La storia del suicidio di massa dei lemmings (in italiano: lemmini, o anche lemmi [singolare: lemmo]) è, come si sa, un’invenzione bella e buona: i piccoli roditori arvicoli artici, che d’inverno non vanno in letargo, sono prevalentemente solitari ma hanno comunque tassi di riproduzione molto alti e, a volte, la loro popolazione “esplode” facendoli disperdere (non di rado caoticamente) in ogni direzione in cerca di cibo e sostentamento (sono erbivori). Durante queste dispersioni è facile che molti di questi topi della tundra precipitino in dirupi, corsi d’acqua ecc.; in generale, però, la loro popolazione è regolata dai predatori, come avviene in natura. Certo è che le leggende sui lemmings sono parecchie; un tempo, ad esempio, si credeva che fossero generati spontaneamente dalle condizioni dell’aria. La storia del “suicidio di massa” dei lemmings che si buttano in mare da alte scogliere ha invece un’origine assai recente e ben precisa: un documentario Disney, Artico Selvaggio (White Wilderness), diretto nel 1958 da James Algar, e che riportò addirittura un premio Oscar. In tale documentario, vi sono varie scene di lemmings che sembrano buttarsi giù da un’alta scogliera; in realtà, tali scene furono costruite ad arte in Manitoba. La storia sembra addirittura essere stata “anticipata” dal famoso disegnatore Carl Barks, l’inventore di Zio Paperone, che nel 1955 aveva imperniato Zio Paperone e il ratto del ratto (il cui titolo originale è The Lemming with the Locket) proprio sul “suicidio di massa” del Dicrostonyx; segno, probabilmente, che la leggenda comunque “girava” da un po’, e forse anche da un bel po’.
E’ comunque dal 1958 e dal documentario Disney che tale leggenda si è generalizzata, al pari di una qualsiasi delle tante leggende metropolitane che tutti abbiamo sentito (gli amanti incastrati, la Coca Cola che scioglie le monete e viene usata per sgrassare i motori, la vedova nera nel tronchetto della felicità ecc.): ad esempio, pure Primo Levi si basò sul presupposto suicidio di massa dei lemmings per un suo racconto, Verso occidente, contenuto nella raccolta Vizio di forma (1971). Comunque la si consideri, i lemmings sono divenuti protagonisti di una leggenda, e le leggende -comunque abbiano avuto origine- hanno una loro ben precisa funzione espressiva e simbolica, da quelle più antiche ai tronchetti della felicità. Non nascono mai a caso: in particolare, quella dei lemmings prefigura la “massa cieca” che si spinge volontariamente all’autodistruzione. Proprio da qui, a mio parere, deve partire il discorso sul brano dei Van der Graaf Generator, o meglio, di Peter Hammill.
1971, Pawn Hearts, tradotto di solito in italiano con “Cuori di pedina”, o “di pedine”, o roba del genere, ovvero cuori di esseri insignificanti, o della massa informe (senza scordare, però, che si potrebbe intendere anche “Cuori messi al monte dei pegni”, “Cuori dati in pegno”, pawn shop). Considerato, e a ragione, uno dei capolavori del Progressive, specialmente in Italia dove ebbe un successo stratosferico. Erano i tempi, e mi li ricordo in prima persona grazie al mio famoso fratello maggiore che mi tirava su a De André e progressive invece che con lo Zecchino d’Oro, in cui legioni di adolescenti (e, nel mio caso, addirittura di mocciosi) si addannavano sui testi in epoche in cui al massimo, per capirci qualche cosa, c’era il vecchio Hazon Garzanti in edizione ridotta per le scuole medie. Ne venivan fuori delle cose meravigliosamente surreali, figurarsi coi testi di un Peter Gabriel, o di un Peter Hammill. E’ uno dei motivi per cui, arrivato pressoché alla vecchiaia, a volte mi dedico a traduzioni da roba “di quell’epoca”; ora che ci penso bene, proprio nel 1971, alla verdissima età di anni otto, avevo cominciato a imparare un po’ l’inglese per conto mio, sull’Inglese per l’italiano autodidatta, anno 1944, di Lucia Krasnik, edizioni “Le lingue estere”. This is a red apple; this is a black cat, eccetera. Ce l’ho ancora.
Lemmings, including Cog, è il brano di apertura. Dura undici minuti e trentasette secondi, con tutta la formazione al completo (Hugh Banton, Guy Evans, David Jackson e lo stesso Peter Hammill). Nell’album, ma non in questo brano, suona anche Robert Fripp (e dico poco). Per il sontuoso brano di apertura, insomma, Peter Hammill si serve della leggenda dei lemmings, e se ne serve da par suo, per enunciare due o tre cose su chi, in realtà, è votato all’autodistruzione. E non si tratta di piccoli roditori della tundra oggetto di leggende, bensì di ciò che, generalmente, va sotto il nome di “Umanità”. Che sia vera o meno, la metafora dei lemmings che si gettano in mare a capofitto dall’alto di una scogliera si attaglia tremendamente a ciò che tutti noi siamo, e che siamo stati nella Storia con il richiamo costante della morte nell’annullamento della massa cieca.
Pur nella generale oscurità dei testi di Peter Hammill, questo mi sembra al contrario piuttosto chiaro: i lemmings siamo noialtri. Terminata l’illusione di un dio o degli dèi, terminata la ricerca di eroi più che latitanti (ma che, in realtà, si nascondono, non si fanno trovare e si trasformano, quindi, in perfetti vili), chiusa ogni altra strada, non rimane che darsi una morte di massa, magari travestita da “giusta legge, nuova e giovane”. Sembra di sentire il richiamo di tutti i totalitarismi, che spingono la massa ad immolarsi; sembra di risentire gli appelli “futuristi” alla “guerra come igiene del mondo”. La morte è l’unica strada che rimane. Alla massa si oppone il singolo, chi non ci sta, chi non vuole giocare al quel gioco distruttivo; in definitiva, l’unica salvezza di fronte alla massa manipolata per l’autodistruzione è l’opposizione di chi ne sta, coscientemente, fuori.
Stavo da solo in cima alla scogliera più alta,
guardavo giù intorno, e tutto quel che vedevo
erano quelli con cui amerei condividere affetto
che si gettavano ciecamente in mare a capofitto…
Provai a chiedere di che gioco si trattava,
ma sapevo che non ci avrei giocato:
mi giunse la voce, come di qualcuno o di nessuno…
Lemmings è un appello a non intrupparsi mai, ad un’osservazione, a una coscienza vigile. Mai ricercare dèi, eroi o nuove leggi: rifuggirne, pena il salto mortale nel buio, pena ritrovarsi come ingranaggi di macchine ben oliate che scivolano su rotaie al termine delle quali c’è il precipizio nel vuoto della morte. A pensarci bene, nel XX secolo almeno un paio di volte l’Umanità ci si è gettata precisamente, e la strada che porta di nuovo da quelle parti è stata già ampiamente imboccata. I lemmings “non possono insegnare niente” perché il loro insegnamento è fatto solo di morte: solo chi ne sta fuori può ancora sperare che l’unica reale scelta sia invece la vita.
Ci siamo rivolti ai Re di lassù,
li abbiam trovati meno che mortali:
i loro nomi sono polvere, di fronte al giusto
avanzare della nostra legge, nuova e giovane.
Con le menti sconvolte, continuiamo a lanciarci
giù in quell’oscuro imbocco;
Nessuno può trattenere il nostro estremo
salto mortale nella fauce ignota.
E mentre gli Anziani sbattono le ciglia
sanno che è davvero troppo tardi per fermarci.
Perché, se il cielo è seminato di morte,
che senso ha prendere fiato? Buttalo fuori.
Quale altra ragione, a parte morire
cercando qualcosa di cui non siamo affatto certi?”Quale altra ragione, a parte morire?
Quale altra ragione, a parte morire?
Quale altra ragione, a parte morire?
Davvero non lo so.
La vita di chi se ne sta a osservare le persone amate, quelle con le quali avrebbe voluto condividere affetto, lanciarsi a torme verso il precipizio; e, allora, la vera e unica battaglia, quella da combattere veramente, diventa quella per la vita, quella per non lasciarla spegnere nelle illusioni collettive il cui unico risultato è la distruzione e l’autodistruzione nell’odio. Tutto sembra essere inutile, e il meccanismo di cui siamo soltanto ingranaggi è troppo ben oliato (viene in mente la “Guerra dei 100.000 anni…); di fronte a chi dice che l’unica strada rimasta è la morte, occorre contrapporre l’unica scelta possibile, la vita. Una vita fatta di opposizione, di non accettazione del gioco di morte affidato alla metafora di poveri roditori che non c’entrano nulla. Non loro, mai noialtri siamo votati al suicidio di massa, con tutte le nostre belle uniformi, con tutte le nostre splendenti “gioventù” che si schiantano nel baratro della morte, della guerra, della truppa, della disperazione del branco informe.
Vigliacco è chi scappa, oggi,
comincia la battaglia…
Nessuna guerra al coltello, si combatte con le nostre vite,
i lemmings non possono insegnare niente;
la morte non dà speranza, dobbiamo cercare
brancolando la risposta sconosciuta:
unire il nostro sangue, metter fine all’alluvione,
sviare il disastro…
Ci son mezzi diversi dal gridare tra la folla:
questo ci rende soltanto ingranaggi di odio.
Guardate perché, guardate dove siamo,
guardate voi stessi, e le stelle, e alla fine
quale altra possibilità, se non vivere
sperando di salvare
i figli dei figli dei nostri figli?Quale altra scelta, a parte vivere?
Quale altra scelta, a parte vivere?
Quale altra scelta, a parte vivere
per salvare i nostri figli?Quale altra scelta, a parte provarci?
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