articolo di Javier Segura, professore di Storia
La parata militare dello scorso 12 ottobre a Madrid, giorno della Festa Nazionale, ha visto sfilare un migliaio di soldati più che nel 2016, insieme ad effettivi della Polizia Nazionale, che partecipava per la prima volta negli ultimi 30 anni, e un aumento sostanziale nello spiegamento di veicoli e aeronavi. Il re Felipe VI ha voluto inoltre circondarsi per questo evento di tutti i referenti “costituzionalisti” del Regime del 1978. Senza dubbio si è trattato di una rappresentazione dell’unità delle istituzioni di fronte agli sviluppi in seguito al processo di autodeterminazione in Catalogna.
Come in tante altri occasioni nella politica spagnola viene imposto il nazionalismo spagnolo, quello che non si lascia vedere però è ben presente, e per di più molto radicato. Certo, il nazionalismo spagnolo non si è mai riconosciuto come tale e ha riservato il termine “nazionalismo” a chi rivendica la sovranità interna contro lo Stato centrale, in maniera completamente differente. Nondimeno, è completamente riconoscibile nell’ideologia che identifica la nazione spagnola con una realtà “unica e indivisibile” ereditata da tempi remoti, precedente alla sovranità popolare e, pertanto, inalterabile, che ha nell’esercito la garanzia della sua integrità territoriale. Qualcosa di tipico nella storia delle ideologie dominanti: svuotare di significato un concetto, in questo caso quello di “nazionalismo” per, così, stigmatizzarlo e utilizzarlo come arma d’offesa. Lo ha fatto Vargas Llosa nel manifesto che ha letto lo scorso 8 ottobre nella partecipata manifestazione a Barcellona per l’unità di Spagna, ignorando il chiaro carattere nazionalista della mobilitazione e accusando quello che ha chiamato nazionalismo, ossia l’indipendentismo catalano, delle tipiche nefandezze del nazionalismo espansionista delle grandi potenze: nelle sue parole, seminare la storia di “guerra, sangue e cadaveri”. Con una tale affermazione, è evidente che lo scrittore e premio Nobel per la Letteratura, che non vi è ragione di sospettare di essere di un’ignoranza abissale, ma che è ben conosciuto per la sua capacità di essere sibillino, si è approfittato della sua condizione di “vacca sacra” per collegare in maniera subliminale il processo catalano con il nazismo. Fantastico!
Per questo, credo che non sia inutile fare appello alla storia, come scienza sociale esplicativa e non come costruzione ideologica del potere costituito.
Il 12 ottobre si commemora il giorno in cui la flotta delle tre caravelle, al comando di Cristoforo Colombo, raggiunse l’isola di Guanahaní, nelle Bahamas. Il viaggio era parte del progetto di Colombo, appoggiato dai Re Cattolici, Isabella di Castiglia e Ferdinando di Aragona, per aprire una nuova rotta per il commercio di spezie, navigando verso Est attraverso l’Oceano Atlantico. Il patrocinio monarchico, tuttavia, non autorizza, se vogliamo parlare di storia, a considerare l’impresa come una impresa spagnola. Il matrimonio dei Re Cattolici non fu altro che l’unione dinastica di due corone, dettata da interessi geopolitici del momento (rivalità imperialista tra Castiglia e Portogallo) e non certo una unione di popoli. Tanto il regno di Castiglia, come i territori che facevano parte della Corona di Aragona, continuarono a mantenere le loro proprie istituzioni di governo, essenzialmente distinte e indipendenti tra loro. In questo contesto l’espansione atlantica inaugurata da Colombo fu un’impresa esclusivamente della Corona di Castiglia, che in questo modo, completava un periodo di politica espansionista. L’espansionismo della corona di Aragona guardava invece al Mediterraneo. Pertanto, sostenere di far risalire l’unità di Spagna all’unione politica di due case reali è quantomeno un travisamento.
Cos’è allora che si vuole mostrare, mettere in scena, facendo del 12 ottobre la Festa Nazionale? Molto semplice: associare l’idea di Spagna come “grande nazione” alla memoria di un impresa imperiale, testimone di un presunto passato eroico, affinché serva da fondamento all’orgoglio nazionale.
Da questo deriva la riduzione della festività all’esibizione militare e all’accoglienza reale. Molto democratico… il teatrino.
D’altra parte, la data prescelta, non solo si fonda sulla falsità storica di situare l’origine della nazione spagnola al regno dei Re Cattolici (il mantra dei 500 anni di storia) ma oltretutto si scontra con principi fondamentali di inclusione sociale e solidarietà trai popoli, qualcosa che dovrebbe regolare questo tipo di celebrazioni. L’impresa commerciale della “scoperta” ha dato origine a uno dei grandi genocidi (sterminio diretto) e etnocidi (annientamento culturale) della storia universale, frutto del dominio coloniale su popolazioni indigene e africane, sfruttate, spogliate, schiavizzate, assassinate. Senza dubbio non è una data in cui si possono celebrare la solidarietà, l’incontro tra i popoli e l’impegno verso i diritti umani. In questo caso il nazionalismo spagnolo è chiaramente allineato con quello proprio delle grandi potenze, basato sulla convinzione della superiorità dei valori etnici o culturali associati alla propria nazione rispetto a “gli altri”, i subordinati. E il problema è che il nazionalismo, essenzialista, conservatore, di destra, è per natura escludente. Che si nasconda, come peccaminoso, come succede nel caso spagnolo, rinforza la sua capacità di dominio. Un grave problema politico.
The Catalan question will most certainly not remain the only headache for the Spanish nationalism. Another what-if behind the curtain of history are, of course, the Basques. In his 2000 book The Basque History of the World, Mark Kurlansky writes:
»The idea that the Basques were in their European mountains, speaking their own indigenous European language, long before the French and the Spanish, is disturbing to French and Spanish nationalists. Unless the Basques can be shown to be from somewhere else, the Spanish and French are transformed into the Moorish role – outside invaders imposing an alien culture. From the sixteenth century on, historians receiving government salaries in Madrid wrote histories that deliberately minimized the possibility of indigenous Basques.«
No one, of course, wants violence to return, so let’s put our hope in reason and – linguistics.