Signor Presidente,
ieri in occasione della Festa Nazionale della Liberazione dell’Italia dal Nazifascismo ha avuto modo di dichiarare quanto segue:
Dobbiamo procedere – nella piena, consapevole valorizzazione delle Forze Armate che continuano a fare onore all’Italia – in un serio impegno di rinnovamento e di riforma, razionalizzando le nostre strutture e i nostri mezzi, come si è iniziato a fare con la legge in corso di attuazione, e sollecitando il massimo avanzamento di processi di integrazione al livello europeo. Potremo così soddisfare esigenze di rigore e di crescente produttività nella spesa per la Difesa, senza indulgere a decisioni sommarie che possono riflettere incomprensioni di fondo e perfino anacronistiche diffidenze verso lo strumento militare, vecchie e nuove pulsioni antimilitariste.
Egregio presidente, parafrasando una risposta del grande Boris Vian, le assicuriamo che le nostre pulsioni (vecchie e nuove) non sono affatto anti-militariste, ma – lo riconosciamo – violentemente pro-civili. Il punto è, signor presidente, che le nostre diffidenze verso lo strumento militare sono le diffidenze contro gli strumenti di morte che lei e molti altri cercate di spacciare per “missioni di pace”. Francamente avremmo preferito che si fosse risparmiato le sue dichiarazioni per quella farsa della parata del 4 novembre quando si celebra in armi la cosiddetta “vittoria” in uno dei più grandi massacri conosciuti nel nostro continente, ed avesse evitato di pronunciarle proprio il giorno in cui si celebra la fine di un regime fondato sul militarismo e sulla guerra.
Antimilitarismo è per noi sinonimo di antifascismo e crediamo che il 25 aprile debba essere una festa popolare senza divise né gagliardetti. Signor presidente, il nostro è un sito di canzoni, la invitiamo quindi ad ascoltare una vecchia canzone di Enzo Jannacci in cui il compianto cantautore milanese indulgeva in inequivocabili pulsioni… pro-civili. Come certamente saprà, Jannacci ha svolto per tutta la vita, accanto al mestiere di cantante, la professione di medico chirurgo e cardiologo. Capirà così anche l’importanza di quel riferimento a fare scuole e ospedali. E’ questa la natura della nostra pulsione pro-civili che lei taccia di “anacronismo” e che invece è ancora attuale oggi, e lo sarà tra cent’anni: la vita contro la morte.
Il nemico è chi sfrutta il lavoro
e la vita del suo fratello;
il nemico è chi ruba il pane
il pane e la fatica del suo compagno;
il nemico è colui che vuole il monumento
per le vittime da lui volute
e ruba il pane per fare altri cannoni
e non fa le scuole e non fa gli ospedali
per pagare i generali, quei generali
quei generali per un’altra guerra…Enzo Jannacci, Il Monumento, 1975
Stavo, in realtà sto scrivendo ancora, una recensione al vostro sito per una rubrica sul numero di maggio di “Sicilia Libertaria”. Lo spunto mi è stato dato dalle stesse parole di Napolitano che riportate all’inizio del post. Volevo condividere con voi questa coincidenza, che, considerando i comuni interessi, sembra piuttosto una “corrispondenza d’amorosi sensi”. Abbasso l’esercito! Viva Masetti!
Antonio
ps.
Se vi può far piacere, non appena è pronto, vi invio un’anteprima dell’articolo.
Grazie Antonio, certo ci farebbe molto piacere avere l’anteprima dell’articolo!
Ecco il testo pubblicato su “Sicilia Libertaria” di maggio:
Anacronistici, diffidenti, e contenti di esserlo!
Durante una delle sue esternazioni per il 25 aprile, Giorgio Napolitano ha richiamato all’ordine il governo per i ventilati tagli al salatissimo conto degli F35, “… Senza indulgere a decisioni sommarie che possono riflettere incomprensioni di fondo e perfino anacronistiche diffidenze verso lo strumento militare, vecchie e nuove pulsioni antimilitariste”. Ha tenuto a farci sapere, poi, che “I nostri marò, ingiustamente trattenuti troppo a lungo lontano dalla Patria, fanno onore all’Italia”. Secondo uno dei più accreditati dizionari etimologici, l’onore è “la riverenza e la lode che si rende alla virtù”, è “dimostrazione di rispetto verso persone che si stimano”. A proposito di onore abbiamo, evidentemente, idee molto diverse da quelle del presidente della repubblica. Noi continuiamo a pensare che per due militari professionisti, in ogni caso, sia molto poco onorevole sparare su due poveri pescatori disarmati. Del resto, molte delle persone che normalmente circondano il presidente si fregiano del titolo di “onorevole”, ma difficilmente a qualcuno sarà venuto in mente che tale titolo sia sinonimo di onorabile o onorato. Una premessa sul concetto di onore, su un giornale anarchico, potrebbe sembrare fuori luogo. Ma se davanti a simili esplicite affermazioni a nessuno sale il sangue alla testa e nessuno sente il bisogno di protestare, un problema esiste. La strategia militarista, specialmente a partire dal nefasto 150° dell’Unità, viene sempre più ipernutrita con bocconi di patria, tricolore, uniformi, onore e contorni vari, resi digeribili da una retorica buonista per la quale ogni strumento di morte, si tratti di F35, di MUOS o di testate atomiche, in quanto deliberato da un parlamento democratico, è per definizione democratico. Questa abbuffata rischia seriamente il rigurgito nazionalista con l’approssimarsi dei mondiali di calcio, durante i quali chi non impugna un tricolore è un traditore o, almeno, un disfattista di cui diffidare. Eppure l’estate che si avvicina dovrebbe ricordare a tutti che nel 1914 iniziava la più grande carneficina mai consumata al mondo prima d’allora. È passato un secolo da quando la vittoria della guerra sull’antimilitarismo ha fatto 25 milioni di morti. Ciò che non bisogna dimenticare è che la sconfitta dell’antimilitarismo fu causata principalmente dalle divisioni all’interno del movimento proletario e socialista internazionale, fomentate da una politica interventista e da una cultura guerrafondaia di matrice democratica. L’insurrezione di Ancona del 7 giugno 1914 e la “settimana rossa” che da lì prese avvio, esprimono un’avversione sociale, politica e culturale alla guerra che non ha mai più avuto repliche di simile portata. Ecco perché è importante, oggi, ridare fiato alle voci contro la guerra, voci talmente flebili da sembrare ridotte al silenzio. La canzone ha rappresentato, sin dalla nascita del movimento organizzato dei lavoratori, uno strumento semplice ed efficace di diffusione delle idee e di aggregazione umana. Chi ascolta “O Gorizia tu sei maledetta”, “Il disertore” di Vian oppure “La guerra di Piero” di De André, riesce a cogliere in pochi minuti, in modo piacevole e probabilmente definitivo, tutto l’orrore della guerra e del militarismo. La condivisione del canto e del cantare è una delle tante facce in via d’estinzione di una socialità gioiosa e creativa che ha accompagnato il fiorire e la maturità dei movimenti sociali, soppiantata, ormai da decenni, dalla ferocia competitiva dei talent show o dalla profonda imbecillità emulativa dei forzati del karaoke. Il sito “canzoni contro la guerra”, http://www.antiwarsongs.org/, è probabilmente il più importante del genere in tutta la rete. L’archivio, ad oggi, contiene 21.423 canzoni di 6579 autori diversi, in 116 lingue. È on line dal 20 marzo 2003, il giorno in cui iniziarono i democratici bombardamenti angloamericani per riportare la democrazia in Iraq. La struttura del sito è molto semplice: si tratta di un grande database con possibilità di ricerca per autore o per titolo. Ulteriori ricerche sono possibili a partire da frammenti di testo o tra le diverse traduzioni disponibili. Per ogni canzone, oltre al testo originale e ad una o più traduzioni, un link ne consente l’ascolto o il download. In moltissimi casi il collegamento punta ad uno o più video. Al sito è collegato un blog, http://antiwarsongs.noblogs.org/, uno strumento di dialogo e di collegamento con il gruppo che gestisce Canzoni contro la guerra. Fortemente consigliato agli appassionati di musica popolare e d’autore, ai curiosi e ai giovani. E potrebbe costituire un’eccellente integrazione per lo studio della storia (e della letteratura) contemporanea.
Squant!