Come quasi tutte le località transilvane, Copşa Mică, oltre al suo nome rumeno, ha anche un nome tedesco, Kleinkopisch, e uno ungherese, Kiskapus; vuol dire “piccola porta, porticella”. Si trova a nord della città di Sibiu; antica cittadina della minoranza tedesca (i “sassoni”, che la chiamavano Klîkôpeš), è vecchia di oltre seicento anni. Secondo il censimento del 2002, avrebbe 5369 abitanti; per oltre il dieci per cento sono di etnia rom. Negli anni ’50 del XX secolo vi vennero effettuati degli importanti scavi archeologici e paleontologici che portarono alla luce, tra le altre cose, lo scheletro di un mammuth molto ben conservato.
Nel 1936, però, a Copşa Mică fu aperta la Carbosin. La Carbosin produceva, sin dall’inizio, nerofumo per l’industria delle vernici e delle pitture industriali. Il nerofumo, o nero di carbone, o particolato carbonioso, o carbon black è un pigmento prodotto dalla combustione incompleta del carbone, di prodotti petroliferi pesanti, dal cracking dell’etilene o da grassi e oli vegetali. La Carbosin è stata definitivamente chiusa nel 1993; ha attraversato il regime autoritario di Re Carol, la dittatura fascista del conducător Antonescu, la guerra, il regime comunista, Nicolae Ceauşescu e i primi anni della democrazia di mercato dopo il 1989. Per cinquantasette anni ha depositato nerofumo (sostanza cancerogena), ceneri e polveri sottili su tutto ciò che si trovava a Copşa Mică, persone, animali, case, alberi, campi.
Nel 1939, sempre a Copşa Mică, fu aperta la SOMETRA (acronimo di “Societatea Metalurgică Transilvană”, che non ha bisogno di traduzione). La SOMETRA esiste ancora, ha la sua sede centrale proprio a Copşa Mică e da qualche anno fa parte di un importante gruppo metallurgico greco, la Mytilineos Holding. Produce e lavora, in estrema sintesi, piombo, zinco e loro derivati.
Chi arriva a Copşa Mică, adesso, vede le rovine della Carbosin; e i suoi effetti. La SOMETRA si vede meno, è più nascosta; ed è ancora più pericolosa e mortifera, anche perché esiste tuttora. Il lavoro. Operai. Fabbriche. Stabilimenti. La produzione industriale nella Patria Socialista. La produzione industriale nella Patria Capitalista. La disoccupazione. O lavori, o te ne vai. O lavori, o muori. Anzi: lavori e muori. E muore anche chi non ci lavora. Qualche anno fa, Copşa Mică divenne famosa in Europa per un suo poco invidiabile record: era risultata la città più inquinata d’Europa. Gli impianti industriali erano stati spinti al massimo durante il regime di Ceauşescu; quando dopo il 1989 la Carbosin fu chiusa, il 25% della popolazione di Copşa Mică se ne andò quasi di colpo. Resta la SOMETRA e resta l’aspettativa di vita degli abitanti di Copşa Mică, che è del 9% inferiore a quella degli abitanti del resto della Romania.
Patologie, cancri, malattie respiratorie, di tutto. E così, Denez Prigent, nel 1997 ha scritto sulla vicenda di Copşa Mică un gwerz. Interamente in bretone e intitolato con lo stesso nome della cittadina rumena, naturalmente; ma bisogna conoscere bene questa tradizione per comprendere del tutto. Il gwerz bretone è una ballata giornalistica; parla di eventi e di disastri che avvengono in tutto il mondo. Ci sono gwerzioù (pronunciare: “gwérju” con la “j” francese) che parlano di Evita Perón, di Víctor Jara, della fucilazione di guerriglieri baschi, dello holodomor ucraino, del genocidio ruandese. “Ballata giornalistica” non significa che sia un articolo di giornale: il gwerz mescola fatti e dialoghi, immagini poetiche e cifre, considerazioni personali e elementi mitologici e locali. Non sapremmo dire se in altre parti del mondo esista una cosa del genere, quando si parla dell’attualità.
Nel suo impressionante gwerz su Copşa Mică, Denez Prigent “mette in scena” delle donne, una delle quali è incinta, e dei morti, dei funerali. Mette in scena l’avvenire che aspetta chi vive a Copşa Mică: andarsene. Mette in scena il lavoro industriale e la morte che, in un modo o nell’altro, decreta a chi lavora, a chi vive assieme a chi lavora e all’ambiente dove si lavora.
Il sole è sorto a Copşa Mică,
il sole è sorto ma la notte è rimasta
nere le foreste, nera la montagna,
neri i giardini, nere le case
neri i corvi, nero il vento
nera la rugiada, nera la bruma,
nero il fiume, nera la terra
nere le nuvole, nera la nebbia
nere le mani, nere le facce
e neri anche i cuori. […]“Sì, ho partorito tre figli meravigliosi,
la fabbrica me li ha presi tutti.
Il primo è morto
a non ancora trent’anni,
il secondo è a letto malato
che urla di dolore giorno e notte,
e anche lui morirà presto.
Il terzo mi fa preoccupare,
neanche da un mese è in età da lavoro,
e vuole già entrare a lavorare,
e già entrare a lavorare vuole
nella fabbrica di piombo di Copşa Mică
e non posso impedirglielo
perché in questo paese non c’è lavoro.
Mio figlio è morto l’altra notte,
sto andando in chiesa al suo funerale,
mio figlio è morto, gli altri lo seguiranno
e non fra molto io pure li seguirò.”
Il 1° febbraio 1993 una delle due micidiali fabbriche, la Carbosin, chiuse definitivamente; per questo motivo il gwerz di Prigent si chiude con immagini di speranza e di rinascita:
Quest’anno per Santa Brigida
quella folle fabbrica è stata chiusa
quella folle fabbrica è stata chiusa
e quel giorno la neve è caduta,
la neve è caduta leggera come piume,
il sole è tornato a sorgere sulla città nera
sulla città nera il sole è tornato a sorgere,
e gli uccelli sono tornati sulla montagna.
Quell’anno, per Sant’Andrea,
abbiamo visto sui rami degli alberi
rispuntare le foglie.
Si è fatto aiutare nel canto, Denez Prigent, da tre “voix bulgares”: le cantanti, appunto bulgare, Ludmila Dinova, Irina Balčeva e Elena Dinova. Qualcuno potrebbe proporgli, a proposito, di scrivere, che so io, un “Gwerz Taranto”; il paragone viene, purtroppo, più che spontaneo. [RV]
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