Futuro Fascista, o Presente?

Non credo sia un caso che Forecast Fascist Future, il seguente testo degli of Montreal, nonostante sia piuttosto noto e non di rado citato persino in libri, non sia mai stato tradotto (o, comunque, sottoposto a un tentativo di traduzione) in una qualsiasi lingua. A questo, senz’altro, hanno anche contribuito l’introversione e il pressoché perenne stato depressivo di Kevin Barnes, il fondatore e leader del gruppo pop psichedelico facente parte del collettivo Elephant 6, e le sue particolari forme di composizione testuale, esemplificate ad esempio in un’intervista del 2005 a Kindamuzik (in neerlandese). The Sunlandic Twins, l’album dal quale proviene questo brano, era appena uscito, e all’intervistatore, Thijs Zilverberg, Barnes spiegava le sue tecniche partendo proprio dai versi più oscuri e controversi di Forecast Fascist Future:

“Già, le parole. Io leggo molto, e annoto tutte le parole che mi piacciono di più in un taccuino. Parole già incontrate, ad esempio nella letteratura, e parole che ancora non conosco. Me le segno, assieme al loro significato. Poi provo a intesserle nei miei testi, cercando di articolare ciò che era troppo inarticolato.”

Si capisce che, con una tale tecnica compositiva, psichedelica quanto la musica del gruppo, non è questione neppure di “tradurre”, ma semplicemente di lasciarsi andare alla imagery del brano, nella quale le parole formano un tutt’uno con la musica e con l’immagine d’insieme, con l’”atmosfera” per dirla in soldoni. Un’atmosfera che qualcuno, in Song Meanings (l’unico sito sul quale, dopo ricerche abbastanza capillari, mi è capitato di leggere qualche tentativo di analizzare questo testo), ha accostato a quella di Fahrenheit 451, il romanzo di Ray Bradbury del 1953 dal quale François Truffaut trasse un celebre film. A mio parere giustamente; aggiungo, da parte mia, che nel brano c’è anche qualche precisa atmosfera dickiana, soprattutto del Philip Dick della Svastica sul Sole (ma non solo).

Detto questo, si tratta, naturalmente, di una distopia e di un’ucronia (ancora Bradbury e Dick). I distopici, però, non di rado ci vedono chiaro nella loro oscurità, e le “tendenze” del 2005 non sono e non possono essere molto diverse da quelle di oggi; oggi, casomai, abbiamo fatto dei passi da gigante verso quel “futuro fascista” predetto da Kevin Barnes. Passi da gigante verso la limitazione, la compressione e l’oppressione del pensiero mediante sempre più sofisticati e capillari sistemi di controllo (si pensi solo ai “social”); le “folle smunte smorte mute” che danno la caccia a “bambini abbandonati” fino a “guglie dai pennacchi ardenti”, e che “incitano al ritratto celestiale di qualcuno che affoga nello Stige scalciando impotente”, sono parole eloquenti e chiare, che riportano da un lato al nazismo e, dall’altro, a un “futuro” che si è fatto presente di odio, di caccia, di rifiuto, di massificazione mentale. Moltitudini senza emozioni e senza parole, gli haters, i bruciatori di campi nomadi, le “brave persone” delle classi deboli che vengono scagliate contro quelle ancora più deboli, la “guerra tra poveri” al servizio del potere.

Tutto questo nel “tedio”, la noia che avvolge la mente delle persone che hanno cessato di pensare e che lasciano passare ogni crimine commesso dai governanti e dai potentati socioeconomici, ogni guerra, ogni sopraffazione al servizio del profitto. Persone, folle che non pensano più, simboleggiate dallo “specchio miope” (si ricordi che “miope”, in inglese come in italiano e in molte altre lingue, significa anche “ottuso, di vedute ristrette”); qui, come saggiamente spiegato in Song Meanings da un anonimo, potrebbe esservi anche un’allusione ad un’antica favola, quella della volpe che vede la luna riflessa nell’acqua di uno stagno e che non pensa a questa possibilità, ma prende l’immagine riflessa della luna per un oggetto reale, una forma di formaggio, e si getta nello stagno annegandovi. Occorrerebbe vedere oltre le immagini, oltre l’esteriorità indotta che si riflette nello “specchio miope”; occorrerebbe vedere le cose come sono, non come riflesse da uno specchio che ottenebra.

Ed è questo, esattamente, il “futuro fascista” che non solo ci attende, ma che è già in atto. Seguire sempre le parole, gli incitamenti, gli ordini dei governi e del potere, ciò che essi chiamano generalmente “legalità” quando è la sua esatta negazione (qui i riferimenti orwelliani sono pure piuttosto chiari). Avere pensieri autonomi e rifiutare di diventare numeri; attaccarsi a ciò che amiamo come atto di esistenza e resistenza, rifiutare la follia in nome dell’amore. Questo l’antidoto, l’unico possibile, al “futuro fascista”, e a un presente di odio predeterminato, standardizzato, massificato. In questo, il brano, nonostante il suo testo apparentemente nonsensical, è autenticamente e profondamente antifascista, nel senso più puro del termine. [RV]

Oggi il linguaggio del gelo scaglia palloni morti sulle rovine
Visibili da folle smorte smunte mute che danno la caccia a bambini abbandonati
Fino a guglie dai pennacchi ardenti, e incitano al ritratto celestiale 
Di qualcuno che affoga nello Stige scalciando impotente 

Il tedio uccide il cuore della nostra epoca mentre leccapiedi sanguinari salgono alla ribalta…
Il tedio strangola la vita a partire dalla pagina stampata

Vapore avvolgente striscia in cerca di un killer sull’Umbria
Che ha azzoppato giumente da latte in coppe di betulla;
Ora ci sono rovi al posto delle loro membra ovattate, e chi saprà dire?
Voglio dire, questo farà differenza?
Guarda, nello specchio miope non appaiono neanche lacrime di petali metallici

Il tedio uccide il cuore della nostra epoca mentre leccapiedi sanguinari salgono alla ribalta…
Il tedio strangola la vita a partire dalla pagina stampata

La luna si smorzava in cielo mentre tenevo il suo viso attaccato al mio
Tutti i nostri pensieri sopraggiungevano cosí chiari oltre lo specchio miope
Volavamo via come frecce da quel posto dove proprio non potevamo stare
Via, lontani da ogni violenza, volando al sicuro nella nostra orbita

Perché ti devo sempre dire di dimenticare i segni premonitori, di scordarti della vita che conoscevamo?
Non ci strappino mai ogni cosa che amiamo, diventiamo gentili, non diventiamo pazzi

Non diventiamo mai, mai pazzi…
Siamo sempre, sempre gentili…
Non diventiamo mai, mai pazzi…
Siamo sempre, sempre gentili…
Non diventiamo mai, mai pazzi…
Siamo sempre, sempre gentili…
Gentili
Gentili

Il tedio uccide il cuore della nostra epoca mentre leccapiedi sanguinari salgono alla ribalta…
Il tedio strangola la vita a partire dalla pagina stampata
Qual era il mio numero? 114395? E chi se ne importa! 
No no no no no

A Flickering Light in the Darkness. 15 years of AWS website.

 

Nothing self-referential, nothing triumphalistic, nothing at all. No “budgets”, no celebrations or self-celebrations: only one site, called “Antiwar Songs”, or “Canzoni Contro la Guerra”, or “Chansons Contre la Guerre” (the title is translated into a hundred languages on the site’s homepage) which, today, March 20, 2018, celebrates its fifteen years of activity. The site originated in early 2003 following a spontaneous collection of songs in a number of Web spaces existing at that time, when the great planetary mobilization preceding the US attack on Iraq was launched. An event, it must be said, which in turn has unleashed all the events of today. Fifteen years later, we are still paying all its hard consequences in terms of freedom, with the most capillary and hardest repression of every dissent, of every space, of every collective and single life. All this is accompanied by the spread of false “communication” on the Net, of falsehood, of extension of the global control system on consciences. Fifteen years during which the world has almost voluptuously plunged itself into the war of Capital, which no longer has “ideologies” but has unveiled its true and raw nature, the domination of the few and the extermination of all the others. Fifteen years during which masses of dispossessed and distressed people, fleeing from hunger and, indeed, from the various wars unleashed everywhere in the name of a “democracy” that hides only the infamous will of domination, have poured into the rich and free “West”, exposing its eternal nature. Notwithstanding all this, five, ten, fifteen people around the world have kept on managing and developing a site, a collection of songs, lyrics, music, stories and History from every time and every country. It’s what you can see every day, it’s what celebrates now its 15th anniversary. No “oasis”, no island: just a drop in the ocean, or a small light that, among all its imperfections and contradictions, does not cease to remain lit in the dark. A somewhat ‘special’ day, yes, but also a day like all others: we are going on. Thanks to all those who, even with one single word, have helped this light not to be turned off. A flickering light in the darkness.

A Flickering Light in the Darkness. Le CCG/AWS compiono 15 anni.

 

Niente di autoreferenziale, niente di trionfalistico, niente “numeri”, che pure sono oramai enormi. Niente “bilanci”, niente celebrazioni o autocelebrazioni: c’è solo un sito, chiamato “Canzoni Contro la Guerra”, o “Antiwar Songs”, o “Chansons Contre la Guerre” (come si dice in un centinaio di lingue c’è nella homepage) che, oggi, 20 marzo 2018, compie quindici anni di attività. Nato nei primi mesi del 2003 in seguito ad una raccolta spontanea di canzoni in alcuni spazi che esistevano allora, attorno alla grande mobilitazione planetaria che precedette l’attacco USA all’Iraq. Un avvenimento, va detto, che ha scatenato tutto quanto questo presente. Quindici anni dopo ne paghiamo le dure conseguenze, in termini di libertà e di virata verso la repressione più capillare di ogni dissenso, di ogni spazio, di ogni vita collettiva e singola. Tutto questo accompagnato dalla diffusione di finta “comunicazione” in Rete, di falsità, di estensione del sistema globale di controllo delle coscienze. Quindici anni in cui il mondo si è immerso quasi con voluttà nella guerra del capitale, che non ha più “ideologie” ma ha svelato la sua natura nuda e cruda, quella del dominio dei pochi e dello sterminio di tutti gli altri. Quindici anni in cui masse di diseredati, in fuga dalla fame e, appunto, dalle varie guerre scatenate ovunque in nome di una “democrazia” che nasconde solo l’infame volontà di dominazione, si sono riversate nell’ “occidente” ricco e “libero” mettendo allo scoperto la sua natura che del resto è eterna. In tutto questo, cinque, dieci, quindici persone sparse per il mondo hanno continuato a gestire e a sviluppare un sito, una raccolta di canzoni, di testi, di musica, di storie e di Storia, di ogni epoca e di ogni paese. E’ quello che vedete ogni giorno, è quello che oggi compie quindici anni. Nessuna “oasi”, nessuna isola: soltanto una goccia nell’oceano, o una piccola luce che, in mezzo a tutte le sue imperfezioni e contraddizioni, non cessa di restare accesa nel buio. Un giorno un po’ speciale sì, e anche un giorno come gli altri: si va avanti. Ringraziando tutti coloro che, anche con una sola parola, hanno contribuito a non far spegnere quella luce. A flickering light in the darkness.