Antiwar Songs Blog

il Blog delle Canzoni contro la guerra

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Agosto

By Antiwar Songs Staff on 4 Agosto 2014

Italicus

Ricorre oggi il quarantesimo anniversario della strage del treno Italicus. Forse fra le tante stragi è quella meno ricordata; gli imputati sono stati tutti assolti e non c’è un colpevole, anche se sicuramente la strage fu compiuta da neofascisti.

La strage dell’Italicus non sembra avere grande eco nella canzone politica e d’autore italiana. Dopo Piazza Fontana e con il progredire della strategia della tensione e del terrorismo dello stato italiano, la canzone sembra prendere altre strade. Ma esiste  in questo caso un’importantissima eccezione, vale a dire la canzone “Agosto” di Claudio Lolli, tratta dall’album “Ho visto anche degli zingari felici” (del 1976).

Agosto. Improvviso si sente
un odore di brace.
Qualcosa che brucia nel sangue
e non ti lascia in pace,
un pugno di rabbia che ha il suono tremendo
di un vecchio boato:
qualcosa che urla, che esplode,
qualcosa che crolla,
un treno è saltato.

Una canzone terribile. Una canzone quasi rimossa. Non sappiamo se Lolli ancora la esegua durante i suoi concerti. Una canzone dalle parole dure e lucide. Una canzone dove si dicono esattamente le parole che tutti sanno, ma che vengono ancora tenute mascherate, insabbiate, coperte. Una canzone che tutti dovrebbero conoscere.

Agosto. Che caldo, che fumo,
che odore di brace.
Non ci vuole molto a capire
che è stata una strage,
non ci vuole molto a capire che niente,
niente è cambiato
da quel quarto piano in questura,
da quella finestra
Un treno è saltato.

 

Un'altra bomba fascista

La notte del 4 agosto 1974 una bomba esplode nella vettura numero 5 dell’espresso Roma-Brennero. I morti sono 12 e i feriti circa 50, ma una strage spaventosa è stata evitata per questione di secondi: se la bomba fosse esplosa nella galleria che porta a San Benedetto Val di Sambro i morti sarebbero stati centinaia. Racconta un testimone della strage: «Il vagone dilaniato dall’esplosione sembra friggere, gli spruzzi degli schiumogeni vi rimbalzano su. Su tutta la zona aleggia l’odore dolciastro e nauseabondo della morte». I due agenti di polizia che hanno assistito alla sciagura raccontano: «Improvvisamente il tunnel da cui doveva sbucare il treno si è illuminato a giorno, la montagna ha tremato, poi è arrivato un boato assordante. Il convoglio, per forza di inerzia, è arrivato fin davanti a noi. Le fiamme erano altissime e abbaglianti. Nella vettura incendiata c’era gente che si muoveva. Vedevamo le loro sagome e le loro espressioni terrorizzate, ma non potevamo fare niente poiché le lamiere esterne erano incandescenti. Dentro doveva già esserci una temperatura da forno crematorio. ‘Mettetevi in salvo’, abbiamo gridato, senza renderci conto che si trattava di un suggerimento ridicolo data la situazione. Qualcuno si è buttato dal finestrino con gli abiti in fiamme. Sembravano torce. Ritto al centro della vettura un ferroviere, la pelle nera cosparsa di orribili macchie rosse, cercava di spostare qualcosa. Sotto doveva esserci una persona impigliata. ‘Vieni via da lì’, gli abbiamo gridato, ma proprio in quel momento una vampata lo ha investito facendolo cadere accartocciato al suolo».

I neofascisti non nascondono di essere gli esecutori. Un volantino di Ordine nero proclama: «Giancarlo Esposti è stato vendicato. Abbiamo voluto dimostrare alla nazione che siamo in grado di mettere le bombe dove vogliamo, in qualsiasi ora, in qualsiasi luogo, dove e come ci pare. Vi diamo appuntamento per l’autunno; seppelliremo la democrazia sotto una montagna di morti». Gli investigatori brancolano nel buio fino a quando un extraparlamentare di sinistra, Aurelio Fianchini, evade dal carcere di Arezzo e fa arrivare alla stampa questa rivelazione: «La bomba è stata messa sul treno dal gruppo eversivo di Mario Tuti che ha ricevuto ordini dal Fronte nazionale rivoluzionario e da Ordine nero. Materialmente hanno agito Piero Malentacchi, che ha piazzato l’esplosivo alla stazione di Santa Maria Novella a Firenze, Luciano Franci, che gli ha fatto da palo, e la donna di quest’ultimo, Margherita Luddi».

Eppure la polizia era informata da tempo che Mario Tuti era un sovversivo e una donna aveva addirittura dichiarato a un giudice che l’autore della strage era proprio lui. Risultato: la denuncia archiviata e la donna mandata in casa di cura come mitomane. Il giudice che aveva raccolto e insabbiato la dichiarazione si chiamava Mario Marsili ed era il genero di Licio Gelli, il gran venerabile della loggia massonica P2.

[…] All’inizio del ’75 viene emesso un mandato di cattura contro Mario Tuti, che però riesce a sfuggire all’arresto. Aspetta che i tre carabinieri andati per arrestano suonino alla porta e poi spara loro addosso uccidendone due e ferendo il terzo. L’uomo riesce ad espatriare, prima ad Ajaccio e poi sulla Costa azzurra. La polizia francese lo rintraccia a Saint-Raphaël, dove ha luogo di nuovo uno scontro cruento, al termine del quale il terrorista viene arrestato. Al processo terrà un contegno sprezzante. Anni dopo, nel 1987, sarà lui a capeggiare una rivolta nel carcere di Porto Azzurro che terrà l’Italia con il fiato sospeso per alcuni giorni.

Piazza Maggiore, 9 agosto 1974

Dallo stesso disco di Claudio Lolli, un’altra canzone: Piazza bella piazza. Uno dei momenti più alti e drammatici di quel disco incredibile e coraggioso.
Una delle scene più indimenticabili di tutta una vita. Dieci bare in fila sul sagrato della chiesa. E davanti, fermi, immobili nei loro completi scuri, impenetrabili, il sindaco di Bologna, il presidente della repubblica Giovanni Leone, il segretario della DC Amintore Fanfani, tanti ufficiali, politicanti. Dietro di loro tutta una città riunita, raccolta, ostile. Dapprima ondeggiante di sdegno, poi rumorosa di fischi, grida, ululati. Che si trattiene a stento dal trascendere. Dal travolgere le istituzioni presenti.

Piazza, bella piazza, ci passò una lepre pazza…

Ci passarono dieci morti
i tacchi, e i legni degli ufficiali,
teste calve, politicanti
un metro e mezzo senza le ali,
ci passai con la barba lunga
per coprire le mie vergogne,
ci passai con i pugni in tasca
senza sassi per le carogne.

Il 27 febbraio 2003 Mario Tuti, in carcere ormai da oltre vent’anni, concede un’intervista al “Corriere della Sera”. Condannato a due ergastoli per gli omicidi dei due carabinieri che avevano tentato di arrestralo nel ’75, e di Ermanno Buzzi, nel 1992 è stato assolto definitivamente da tutte le imputazioni per la strage dell’Italicus. Riportiamo un breve ed interessante stralcio dall’intervista.

“LIVORNO – Mario Tuti, l’ex terrorista nero condannato a due ergastoli per tre omicidi (due giovani carabinieri ammazzati a sangue freddo e un detenuto strangolato in cella), da martedì è fuori dal carcere. Trenta ore di permesso, divise in tre giorni. Il 28 dicembre era uscito per la prima volta dopo 27 anni, per 4 ore. Ieri nella sede dell’Arci di Livorno ha presentato un Cd-rom multimediale, da lui realizzato, sul Museo Fattori. Oggi incontrerà la figlia, che non l’ha mai visto prima. Ha 56 anni, non si è mai pentito né dissociato. Ha scritto un saggio per il libro di imminente pubblicazione “La Bibbia dei non credenti”, al quale hanno collaborato Massimo Cacciari, Luciano Violante e Francesco Guccini. Un anno fa è stato protagonista in carcere di uno spettacolo sul Vangelo. Dice di essere un altro uomo, di odiare la violenza, di temerla quasi.”

La cronaca è tratta da “Gli anni del terrorismo” di Giorgio Bocca. Il commento a “Piazza bella piazza” è di Jonathan Gustini, da: Claudio Lolli, la terra la luna e l’abbondanza

 

Posted in Anniversari, Canzoni | Tagged Claudio Lolli, Strage dell'Italicus, Stragi di stato | 1 Response

Lettori inaspettati

By Antiwar Songs Staff on 30 Luglio 2014

macedonia

 

Forse non lo si dovrebbe dire nelle “Canzoni contro la guerra”, ma del resto quella dedicata a Lili Marleen  è una pagina con uno status del tutto speciale.

La traduzione della canzone in lingua macedone è stata ripresa, ebbene sì, da un intero articolo di due pagine (di Aleksandar Stojčevski, che è anche l’autore della traduzione) pubblicato nel n° 53 (febbraio 2014) della rivista Štit, che sarebbe la rivista ufficiale del Ministero della Difesa della Repubblica di Macedonia. Praticamente, la rivista delle Forze Armate macedoni.

L’articolo, se volete andare a vederlo, si trova alle pagine 56 e 57. Non solo: l’esteso testo redatto dall’articolista-traduttore è assai ben fatto e ha un che di familiare, dato che sembra la traduzione quasi esatta dell’introduzione della nostra pagina, con tanto di riproduzione del disco Electrola della incisione originale di Lale Andersen.

Come dire: un esercito che spulcia le “Canzoni contro la guerra” è qualcosa di decisamente originale!

Posted in Canzoni, CCG Fondamentali | Tagged Lili Marleen, Macedonia

Ma stanotte la guerra è finita…

By Antiwar Songs Staff on 29 Luglio 2014

linda ronstadt emmylou harris

Il ventotto luglio di cent’anni fa segnava l’inizio della « grande guerra ». Quella in cui, finalmente, l’Europa decise di mandare integralmente al macello le sue masse contadine, quella del primo uso dei gas letali, quella del milione di morti della battaglia della Somme,  la preferita del protagonista della famosa canzone di Brassens.


Abbiamo finalmente preparato un nuovo percorso, sicuramente ancora incompleto, che raccoglie le canzoni che raccontano quegli anni terribili. Nel percorso non poteva mancare una delle canzoni più belle della nostra raccolta, 1917, scritta da David Olney e interpretata da Linda Ronstadt ed Emmylou Harris nell’album “Western Wall: The Tucson Sessions”.

La canzone di una donna, che qualcuno definirebbe una puttana, o nel migliore dei casi una “sgualdrina” o una “donna di malaffare”, e di un giovane soldato. La storia di una notte a Parigi, nel 1917.

Lo strano ragazzo che viene da me,
un soldato in licenza di tre giorni,
gli ci vuole una notte di estasi a poco prezzo
e le braccia di una donna per nasconderlo

Mi saluta con un cortese inchino
e cela la sua pena facendo il duro
beve troppo e ride sguaiato,
come posso dirgli di no?

Questa canzone non è soltanto tra le più belle che abbiamo: è tra le più umane e le più amare. Bisognerebbe farla ascoltare ai moralisti di questo tempo, agli ipocriti dei miei stivali, a chi non ha mai avuto un momento d’amore nella sua vita.

Tienimi con te sotto il cielo di Parigi
non parliamo del come e del perché
domani è abbastanza presto per morire
ma stanotte la guerra è finita

Facciamo l’amore con troppa foga e troppo veloce
si addormenta, il suo viso è una maschera
si sveglia coi brividi e beve dalla fiaschetta
e io lo abbraccio

Muoiono nelle trincee e nei cieli
in Belgio e in Francia, i morti sono ovunque.
Muoiono troppo presto, non c’è il tempo per preparare
una tomba decente per accoglierli

Gloria del vecchio mondo, fama del vecchio mondo
il vecchio mondo è andato, andato in fiamme
niente sarà mai più lo stesso
e niente dura per sempre

Vorrei pregare per lui ma ho scordato come si fa
e non c’è niente, niente che possa salvarlo ora.
C’è sempre un altro con lo stesso buffo inchino
e chi sono io per dirgli di no.

Posted in Anniversari, Canzoni, Percorsi | Tagged Emmylou Harris, Georges Brassens, Grande Guerra, Linda Ronstadt

Utøya

By Antiwar Songs Staff on 22 Luglio 2014

utoya

 

Questo 22 luglio di morte a Gaza grazie al nazismo sionista è anche la data che ricorda due stragi apparentemente lontanissime nel tempo: quella dello xenofobo “cristiano” Anders Breivik a Oslo e Utøya il 22 luglio 2011 e quella dei Catari di Béziers, avvenuta il 22 luglio 1209. Ma entrambe sono prodotti della stessa cultura, della stessa intolleranza, dello stesso fanatismo religioso, della stessa storia. Niente viene dalla luna. Vogliamo qui ricordarle assieme in questo giorno nero.

La canzone norvegese Venn (Amico) non doveva parlare, e non parlava in origine, delle vittime di Oslo e dei ragazzi e delle ragazze di Utøya. Era stata scritta per uno di quei progetti del tipo Bob Geldof o Africa Unite, per raccogliere fondi per le vittime dello tsunami nell’Asia Meridionale, il 26 dicembre 2004. Lo Spellemannprisen, l’equivalente norvegese dei Grammy Awards, aveva organizzato una riunione delle principali popstar norvegesi (35 in tutto), che avevano interpretato questa canzone scritta dalle rockstar Lene Marlin e Espen Lind.

Quando i cieli ardono neri,
quando il sole diventa notte
e tutti sono andati via
e tu credi di essere abbandonato

Quando il giorno va in pezzi,
quando il tempo non c’è più
e la speranza ha bisogno di stampelle
e di una mano a cui afferrarsi

Posso essere un amico,
vedo che cadi,
vedo che cadi
ma ti rialzerai

Poi c’è stata Oslo. Poi c’è stata Utøya e quel maledetto 22 luglio 2011 in cui un cristonazista xenofobo di nome Anders Behring Breivik si è messo in azione, massacrando persone inermi, ragazzi e ragazze che si erano riuniti su un’isoletta, portando la morte e segnando per sempre la vita di chi è sopravvissuto.

Continuo, a oblio già avvenuto e a memoria corta già esercitata abbondantemente, a sostenere che il prodotto Breivik non sia venuto dalla luna e dalla “follia”, ma che sia un figlio perfetto e addirittura logico di questa “Europa”, fatta di fobie, di paure, di intolleranze, di nazismi e di integralismi religiosi. Continuo a sostenere che non c’è soluzione di continuità tra Utøya e il suo carnefice lucidissimo e Lampedusa, tra i fascisti ucraini e gli orrendi antiabortisti spagnoli, tra Alba Dorata e i neonazisti tedeschi e svedesi. Continuo a sostenere che le vittime di Oslo e di Utøya siano state uccise da una cultura sociale e politica ben precisa, nei confronti della quale poco o nulla è stato fatto. Nell’attesa del prossimo Breivik, sotto qualsiasi sole o qualsiasi pioggia, vorrei dedicare a tutti coloro che hanno sofferto questa canzone, che soltanto due giorni dopo le stragi norvegesi era già stata loro accostata. E così farò anch’io, in questi giorni di morte a Gaza, in Ucraina, ovunque. [RV]

Posted in Anniversari, Canzoni | Tagged Catari, fanatismo, Norvegia, razzismo, Utøya, xenofobia

Rataplan!

By Antiwar Songs Staff on 18 Luglio 2014

Rataplan

Dal 30 giugno su RAI Radio 2 è cominciata un’interessante trasmissione musicale dedicata  alle canzoni contro la guerra, in occasione del centenario dall’inizio del grande macello del primo conflitto mondiale.
Il programma si chiama “Rataplan” e va in onda dal lunedì al venerdì alle 17.00. Lo conduce l’ottimo John Vignola, un giornalista e critico musicale molto in gamba e competente, uno che si occupa di musica da moltissimo tempo e che in passato ha avuto anche una sua etichetta discografica, la On/Off Records, che nel 1998 ha lanciato un gruppo oggi molto famoso ed apprezzato, i Perturbazione.

Rataplan, come il ritmo dei tamburi, ma anche come quei ritmi che oggi scandiscono la musica che attraversa l’Europa, in una missione di dialogo continuo, capaci di unire luoghi e culture lontani.

Il nostro viaggio toccherà le trincee, i luoghi della Prima Guerra Mondiale e i suoni contemporanei: sarà soprattutto un viaggio nella musica che ribadisce la pace come valore universale, declinata da gruppi diversissimi fra di loro, ma uniti nel credere che il rock può ancora migliorare il mondo.

Naturalmente molte  delle canzoni nella scaletta del programma sono già nel nostro archivio, ma grazie a loro abbiamo già scoperto varie canzoni che mancavano, tra cui World Peace is None of Your Business, il brano che dà il titolo all’ultimo lavoro del grande ed immarcescibile artista inglese, sempre più anarchico man mano che passa il tempo…

La pace nel mondo non è affar tuo
Non devi interferire con le decisioni prese
Pensa a lavorare duro e a pagare docilmente le tasse
Non chiedere mai perché

Oh oh, tu, povero piccolo stupido
Oh oh, ti hanno fottuto

Ogni volta che voti tu sostieni questo sistema
Ogni volta che voti tu mantieni questo stato di cose
Ogni volta che voti tu appoggi questo sistema


World Peace is None of Your Business
Dobbiamo ringraziare per questa segnalazione il nostro storico “collaboratore dai molti nomi” Bernart Bartleby.

Posted in Canzoni | Tagged Morrissey, Radio 2

La gente, non i luoghi

By Antiwar Songs Staff on 15 Luglio 2014

 

donna con chiave

Ilana Weaver, aka Invincible, è nata in Illinois in una famiglia di fede ebraica ma ha trascorso la sua infanzia in Israele. Oggi vive e lavora a Detroit, Michigan

La canzone People not places mi è stata ispirata da una conversazione che ho avuto con mia madre (Ima, in ebraico) cinque anni fa, quando le chiesi se le mancasse ‘casa’ (così lei chiama Israele) e lei rispose, sospirando profondamente: ‘Mi manca la gente non i luoghi’. Mi resi conto che privilegio è stato quello di non sentire la mancanza di quel luogo, quella terra dalla quale invece così tanti palestinesi sono stati sradicati.
La canzone porta l’ascoltatore in un viaggio attraverso un tormentato tour che potremmo chiamare ‘del diritto di nascita’, dove il significato palestinese sepolto torna alla luce in ogni luogo. Lungo il percorso spiego come il processo di vecchia e nuova colonizzazione è stato e continua ad essere ancora più forte della razzia delle terre e della pulizia etnica nei confronti dei palestinesi, un processo tutto volto a cancellare la lingua araba, la cultura e la memoria.
Uno dei miei obiettivi principali è quello di distruggere il mito ebraico del ‘diritto alla terra per nascita’, quando invece ai suoi antichi abitanti, i palestinesi, viene negato ogni diritto al ritorno

 

 

Uliveti di 200 anni
sradicati in massa
per costruire un muro
Ora il loro futuro è rinchiuso
Insediamenti che si diffondono come un cancro
e fognature tossiche hanno inquinato le strade
ora piene di checkpoint…

Posted in Canzoni | Tagged Hip-Hop, Palestina

Per i trent’anni di Creuza de mä

By Antiwar Songs Staff on 11 Luglio 2014

Milo Manara - Seduzione

Trent’anni fa, nel 1984, usciva “Creuza de mä”, e si è pensato che un album del genere meritasse una pagina speciale contenente una canzone del tutto speciale che ne fa parte: Jamin-a. Fabrizio De André diceva che era “l’unica canzone erotica del suo repertorio”.

Forse non è proprio vero, ripensando magari all’antichissima “Barbara” (ad esempio), ma resta il fatto che “Jamin-a”, dedicata a un’amica algerina di Faber, è veramente un pozzo di sensualità, di sesso e di vita dal quale non si esce e non si vuole uscire.

Lingua infuocata, Jamina
lupa di pelle scura
con la bocca spalancata,
morso di carne soda
stella nera che brilla
mi voglio divertire
nell’umido dolce
del miele del tuo alveare.

Di “Creuza de mä” abbiamo quasi tutte le canzoni nel sito, compresa, ovviamente, Sidùn; nei giorni dell’ennesimo attacco israeliano su Gaza, lo vogliamo ricordare anche su questa pagina dedicata a ben altra e vitale esplosione, anche come antidoto a moralismi e “purezze” che rappresentano l’unico, vero degrado di morte di questo tempo. Fosse per certa gente, nel centro di Genova non ci sarebbero più Jamine, ma salottini, banche, “sicurezze” e polizia. Al diavolo. Noialtri si vuole restare totalmente impuri e insicuri, tanto più che l’unico luogo dove si rischia quotidianamente la vita è la famosa “famiglia”. Con Jamina non si rischia nulla e si sta da dio.

Attravero i suoni e le urla del mercato del pesce di Genova, Jamin-a ci conduce nel mondo dell’erotismo. Non si può definirla una prostituta, anche se è chiamata sultana delle bagasce: è una macchina perfetta del sesso, è un’instancabile goditrice dei beni della carne, è quella donna della quale si terrebbe nascosto perfino il desiderio, ma che molti vorrebbero incontrare, almeno una volta, nel loro navigare. Gli aggettivi per definirla si sprecano: lingua infuocata – lupa di pelle scura – morso di carne soda – sugo di salse di cosce – stella nera che brilla – labbra di uva spina… Il linguaggio è tenuto sempre lontano dalla volgarità ed il testo non ha niente da invidiare ad alcune poesie di Catullo, anche se, nella traduzione in italiano, questo aspetto può andare perso.
[Matteo Borsani – Luca Maciacchini, Anima salva, p. 137]

Nel compiere la loro ricognizione sulle musiche del “nostro” mare, De André e Mauro Pagani non sono andati alla ricerca delle radici di una cultura per affermarne la superiorità: al contrario, la loro è una dimostrazione, poetica ma non per questo meno impietosa, che non esiste nessuna superiorità identitaria, che la presunta “tradizione” può avere un senso solo nel momento in cui viene ibridata, sfidata, riutilizzata, messa in discussione. Ho usato di proposito il verbo “ibridare” e non “contaminare”. Il concetto di “contaminazione”, pur ribadito ad nauseam anche in ambienti che si vorrebbero tutt’altro che razzisti, è un altro di quelli di cui faremmo meglio a sbarazzarci il più in fretta possibile. La “contaminazione”, per esser tale, presupporrebbe una iniziale o mitica “purezza” (di sangue, di stirpe, di nascita, di costumi…). Ma niente nasce “puro”: nessun popolo, nessuna lingua o musica. Tutto è già in partenza “contaminato”.

Potrebbe essere questo il senso, uno dei sensi, di Crêuza de mä, anzi la sua allegoria profonda, per usare la terminologia di Benjamin: non c’è nessuna purezza; ci sono, semmai, millenni di culture (rigorosamente al plurale) da interrogare. L’ipotesi non è implausibile, se teniamo conto che De André aveva inizialmente l’idea di scrivere i testi in una lingua inventata, sorta di grammelot del marinaio, misto di tutte le lingue “impure” parlate nei porti e nelle città che attorno ad essi vivono.

Luca Casarotti, da Carmilla On Line

Nell’immagine: “Seduzione” di Milo Manara.

Posted in Album, Anniversari, Canzoni | Tagged Erotismo, Fabrizio De André, Genova, Mauro Pagani, Mediterraneo

Li lasciamo annegare per negare

By Antiwar Songs Staff on 14 Giugno 2014

Erri De Luca

“Solo andata” nasce dalla collaborazione tra Erri De Luca e il Canzoniere Grecanico Salentino. Lo storico gruppo di musica popolare ha musicato, reinterpretando in chiave struggente le sonorità tradizionali pugliesi, una poesia dall’autore napoletano. Il connubio è stato poi valorizzato da un bel video di Alessandro Gassmann.

La clip è ambientata a Sbiaggiabella (Lecce). Dal mare cupo e agitato emergono le figure di alcuni migranti, che con bracciate affannate raggiungono la riva. Il tutto avviene sotto gli occhi di un anziano pescatore, interpretato da Manrico Gammarota, che, di fronte al disperato impeto dei naufraghi, riconosce la stessa umanità di sua madre, migrante anch’essa, che riemerge dal passato creando un ponte immaginifico tra storia e futuro.

Da qualunque distanza
arriveremo a milioni di passi
noi siamo i piedi e vi reggiamo il peso
spaliamo neve, pettiniamo prati

Battiamo tappeti
raccogliamo il pomodoro e l’insulto
noi siamo i piedi
e conosciamo il suolo passo a passo

“Le porte per i migranti in Italia sono chiuse solo a livello dei palazzi del potere, nei piani alti”, ha commentato Erri De Luca “al piano terra le persone capiscono benissimo chi sono queste persone: nuovi cittadini, nuove energie che vengono a dare una scossa a una società vecchia e stanca. Io penso che i nipoti di coloro che sono sbarcati a Lampedusa diventeranno i nostri presidenti, e saranno orgogliosi dei loro nonni”. “Se ci fosse la pena di morte da parte nostra per dire, chi viene qui viene fucilato, l’affronterebbero lo stesso perché l’affrontano già, sanno già che in questo percorso a zig zag tra deserti e mari una parte di loro resterà sconfitta. L’affrontano già la pena di morte.”

In braccio al Mediterraneo
migratori di Africa e di oriente
affondano nel cavo delle onde.
il pacco dei semi portati da casa
si sparge tra le alghe e i capelli
La terraferma Italia è terrachiusa.
Li lasciamo annegare per negare.

Ed è notizia di oggi: sono almeno dieci le vittime di un naufragio avvenuto a 40 miglia dalle coste libiche. Altri quaranta naufraghi sarebbero dispersi. Un gommone carico di migranti si è capovolto ed è affondato. Il naufragio risale a ieri pomeriggio.

Posted in Canzoni, Poesie | Tagged Erri De Luca, Fortress Europe, Lampedusa, Salento

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