurtsever e Nuro Aksoy per il cantautore militante curdo Îbrahim Rojhilat nel 2006 (e pubblicata nell’album Bengî), questa splendida canzone si chiama, propriamente, Egît; è un termine, probabilmente, intraducibile in italiano, ma Gian Piero Testa ci avrebbe immediatamente riconosciuto il greco παλικάρι, che gli corrisponde appieno. Il “giovane eroe”, qui, è un combattente del PKK, perché questa canzone è stata scritta per la lotta del PKK, e di questa parla. Dalle parole che accompagnano questa canzone (notissima anche come Dûr neçe heval, dal suo primo verso) negli innumerevoli video che ha in rete, si capisce bene che del PKK è diventata un inno e, soprattutto, che ha accompagnato anche la battaglia per la vittoriosa difesa di Kobanê dai nazisti islamici dell’ISIS.

Non devi andar via lontano, compagno
no, no, non devi andar via lontano
l’inverno è freddo, inondazioni,
tempeste e fortunali,
il sonno è dolce, amico mio

E ora il cuore è un pozzo di fuoco
che si accende di passione
dando vita al mio corpo come al suolo del mio paese
ma poiché il corpo si raffredda
gli occhi sono come una goccia di rugiada, come la neve dello Zagros
non andar via lontano, compagno, no, non andar via lontano
non so aprire i loro occhi, il sonno è così tanto dolce,
ma svegliati e resta qui, vai a dare il cambio a chi fa la guardia
anche qui vediamo l’alba
il sole trasforma le montagne in fuoco ardente
uno sguardo, e si sente il rumore dell’acqua che scorre
e il calore del giorno che nasce, il calore del giorno che nasce

Il significato della parola curda heval è ben chiarito da Serhat Akbal, in italiano, nel video della sua interpretazione della canzone a Fosdinovo; aggiungo che è lo stesso nella lingua turca, con il termine arkadaş. Una parola dove si confondono “amico”, “compagno” e “fratello”. Si tratta, certamente, di un canto di lotta; eppure, come si può vedere, esso non rinuncia a considerare questa lotta come un canto di libertà e di pace.

Noi siamo come un canto di pace, un canto di libertà
hey, giovane eroe, audace aquila del monte Colemerk
non andar via lontano, compagno, no, non andar via lontano
in ogni tuo odore arde mille volte il tuo cuore
compagni, questo è uno sguardo che dice ogni cosa
è ora il momento di saper ottenere ciò che ci attendiamo

Alza la tua voce
rallégrati nel cuore
la nostra speranza è vicina, compagno

Nulla avremmo potuto intendere di questa canzone senza la traduzione turca trovata in una provvidenziale pagina Facebook, e dalla quale è stata fatta una traduzione italiana. Avendo conosciuto di persona Serhat Akbal, che è un giovane per il quale si può spendere la parola “squisito”, vorrei dedicargli questa pagina assieme a tutta la lotta del del Kurdistan. Nel video, Serhat suona uno strumento tradizionale, il saz (corrispondente alla bağlama turca); canta sia in curdo che in armeno. Quattro anni fa ha dovuto lasciare il suo paese e la sua famiglia per motivi politici e ha ottenuto lo status di rifugiato politico in Italia. Vive e lavora a Rovereto (TN) e fa il cuoco in un ristorante italiano.

Ibrahim RojhilatL’autore della canzone, Îbrahim Rojhilat, è nato nel 1969 nella città curdo-turca di Bazîd (detta in turco Doğubeyazıt). Suona e canta musica curda, sia tradizionale che di sua composizione, dal 1991 quando fondò il gruppo Koma Rojhilat, di cui era il solista. Il nome del gruppo ha, al tempo stesso, il significato di “Gruppo di Rojhilat” e quello di “Gruppo dell’Est” (rojhilat significa “est, oriente” in curdo, e qualcuno vi avrà riconosciuto la radice di Rojava “ovest, occidente”). I Koma Rojhilat si sono attualmente sciolti, e Îbrahim Rojhilat continua la sua attività come solista.

Posted in Canzoni | Tagged Îbrahim Rojhilat, Kobanê, Kurdistan, PKK, Serhat Akbal, Siria

Mezzo pane e un libro

By Antiwar Songs Staff on 24 Marzo 2015

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Non solo di pane vive l’uomo. Io, se avessi fame e fossi senza forze per la strada, non chiederei un pane; ma chiederei mezzo pane e un libro. Ed io attacco da qui violentemente quanti parlano soltanto di rivendicazioni economiche senza nominare mai le rivendicazioni culturali che è poi quel che richiedono gridando i cittadini. È un bene che tutti gli uomini mangino, ma pure che tutti gli uomini sappiano. Che godano di tutti i frutti dello spirito umano, perché il contrario è trasformarli in macchine al servizio dello Stato, è trasformarli in schiavi di una terribile organizzazione sociale.

dal discorso di Federico García Lorca ai cittadini di Fuente Vaqueros (Granada) Settembre 1931

A partire dal famoso discorso di García Lorca nel suo paese natale di Fuente Vaqueros in occasione dell’apertura di una biblioteca, Susanna Parigi ha scritto una suggestiva canzone recitata intititolata significativamente LIBeRI

Poi molti libri furono bruciati.
Ma questo odio è niente in confronto a quanto sono stati amati.
E alcuni uomini parlano, guardano, mangiano, corrono, ridono, urlano
ma sono morti.
Più morti dei sassi, più morti dei morti;
perché non hanno ansia di liberazione né capacità di appassionarsi…
perché non hanno ansia di liberazione né capacità di appassionarsi…
perché non hanno ansia di liberazione né capacità di appassionarsi…
Tutti gli uomini devono avere accesso al sapere.
Questa è giustizia.

Susanna Parigi

Posted in Canzoni, Citazioni | Tagged Cultura, Federico Garcia Lorca, Libri, Susanna Parigi

Enormi buste di plastica

By Antiwar Songs Staff on 23 Marzo 2015

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Grandi buste di plastica, la quotidiana invisibilità di chi ha attraversato i deserti del mondo e attraversa adesso il gelido deserto della nostra ostilità. È Deserto di Luca Rapisarda e Davide Giromini, dal nuovo album Rivoluzioni sequestrate in corso di inserimento nel sito.

E così attraversiamo la sabbia,
E siamo già miraggio in questo deserto
Viaggiamo con enormi buste di plastica
Viaggiamo con enormi buste di plastica.

Documenti in tasca non ne ho
Ma una ragione per difendermi e tentare.

E così attraversiamo la nebbia,
È inverno ormai, l’Emilia sembra Siberia
Insieme a noi le grandi buste di plastica
Insieme a noi le grandi buste di plastica.

Documenti in tasca non ne ho
Non c’è ragione per difendersi e scappare.

E così attraversiamo la sabbia,
E così attraversiamo la nebbia,
E così attraversiamo l’Italia,
Attraversiamo l’Italia,
Attraversiamo l’Italia.

Le enormi buste di plastica di questa breve, ma enormemente densa canzone scritta da Luca Rapisarda per Rivoluzioni sequestrate, le vediamo tutti i giorni, nelle nostre città. Sono i contenitori di tutto ciò che resta a degli esseri umani, del loro invisibile quotidiano. Buste che hanno attraversato il deserto, hanno attraversato la Libia che ora si vorrebbe invadere dopo averla consegnata al caos e alla squisita creazione neocolonialista chiamata ISIS, e che attraversano l’Italia, paese sempre più ostile e freddo. Una canzone fatta di poche immagini, ma tutte terribilmente esatte e raggelanti. Non ci sarebbe una ragione per difendersi e scappare, eppure ce ne sono mille, nessuna delle quali siamo in grado di capire sebbene anche noi, un tempo, abbiamo viaggiato per i deserti del mondo con valigie legate con lo spago. La memoria è andata, e gli occhi sono chiusi. [RV]

Posted in Canzoni | Tagged Davide Giromini, Luca Rapisarda

Server sotto attacco!

By Antiwar Songs Staff on 14 Marzo 2015

DDOS-bombaCome avrete notato in questi ultimi due giorni il sito e il blog delle Canzoni contro la guerra, ospitati dai server del collettivo Autistici/Inventati non sono stati raggiungibili. E non per colpa di problemi tecnici o di normale manutenzione ma a causa di un vero e proprio attacco informatico. Si è trattato di un DDoS (Distributed Denial of Service), un attacco che consiste nel dirigere un enorme flusso di traffico fasullo contro l’obiettivo per saturare l’infrastruttura e quindi impedire il funzionamento dei servizi offerti. In questo modo il server non può più rispondere alle richieste di visualizzazione di pagine web, di scaricamento della posta e via dicendo.

Naturalmente non sappiamo chi sia il responsabile di questo attacco, se si tratti di semplici aspiranti cracker che se la prendono con il server indipendente perché rappresenta un obbiettivo più facile rispetto ai grandi server commerciali o se ci sia una motivazione politica. Invitiamo anche i nostri visitatori a visitare il blog ufficiale del collettivo per rimanere aggiornati sulla questione.

Da parte nostra confermiamo che continueremo ad essere ospitati e a sostenere autistici / inventati, un progetto di cui condividiamo i principi e la filosofia e siamo sicuri che i compagni di A/I sapranno mettere a punto un sistema per difendersi al meglio.

Ed ora si continua…

Posted in Infrastruttura Web | Tagged A/I, DDoS | 2 Responses

Maremma amara, Maremma maiala

By Antiwar Songs Staff on 9 Febbraio 2015

Giovanni Fattori - Calesse nella Maremma toscana

Il termine Maremma, per secoli e secoli, è stato un nome comune, col suo plurale: si poteva parlare, e si parlava, di maremme per indicare qualsiasi terreno costiero paludoso, compreso il suo tratto d’entroterra. Derivando dal latino maritima, il cui significato dovrebbe essere chiaro, se ne capisce il perché; tuttora qualche anziano, o qualcuno che ha il gusto della lingua italiana d’un tempo, si lascia sfuggire una maremma laddove, oggi, si preferisce un più scientifico ecosistema palustre o altri termini di quest’epoca così attenta all’ecologia.

Col tempo, quasi inutile dirlo, si è stabilita una Maremma per antonomasia: la zona paludosa costiera tra la Toscana meridionale e il Lazio settentrionale, per intendersi. E, più in particolare, quella toscana, corrispondente alla parte sud della provincia di Livorno e alla provincia di Grosseto, il capoluogo maremmano. Forse sarebbe il caso, qui, di parlare della sua complessa storia, delle sue figure mitiche tra butteri e briganti, delle sue tradizioni, delle sue dolenti e spesso tragiche fiabe, del suo lavoro. Questo sito, come è noto, ha periodicamente delle proficue “dimenticanze”, che si trasformano quasi sempre in pagine di un certo rispetto; e così, ovviando con il tradizionale ritardo a questa lacuna, eccoci finalmente a Maremma amara.

Si dà quasi per scontato che sia la canzone popolare toscana più famosa d’Italia; ma che dico d’Italia, del mondo. A cantarla si è scomodata persino la regina del fado portoghese, Amália Rodrigues, che vi ritrovò senz’altro caratteristiche comuni con certe canzoni popolari del suo paese e che la arrangiò in un modo che sembra quasi una canzone portoghese cantata in italiano.

Tutti mi dicon Maremma, Maremma…
Ma a me mi pare una Maremma amara.
L’uccello che ci va perde la penna
Io c’ho perduto una persona cara.

Sia maledetta Maremma, Maremma
sia maledetta Maremma e chi l’ama.
Sempre mi trema ‘l cor quando ci vai
Perché ho paura che non torni mai.

Il fatto è che Maremma amara (o Maremma, Maremma, come sovente vien chiamata) non è affatto una canzone antichissima. Risale, pare, ai primi anni del diciannovesimo secolo, quando, dopo la prima bonifica medicea settecentesca, si cominciò a parlare di bonifica a vasto raggio e a progettarla sotto il Granducato lorenese. Le terre maremmane, con la loro particolare conformazione, erano fertilissime; ma erano paludi, malsane e pericolosissime. Il regno della zanzara anofele e della malaria; e non è un caso che il termine malaria, ovvero “mala aria, aria cattiva”, dall’Italia (e in particolare dalla Maremma) si sia diffuso in tutto il mondo. Si dice “malaria” in inglese, in francese, in tedesco, in giapponese, in nepalese, in tutte le lingue del globo; ci sarà un motivo. L’azione del Plasmodium falciparum, veicolato dalla zanzara anofele (“anofele” significa “inutile”, ἀνωφελής), è anch’essa un simbolo storico della Maremma e di tutte le maremme italiane.

Continue reading “Maremma amara, Maremma maiala”

Posted in Canzoni | Tagged Caterina Bueno, Malaria, Maremma, Toscana

Everyday Robots

By Antiwar Songs Staff on 3 Febbraio 2015

banksy
Everyday Robots è una canzone inquietante e realistica. L’ha scritta Damon Albarn, il cantante inglese che dopo una stagione da popstar con i Blur e le interessanti sperimentazioni tra elettronica e hip-hop della band a cartoni animati dei Gorillaz, ha fatto uscire l’anno scorso il suo primo album solista che si apre con questa traccia che dà il titolo all’intero lavoro.

Nella sua semplicità e ossessività, la canzone è un piccolo capolavoro. Siamo immediatamente calati nella scena di un giorno qualunque su una metropolitana londinese (ma potrebbe essere Tokyo, Parigi o Milano) all’ora di punta quando – dopo una giornata di lavoro – una massa di automi si incammina verso casa.

We are everyday robots on our phones
In the process of getting home
Looking like standing stones
Out there on our own

Ognuno di loro (anzi di noi perché la canzone è significativamente in prima persona plurale) ha con sé un telefonino, uno smartphone (neologismo peraltro assurdo, dato che un computer è per definizione stupido) e fissa il piccolo schermo, completamente alienato dal mondo e dagli altri automi che lo circondano. Nel Regno Unito il tempo medio per il tragitto dal lavoro a casa è 58 minuti , con punte di 75 minuti per i londinesi. “Grazie” al traffico congestionato e alla scarsa efficienza dei mezzi pubblici, penso che in Italia la situazione sia ancora peggiore. Non va meglio a chi sceglie l’automobile privata, “in fila in tangenziale le promesse si sentono tradite.” come cantavano i Gang già anni fa. Naturalmente il tempo speso per raggiungere il luogo di lavoro e tornare a casa non viene considerato orario lavorativo e così all’alienazione del lavoro si aggiunge l’alienazione del viaggio, vanificando anni di lotte per ottenere di “lavorare meno almeno se non puoi starne fuori”.

 

Aspettando il treno a Tokyo - foto di Héctor Garcia - Kirai

Aspettando il treno a Tokyo – foto di Héctor Garcia – Kirai

In piedi su un vagone affollato siamo come delle pietre in piedi, dei menhir (paradossalmente l’uomo tecnologico del XXI secolo viene paragonato alle più antiche e meno tecnologiche opere umane). Isolati dagli esseri umani in carne e ossa che ci circondano cerchiamo la socialità nei cosiddetti “social network” che alimentano invece l’asocialità e l’isolamento. Ormai incapaci di un qualche rapporto diretto e reale, come automi tocchiamo al massimo vari pollici (in particolare i pollici alzati per dire “mi piace”) finché qualcuno dei più deboli soccombe, sopraffatto da nuovi gerghi (twittare, postare, lanciare un hashtag…) e dal mare di “aggiornamenti di stato” dei suoi amici virtuali. Ma non è una grande perdita, sarà solo “one more vacancy”, uno in meno tra i milioni di pendolari che affollano la stazione della metropolitana.

Everyday robots just touch thumbs
Swimmin’ in lingo they become
Stricken in a status sea
One more vacancy

Damon Albarn ha scritto un pezzo che fotografa perfettamente e senza fare sconti a nessuno quest’aspetto della società moderna. Ed è significativo che una canzone del genere non arrivi da un folksinger semisconosciuto un po’ tradizionalista e diffidente verso ogni novità tecnologica, ma da un cantante che è stato prima con i Blur una popstar protagonista dello star system e poi con i Gorillaz uno sperimentatore della tecnologia e dell’elettronica applicata alla musica. L’ossessività dell’arrangiamento ricorda quasi la suoneria di questi onnipresenti telefonini, e il cantante, includendo se stesso nella massa degli automi, ha l’intelligenza di non puntare il dito contro nessuno, ma di limitarsi ad un sottinteso pollice, questa volta rovesciato che ci dice: I don’t like it.

smartAntiWarSongs

Tutto questo per dirvi che se questa canzone non vi ha fatto venire voglia di ribellarvi, di ricominciare a stringere rapporti umani, a guardarvi intorno o a leggere un libro invece di stare a spippolare sui telefonini, almeno venite a visitare le CCG. Da qualche giorno vi accoglieranno con una nuova home page “mobile” (ridirezione automatica per chi ci visita tramite telefonino) e con le pagine opportunamente ridimensionate per permettere la lettura anche su quegli schermi minuscoli…

L’immagine iniziale è ovviamente di Banksy

Posted in Canzoni | Tagged Damon Albarn, Smartphones, Social Network

Il primo inno distorto

By Antiwar Songs Staff on 1 Febbraio 2015

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Si crede generalmente che la distorsione dell’inno nazionale in chiave antimilitarista sia nata con Jimi Hendrix e il suo Star-Spangled Banner eseguito a Woodstock nel 1969. Sbagliato. È nata nel 1914, poco prima dello scoppio della I guerra mondiale, quando Alberto Savinio, pittore, scrittore e compositore fratello del grande Giorgio De Chirico, compose L’exécution du général per pianoforte solo, distorcendo e frammentando “Fratelli d’Italia”.

E chissà che Jimi Hendrix, che era un musicista di prim’ordine, non abbia avuto presente questa cosa che il nostro sito è lieto di riproporre tra centenari vari di “grandi guerre”. Ad essere precisi, nel 1914 il “Canto degli Italiani” non era ancora l’inno nazionale italiano (lo è stato per decenni “de facto”, ma ufficialmente lo è solo dal 23 novembre 2012!), ma aveva comunque una funzione di canto patriottico nazionale.

Savinio, Alberto Savinio, il fratello di De Chirico. Grande pittore, ma non tutti sanno che è un bravissimo musicista. Beh, lui nel ’14, ancor prima, ancor prima che scoppi la guerra, compone questa Esecuzione del generale.

È un pezzo che dura quarantacinque secondi; l’arte riesce, in quarantacinque secondi a offrire una situazione di un peso specifico straordinario, l’esecuzione di un generale, e c’è questo inno d’Italia che è frammentato. Come scoppia l’inno d’Italia. E questa qui è la visione che quasi più unisce l’arte di Savinio.

Carlo Perrucchetti

Posted in Classica | Tagged Alberto Savinio, Inni, Jimi Hendrix

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